lunedì 30 novembre 2020

La musica delle parole

Joaquin Sorolla: Dopo il bagno (1915)
     Era il 30 novembre 2008 quando nostra signora mise in rete il suo primo pezzo: “Il battesimo degli alberi”.
     Oggi il blog compie dodici anni. Sta diventando grande, come sua madre…

      Dal quotidiano “La Sicilia” (29.11.20)una sintesi dell’articolo del professore Giovanni Salonia: il pezzo evidenzia magistralmente l’importanza delle parole. Anche per nostra signora, come per il professore Salonia, le parole sono la musica dell’anima.

"Sartre aveva torto. L’inferno non sono gli altri. L’inferno è la loro mancanza. Dal trono della sua inconsapevole cattiveria (…), il virus non è riuscito  a congelare uno dei bisogni fondamentali dell’essere umano. Anzi lo ha enfatizzato. Senza gli altri, senza il contatto cordiale con gli altri, sentiamo freddo. O meglio, ci sentiamo freddi e ci intristiamo. (…)
Il terrore di morire da soli accomuna gli ammalati e coloro che li amano, di fronte all’incubo di quel ricovero in ospedale che scava un tunnel di separazione e di isolamento. (…)
    Oggi il poeta non può cantare: “Che dici? / Se ti abbraccio forte forte, / ho qualche chance in più/di scampare alla morte? “(Marcoaldi). Oggi la madre di Ben non potrà dire a suo figlio, stringendolo a sé, che l’abbraccio è stato inventato per unire le solitudini (Grossman). “Non ti abbraccio perché ti amo”: è questa la nostra terribile realtà. Come evitare allora che questo inferno della solitudine non contagi la nostra esistenza? Come evitare che l’impossibilità di abbracciarci ci inaridisca, blocchi il consegnarsi dell’anima? E come riscaldare i nostri incontri senza abbracci?
    Non ci sono altre vie. Ci sono rimaste le parole. È la loro forza, è il loro potere l’unico antidoto alla solitudine, alla mancanza, all’inverno degli affetti. Certo, le parole possono unire e separare, farci incontrare e farci disperare, accarezzare e pugnalare. A volte sembrano ubbidirci. Creano calore vicinanza, magia, placano i cuori. Altre volte sembrano allontanarci. Generano malintesi, impediscono la condivisione (quanti equivoci quotidiani nei messaggi scambiati su WhatsApp o sui socia!). 
    Per questo, è come se dovessimo imparare di nuovo a parlare, ricominciare a cogliere, delle parole, la potenza e il mistero. Ricordiamocelo: in principio le parole sono musica. La loro prima forma, la lallazione, è una lingua dell’incontro e non del significato. Così come pura musica è per il neonato la parola materna, sin dal grembo. La musica non conosce ostacoli, arriva dovunque, al cuore di ognuno.
   Mentre non possiamo abbracciarci, impariamo allora ad ascoltare la musica delle parole, a raggiungerci sin nel profondo, scrivendo nel corpo dell’altro il nostro affetto, come se l’aria, la carta o lo schermo su cui le stampiamo fossero il corpo di quelli che amiamo. Non si tratta di imparare la retorica, di fare bei discorsi, ma di dire, sentendole, assaporandole, quelle poche parole che toccano e ci toccano.
   Iniziando dal nome. Come diciamo ogni giorno il nome dell’altro che non possiamo toccare? Torniamoci su, risentiamo la musica del chiamare. Rimasi affascinato, un giorno, quando mi trovai a leggere la dedica che Erving Polster, uno dei grandi maestri della Gestalt Therapy, aveva voluto all’inizio di un suo libro: “A Miriam, Sara e Adam. Mi piace dire i loro nomi”. Erano i nomi di sua moglie e dei suoi due figli. Pensai subito a Francesco d’Assisi: i nomi di quanti ci stanno a cuore hanno il sapore del miele sulle labbra. Ricominciamo a dire i nomi così, con questa intensità, con questa gioia. (…) Diciamoci: “stasera sento gratitudine”; “adesso mi sento riscaldato”. E diciamoci il perché.                 Condividere cosa ci accade dentro genera legami e calore. Anche le esperienze sgradevoli si possono comunicare così, esprimendo il bisogno, il desiderio, le attese che pur se deluse dicono un sogno, una speranza. È questo il segreto: ogni parola deve emergere dal corpo di un io e avere un tu, avere un corpo a cui è intimamente rivolta. Quando si parla senza rivolgersi a un tu, le parole si moltiplicano, non ci si sente mai sazi di parlare, si ha l’esperienza terribile di parlare a vuoto. È il parlare senza direzione. (…)
     Ascolta la parola dell’altro, come Vasudeva, il vecchio barcaiolo di Siddharta, ascoltava il linguaggio del fiume. Se farai spazio alla sua musica, gli restituirai la parola giusta. Guardandolo negli occhi, realmente o idealmente. Perché la parola, avida di vita e spogliata dell’alleanza di un abbraccio, di una carezza, di una mano tesa, giunga dagli occhi all’anima. Ancora una volta, mi dico, aveva ragione il mio amico poeta: “Solo parole abbiamo/ per trovarci/ e d’amore il filo / che resiste” (Alberto Melucci).


