Nella cultura e nella prassi nonviolenta viene sottolineata la distinzione tra colpa e colpevole: Gandhi, inflessibile nella denuncia delle “colpe” dell’impero britannico, era poi capace di negoziare soluzioni con gli occupanti inglesi. Esiste un simile atteggiamento in ambito cattolico, espresso già da Giovanni XXIII con la nota distinzione tra “errore” ed “errante”, e oggi ripreso da papa Francesco, che ha fatto della misericordia uno dei suoi vessilli pastorali. Ma perché le nostre azioni negative siano riconoscibili e non siano reiterate all’infinito è necessario ribadire l’inscindibile unità tra errore ed errante: il divieto di posteggiare in seconda fila (l’errore) diviene un peso sociale perché s’incarna in qualcuno (errante) che compie quest’azione deleteria. E allora lo sforzo della società deve essere quello di tenere sempre insieme la dimensione astratta e concreta di un’azione civilmente riprovevole. Evitando i due estremi: l’incapacità di mettere a fuoco la negatività teorica e il linciaggio dei colpevoli.
Maria D’Asaro , “100NOVE” n.39 del 12.10.2017
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