Apprezzamento unanime – mercoledì 25 settembre alla "Casa dell'equità e della bellezza" (via Nicolò Garzilli, 43/a, Palermo) – per il testo di Giovanni Salonia: Sulla felicità e dintorni (Il pozzo di Giacobbe, Trapani, 2011, € 16,00) - già recensito qui, - da cui sono stati tratti alcuni spunti di riflessione.
Ecco qualche flash:
(pagg.7,8)
(La felicità) è l’implicito dei nostri discorsi, il sottosuolo dei nostri dialoghi, l’amore profondo ma indicibile che pervade ogni incontro e ogni racconto (come il Marco Polo veneziano, uscito dalla penna di Calvino, parlava sempre – senza nominarla – della patria amata, narrando le meraviglie delle tante città «invisibili»: «Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia».
I dintorni della felicità si dilatano nel tempo, nello spazio e attraversano il corpo, la casa, la città.
Le relazioni umane sono i dintorni nei quali la felicità viene invocata e attesa, cercata e smarrita, in un modo primario, fondativo.
(pag.13)
La felicità: parola o magia? Nessuno può sottrarsi al fascino delle sue vibrazioni. […]
Qualcuno propone di togliere la parola ‘felicità’ dal vocabolario perché eccessiva (al massimo, se ci va bene, possiamo avere un po’ di serenità). […]
Forse possiamo trovare il bandolo della matassa se ripartiamo dall’etimo. Felicità – dicono – deriva da un gruppo semantico che include femmina, figlio, nutrimento. Ed ecco l’immagine del bambino che, dopo la poppata, sorride sazio (e felice?); ed ecco la madre che lo guarda con un volto luminoso (felice?). Forse dovremmo partire da questa scena: qualcuno si è preso cura di te con passione e pazienza, con disponibilità e gioia.
(pag.40, dopo una toccante condivisione di A.)
La bellezza è l’epifania dell’essere, nella bellezza l’esistenza si rivela. Forse uno dei suoi compiti più significativi è quello di svegliarci. Il dramma dell’uomo è il dormire, il non essere in contatto con la propria anima, con la propria voglia di bellezza.
(pag.91)
Esiste un’intima connessione tra gratitudine e salvezza. L’uomo si salva quando si apre alla gratitudine.
(pag.143,144)
Ogni corpo appare segnato oltre che dalla differenza di genere […] anche dalla temporalità […]. Dentro queste due coordinate – l’identità di genere e il tempo – si gioca l’avventura dell’esistenza. […] L’irriducibile novità dell’altro – il suo volto, direbbe Lévinas – è scritta nella realtà corporea ed invoca e provoca un continuo esodo dal conosciuto e dal familiare verso sentieri ignoti ma, proprio per questo, fecondi. […]
Il ciclo evolutivo della persona diventa così il ciclo evolutivo delle sue relazioni, il progressivo modificarsi del modo di vedere sé stessi di fronte all’altro e l’altro di fronte a sé stessi. Garanzia e percorso di maturazione è l’essere disponibili a ricominciare da capo in ogni relazione, nella consapevolezza che, se non si accetta la legge del tempo e del cambiamento, anche i rapporti più belli sono destinati a decadere nello smarrimento e nell’impoverimento …
Quando si corre il rischio di perdere l’altro perché ci si consegna alla legge della trasformazione dei rapporti, si accrescono le possibilità di (ri)scoprire un’appartenenza genuina e vibrante e una tenerezza profonda.
(pag.152, 153)
Qual è il senso della nostalgia? Del rimpiangere un passato o dell’attendere un magico quanto impossibile ritorno? Chi dalla nostalgia è bloccato, nel suo aprirsi alla situazione attuale, deve chiedersi cosa sta evitando del presente. […] Anche nel caso della nostalgia di un passato bello, si tratta di guardare al presente per vedere cosa vorremmo (e potremmo) avere adesso (di bello!) ma non abbiamo l’audacia di fare. […] La nostalgia, in ultima analisi, prende le mosse dal passato ma riguarda il presente. Cosa non riusciamo a fare nel presente? […]
Kairòs, allora, è vivere nel now-for-next con integrità e pienezza. Solo se siamo a contatto con noi stessi sappiamo dove andare e solo se siamo audaci possiamo andare dove adobbiamo andare per raggiungere la pienezza personale e relazionale.
Kairòs è il tempo giusto, quello che scorre nella linea del raggiungimento della meta.
E la meta è sempre l’incontro: il luogo in cui l’io e il tu si possono incontrare senza negare né sé stessi né l’altro. Dentro il ritmo del kairòs, tempo vissuto della relazione, non rimane spazio ed energia per la nostalgia, o meglio si comprende che la più profonda e intima nostalgia riguarda sempre il prossimo passo: ciò che ci manca si trova davanti a noi, e non alle nostre spalle.
Si soffre non perché è impossibile tornare, ma perché non abbiamo l’audacia per andare. Si ha nostalgia non di un evento/incontro passato, ma dell’incontro che è già dentro di noi (nel now-for-next) ma non riusciamo a portare a compimento.
(pag.178,179)
Torniamo a dare credito alla felicità. Una sua goccia genuina può addolcire un torrente amaro di tristezza. […] Quando alla vecchietta che chiedeva l’elemosina, Rilke e il suo amico regalarono una rosa, ella alzò il capo […] e sorrise ringraziando. Poi, per alcuni giorni scomparve. All’amico, che si chiedeva di che cosa avesse vissuto in tutto quel tempo l’anziana signora, Rilke rispose: “Si è nutrita della rosa”. […]
Ogni volta che le felicità ci colpirà con la sua freccia dorata, trasformando il tempo in eternità, noi non sapremo mai se è stato il sole di oggi o l’uragano di ieri a preparare il cuore. Non ci sono ricette. Forse nella fatica agrodolce del cercare è il germe della felicità sempre sospesa tra arte e scienza, tra fortuna e fatica, tra espirare e ispirare.
E’ vero: la felicità accade ad intermittenze non prevedibili, ma quando accade, la sua luce rimane.
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