domenica 29 novembre 2020

Rosa e Claudette: due «no» che hanno cambiato la Storia

      Palermo – Il Mahatma Gandhi ricordava che un vero cittadino democratico “è un amante della disciplina.” Ma affermava anche che chi normalmente rispetta le leggi ha il diritto di opporsi a quelle ingiuste e immorali. E indicava un criterio fondamentale per distinguere l’inosservanza di una norma per interesse privato da quella per ragioni etiche: chi resiste alla legalità ingiusta è disposto a pagare le conseguenze della propria disobbedienza civile. 
     In tale contesto, un “no” passato alla Storia è stato quello pronunciato negli Stati Uniti da Rosa Parks, nella cittadina di Montgomery, in Alabama, mentre tornava a casa in autobus dopo una giornata di lavoro come sarta in un grande magazzino, il 1° dicembre 1955. Allora, nei mezzi pubblici della sua città vigevano le seguenti leggi: tutti i passeggeri dovevano salire sull’autobus dalla porta anteriore per acquistare il biglietto; poi però le persone di colore dovevano scendere e risalire dalla porta posteriore per raggiungere i loro posti perché potevano sedere solo nelle ultime file a loro riservate, mentre le prime erano a uso esclusivo dei bianchi. Nelle file intermedie, i bianchi avevano il diritto di precedenza, mentre i neri potevano sedervisi solo se libere: qui una persona di colore doveva comunque tenersi pronta a cedere il posto a un bianco e rimanere in piedi anche se incinta, vecchia o malata. 
     Quella sera del 1° dicembre, Rosa, non trovando posti liberi nel settore riservato ai neri, occupò un posto nella parte dei posti accessibili sia ai bianchi che ai neri. Dopo tre fermate, l'autista James F. Blake le chiese di alzarsi e spostarsi in fondo all'automezzo per cedere il posto ad un passeggero bianco salito dopo di lei. Rosa si rifiutò. Il conducente fermò il veicolo e chiamò due agenti di polizia: lei fu arrestata e incarcerata per condotta impropria e per aver violato le norme cittadine che obbligavano le persone di colore a cedere il proprio posto ai bianchi.
   La notizia del suo arresto suggerì ai leader della comunità afro-americana di utilizzare contro le norme segregazioniste nuove forme di ribellione nonviolenta, come la resistenza passiva e il boicottaggio. Così, cinquanta leaders afroamericani guidati dal pastore protestante Martin Luther King decisero di mettere in pratica il boicottaggio dei mezzi pubblici di Montgomery. La protesta durò per 381 giorni: dozzine di pullman rimasero fermi finché non venne rimossa la legge che legalizzava la segregazione. Questi eventi diedero inizio a numerose altre proteste in molte parti del paese. Martin Luther King descrisse il gesto di Rosa Parks come «l'espressione individuale di una bramosia infinita di dignità umana e libertà».
    Nel 1956, il suo caso arrivò alla Corte Suprema degli Stati Uniti, che sancì come incostituzionale la segregazione sugli autobus pubblici dell'Alabama. Da quel momento, Rosa diventò un'icona del movimento per i diritti civili.
   Assieme al no di Rosa va ricordato e raccontato però anche quello di Claudette Colvin, una studentessa quindicenne che, sempre a Montgomery, alcuni mesi prima – precisamente il 2 marzo del 1955 – aveva compiuto l’identica azione di protesta che avrebbe poi messo in atto a dicembre la Parks. Anche Claudette venne arrestata per aver rifiutato di cedere il suo posto su un autobus a un bianco. Claudette aveva maturato la consapevolezza dei suoi diritti civili e, come Rosa Park, faceva parte della National Association for the Advancement of Colored People, una delle prime e più influenti associazioni per i diritti civili negli Stati Uniti. La ragazza fu tra le cinque querelanti incluse nel caso presentato alla Corte Distrettuale dello Stato dell’Alabama il 1° febbraio 1956 dall'avvocato dei diritti civili Fred Gray. 
     Perché molti conoscono il gesto di Rosa Parks e non quello antesignano di Claudette Colvin? Una spiegazione è legata ai diversi profili biografici delle due donne: Rosa Parks aveva quarantadue anni, era sposata, veniva da una famiglia rispettabile. Claudette Colvin proveniva da una famiglia povera ed era un’adolescente che, secondo alcune voci, era incinta di un uomo sposato. Nel marzo del 1955 e anche dopo, i leader neri di Montgomery non pubblicizzarono l’azione di protesta di Claudette perché la ragazza era considerata troppo vivace e chiacchierona, mentre la figura di Rosa Parks fu poi considerata perfetta per farne la paladina dei diritti civili. 
    Rosa Parks è morta nel 2005 a 92 anni,  dopo aver ottenuto nel 1999  la Medaglia d'oro del Congresso, il più alto riconoscimento civile - assieme alla medaglia presidenziale della libertà - conferito dagli Stati Uniti. Solo recentemente Claudette Colvin, nata nel 1939 e ancora in vita, ha ricevuto alcuni riconoscimenti significativi del suo gesto profetico di disobbedienza civile. Lei stessa qualche anno fa ha dichiarato in un’intervista: «Mi sento molto, molto orgogliosa di quello che ho fatto. Mi sento come se quello che ho fatto sia stato una scintilla. Lasciate che la gente conosca Rosa Parks come la persona giusta per il boicottaggio. Ma fate anche sapere che gli avvocati hanno portato altre quattro donne alla Corte Suprema per sfidare la legge che ha portato alla fine della segregazione.»
      Cara Claudette, possiamo solo auspicare che, a futura memoria, il tuo nome affianchi quello di Rosa tra le donne coraggiose che hanno cambiato in meglio la Storia.

Maria D'Asaro, 29.11.20, il Punto Quotidiano

venerdì 27 novembre 2020

La politica e il fattore R.2

Joan Mirò
         Nostra signora scriveva qui, due anni fa, delle vite diverse di R.1 e R.2, compagni alle elementari, entrambi con le manine giunte alla I Comunione. Continua ancora, inesorabile, la divaricazione dei loro percorsi, l’uno professionista affermato a Milano, l’altro disoccupato disperato a Palermo, in bilico tra noia e sirene criminali.
     La classe politica – locale, regionale e nazionale, di centro-destra e centro-sinistra – ha come primo dovere quello di pensare a R.2 e ai tanti come lui sparsi per la nostra martoriata città. Nostra signora si chiede come possa un politico dormire sonni tranquilli sino a che ai disoccupati non sarà data la possibilità di avere un progetto di vita, utile per sé e la società: finché a una sola persona mancheranno lavoro e una prospettiva di futuro, la politica avrà fallito la sua missione. E a nostra signora, ogni volta che incrocerà lo sguardo sperduto di R.2, si stringerà il cuore.

Maria D’Asaro

mercoledì 25 novembre 2020

Meglio sole che male accompagnate

       In occasione della  Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne,  istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 17 dicembre 1999 (vedi qui), la parola a due maschi illuminati e nonviolenti:
Augusto Cavadi, autore del testo: L’arte di essere maschi libera/mente (Di Girolamo Ed., Trapani, 2020, € 13,90), recensito qui;  una breve intervista a Cavadi qui;
Peppe Sini, direttore del Notiziario “Telegrammi della nonviolenza in cammino”(chi volesse riceverlo gratuitamente può iscriversi qui) che, nel numero 3934 del notiziario, tra le altre riflessioni, nel punto XVII scrive:

Nella Giornata internazionale contro la violenza sulle donne diciamo alcune semplici verita'.

Che sono le donne che mettono al mondo l'umanita'.

Che il gioco della guerra e' una follia dei maschi.

Che e' una follia dei maschi la brama di possesso, di potere, di rapina ed accumulazione, e la volonta' di avvelenare, devastare e distruggere tutto cio' che non si puo' rapire, asservire, possedere.

Che la stessa violenza che i maschi esercitano sulle donne la esercitano sull'intero mondo vivente.

Che la violenza maschile sta mettendo in pericolo l'esistenza stessa dell'umanita' e del mondo vivente.

Che il movimento di liberazione delle donne si oppone a tutte le violenze.

Che il movimento di liberazione delle donne e' rivolgimento accudente e amoroso verso l'intero mondo vivente.

Che il movimento di liberazione delle donne libera l'umanita' intera.

domenica 22 novembre 2020

Impiantare un orto: a scuola dalla natura

       Palermo – Gli effetti collaterali della pandemia si ripercuotono in ogni settore della vita sociale. Un’istituzione che purtroppo sta pesantemente subendo le conseguenze del Covid-19 è la Scuola: docenti, alunni e genitori sono alle prese con ansia, fatica e disagi, amplificati da disposizioni talvolta intempestive, contraddittorie e poco efficaci. In tale contesto, non è facile continuare a insegnare con impegno ed entusiasmo. 
    Ci prova la professoressa Renata Colomba, docente di Filosofia e Storia al Liceo scientifico “Stanislao Cannizzaro” di Palermo, dove – nonostante le lezioni curriculari si tengano a distanza, come da disposizioni vigenti – gli alunni di una classe dell’Istituto, la quarta O, stanno effettuando il Percorso per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO, noto come alternanza Scuola/Lavoro) con attività all’aperto, osservando scrupolosamente le necessarie precauzioni.
      Dove si incontrano e perché lo spiega la professoressa Colomba: “Nello scorso anno scolastico, il liceo “Cannizzaro” ha ottenuto l’approvazione di un progetto che si proponeva di far praticare agli alunni l’alternanza scuola/lavoro con percorsi legati alla natura e all’alimentazione, nel contesto del territorio siciliano. Tale progetto, finanziato con Fondi europei, è stato chiamato “Natura Sì”, e comprende al suo interno due ulteriori percorsi denominati “Siamo ciò che mangiamo” e “Storytelling”. Natura sì” prevedeva un incontro con quattro strutture: un vivaio, un’azienda specializzata nella produzione di olio, l’associazione “Coldiretti” e un’equipe nutrizionista dell’ASP di Palermo che si occupa di alimentazione e di cura dei disturbi alimentari. La chiusura delle scuole, per il lockdown a metà dello scorso anno scolastico, e la didattica a distanza per gli istituti superiori decretata all’inizio di quest’anno hanno messo in crisi e rallentato le attività previste. Noi comunque, adottando tutti gli accorgimenti prudenziali necessari, abbiamo deciso di andare avanti: qualche settimana fa, in collaborazione con il vivaio dell’azienda Cracolici, i ragazzi hanno imparato a impiantare un orto. Ci hanno messo piacere e passione, attratti dalla bellezza del lavorare a contatto con la terra e assai interessati all’approccio con le tecniche agrarie. Successivamente, abbiamo compiuto una passeggiata didattica alla scoperta della vegetazione mediterranea di Monte Pellegrino: gli alunni hanno potuto osservare da vicino la flora autoctona del nostro territorio, scoprendo nel patrimonio naturalistico una grande ricchezza e valenza estetica”.
La professoressa ci informa che il progetto, svolto nel pomeriggio in aggiunta alle normali attività didattiche, dovrebbe proseguire, pandemia permettendo, con una visita a Castelvetrano (in provincia di Palermo) nell’azienda Di Leonardo, specializzata nella produzione di olio; il contatto con la “Coldiretti” fornirà lo sfondo giuridico-normativo relativo alle attività del settore agricolo; mentre l’Equipe Nutrizionista dell’ASP offrirà spunti per l’assunzione di diete alimentari corrette e salutari.
La docente sottolinea poi come queste attività abbiano un valore aggiunto per l’orientamento, inteso come scoperta delle proprie attitudini e dei propri interessi, in vista anche della scelta della formazione universitaria e del lavoro che si vorrebbe svolgere: “Gli alunni, a contatto diretto con le piante, le tecniche agricole, la produzione olearia possono scoprire vocazioni impensate: quella del naturalista, dell’agronomo, del coltivatore diretto…”. E aggiunge: ”Inoltre, l’approccio diretto al mondo della natura e dei suoi prodotti permette anche ai ragazzi che non sono bravissimi in matematica o in latino di riconoscere i propri talenti e le proprie potenzialità, e di accrescere così l’autostima e la capacità di conseguire i propri obiettivi e i propri sogni. E poi il contatto con la natura è un’esperienza salutare e un auspicio di vita nuova”.
Grazie allora alla professoressa Colomba e ai suoi alunni che, con la loro esperienza concreta, dimostrano che la scuola non si fa solo tra le mura di un’aula. Così, anche in questo periodo così cupo e incerto, la natura ci dà una mano per progettare e scommettere sul futuro.

Maria D'Asaro, 22.11.2020, il Punto Quotidiano








giovedì 19 novembre 2020

Boccioli di vita



Allietano

l’aria

i boccioli fioriti:

umile tributo di gloria

alla vita.   
















martedì 17 novembre 2020

Augusto Cavadi: 70 anni vissuti con gioia, impegno e filosofia

     Il 2 ottobre è il giorno natale del Mahatma Gandhi, la giornata internazionale della nonviolenza, la festa degli Angeli custodi e la celebrazione della ‘sacralità’ dei nonni. In questa data bella e importante, il 2 ottobre scorso il professore Augusto Cavadi ha festeggiato il suo 70° compleanno.
   Vi chiederete come sia stata festeggiata la ricorrenza. Ce lo racconta lui stesso qui.
      Dal testo che amiche e amici hanno composto per lui, ecco una sintesi del contributo di Omero Dellistorti (alias Peppe Sini, direttore del giornale telematico “Telegrammi della nonviolenza in cammino”) che, dietro la sua proverbiale caustica ironia, traccia questo profilo a tutto tondo del professore Cavadi.

Veridica soluzione ed autentico disvelamento dell’abominevole segreto e fin qui impenetrabile mistero di Augusto Cavadi:
"Non so se sono autorizzato a rivelare quest'orribile segreto […]: Augusto Cavadi sono otto gemelli che fingono di essere una sola persona. L'ho sempre sospettato, ma la conferma l'ho avuta navigando (navigare necesse est) nel sito www.augustocavadi.com:
C'e' un Augusto Cavadi che fa il professore (povere le giovani menti dei suoi sventurati allievi), il pubblicista [...], il volontario (partecipera' ad almeno otto miliardi di associazioni di disturbatori della quiete pubblica), il militante antimafia (e ti pareva: non finira' dunque mai questa eterna diffamazione nei confronti di chi fa girare l'economia, garantisce la mobilita' sociale dei meritevoli, tiene in riga il popolo basso e sopperisce a tutte le deficienze dello stato ladrone e pelandrone?).
      E gia' questo basterebbe e avanzerebbe per porsi una domandina semplice semplice: come puo' riuscire una sola persona a giocare tante parti in commedia […]: dove lo trova il tempo? Non ce l'ha anche una vita normale? Non si deve tagliare le unghie, andare dal barbiere, lucidarsi le scarpe, giocare la schedina? Non la guarda la televisione? Non li segue il calcio e i varieta'? Non ci va in vacanza o al bar? Non ci gioca a dama e a bocce? Andiamo, qui c'e' sotto qualcosa di strano, di inquietante, di barbarico ed antipatriottico; lo vedrebbe anche un cieco, figurarsi un occhio attento.
Ma poi c'e' anche un Augusto Cavadi che fa il filosofo, il teologo, il pedagogista, il moralista, il politologo, il signor So-tutto-io: e chi si crede di essere, Tommaso d'Aquino? Archimede Pitagorico? Mike Bongiorno? Quello svevo fissato con l'Aufhebung?
       Poi c'e' un altro Augusto Cavadi che dopo averne combinate piu' di Carlo in Francia, dopo aver fatto piu' danni di Campanella e Babeuf messi insieme, organizza ogni par di settimane certe "cenette filosofiche", come le chiama lui […].
Poi c'e' un certo Augusto Cavadi che una volta al mese conciona alla "Casa dell'equita' e della bellezza", che non so che posto sia ma suggerirei al bargello di tenerlo d'occhio, dal nome pare uno di quei posti frequentati da Maupassant e da Dostoevskij, non so se mi spiego.
            E non vogliamo dir niente dell'Augusto Cavadi che sempre una volta al mese a casa sua conversa di "teologia critica" dopo il pasto serale e relative libagioni fin verso mezzanotte? […]
Infine, sempre una volta al mese, ora di qua ora di la' (evidentemente per far perdere le tracce a chi in pro del pubblico bene, dell'ordine e della morale ha il dovere d'ufficio di sorvegliare lui e i suoi sodali), c'e' un Augusto Cavadi che discetta di "spiritualita' laica", che gia' solo l'ossimorica denominazione fa capire l'intento sovversivo (come quel Capitini e quel Dolci che al casellario centrale non bastavano piu’ i faldoni) e i relativi profili psichiatrici e criminologici che avrebbero fatto la gioia di Lombroso.
E poi, non vorrei dimenticarlo, c'e' l'Augusto Cavadi socio fondatore della Scuola di formazione etico-politica "Giovanni Falcone", intitolata a un notorio persecutore di onorati galantuomini che si facevano solo gli affari loro e che aspiravano come ogni persona dabbene a progredire in societa' senza falsi buonismi e sciocche ipocrisie.
E ancora, last but not least, l'Augusto Cavadi socio di una fantomatica Associazione italiana per la consulenza filosofica, che non solo ha un nome impronunciabile che comincia per "Fro" (ma lo scrivono "Phro", che le sanno tutte le callide trovate i mestatori internazionalisti e incendiari) che come minimo sara' una parolaccia sconcia in turcomanno o in ostrogoto, ma che ha anche per ragione sociale - a voler parlar pulito e senza offesa per nessuno - un binomio a cui nessuna persona assennata saprebbe dare un senso decente, un ragionevole significato: "consulenza filosofica"; e da quando in qua una roba da perdigiorno acchiappanuvole [...] potrebbe esser atta a consigliare o consolare qualcuno? […]
Li avete contati? Sono otto. E ditemi voi se e' possibile che una persona (e non dico certo una persona perbene) possa condurre non dico tre, ma neppure due, ma neppure una di queste esistenze, o possa svolgere contemporaneamente piu' d'una di tali funamboliche allucinate dissennate scellerate attivita'. […] ma questi otto messeri che tutti si firmano Augusto Cavadi le pagano tutti le tasse, o fingono di essere una sola persona e quindi ci sono ben sette evasori? Eh? Lo vogliamo fare un controllino? Dorme la Finanza? E' appisolata la Benemerita? [...] La piantassero di dare fastidio a chi fa girare l'economia e garantisce urbi et orbi l'approvvigionamento delle sostanze che rendono felice l'infelice umanita', e si occupassero piuttosto dei sovversivi come il clan degli Augusti Cavadi o come quell'immigrato clandestino figlio di emigrati clandestini che siede nientepopodimenoche' sul soglio di Pietro e che ne dice certe, ma certe, che neanche Mazzini, Marx e Bakunin in combutta tra loro quando fanno a chi le spara piu' grosse, e vorrei vedere se ce li ha i documenti in regola, lo vogliamo fare un controllino anche li'? Eh? C'e' o non c'e' lo stato di diritto? Sara' ora o no di ripristinare lo stato etico?
         Non solo: ma vi e' mai capitato di sfogliarli i libelli di questi messeri che abusano dell'omonimia augustea-cavadiana? Perche' l'orda grafomane degli Augusti Cavadi di libracci ereticali e anarchici ne spaccia piu' delle presunte tipografie di Amsterdam ai tempi del nipote di Rameau; […] sentite un po' qua:
Un libro e' intitolato "Strappare una generazione alla mafia". E non e' violenza questa? Si vuole negare alla mafia il diritto umano e universale a crescere e moltiplicarsi? E' parlare da cristiani, questo?
Un altro libro e' intitolato "Filosofare in carcere": che dimostra ad abundantiam come l'autore lo sappia fin troppo bene quale sia il posto giusto per gente come lui.
Un altro libro ancora ha per sottotitolo "La gabbia del patriarcato": e da quando in qua si possono insultare impunemente i patriarchi? Non ce lo sanno gli Augusti Cavadi riuniti che il fondamento del diritto e' il diritto romano, e il fondamento del diritto romano e' il potere di vita e di morte da parte del pater familias? Ecco che succede a non coltivare le patrie lettere e le gesta imperiali. E le pubbliche autorita' fanno finta di niente?
Non voglio aggiungere altro, ma il Cavadi, ovvero i Cavadi riuniti e nascosti l'un dietro l'altro, questo signor uno-nessuno-e-centomila, questa one-man-band, questa sinagoga di gioachimiti e durrutiani, se la prende sempre con la mafia, come se non lo sapesse che alla mafia l'economia italiana deve tutto; se la prende con i preti pedofili, che ci avranno diritto pure loro a torturare qualcuno o devono solo e sempre fare i bravi? E che sono, Superman? Se la prende con i patrioti della Lega che portano il fardello dell'uomo bianco, difendono il nostro paese e l'italica stirpe dalle razze inferiori nonche' schiave di Roma per natura, e garantiscono nutrimento pregiato al pesce azzurro proibendo di soccorrere i naufraghi nel Mediterraneo.
        E mentre gli Augusti Cavadi […] spargono il loro veleno contro la civilta' dell'Urbe e le glorie littorie, contro tutti i poteri costituiti ufficiali e ufficiosi, contro la societa' fondata sull'onore e l'obbedienza, contro le liturgie sacrificali che tanta parte sono di ogni cultura superiore, il Provveditorato agli studi ronfa? la Questura se la dorme? la Prefettura non si accorge di niente? la Diocesi volge lo sguardo da un'altra parte? La Pro loco, la Procura, la Forestale, l'Asl, l'Inps, la Filarmonica, il Circolo di cucito e quello di scacchi, l'Universitas studiorum nonche' Alma Mater e le Accademie tutte, il Coni, le associazioni dell'industria, dell'artigianato e del commercio, gli ordini professionali, le Forze armate, i cavalieri del lavoro e i commendatori della repubblica, le associazioni di combattenti e reduci, fino al Quirinale, alla Presidente della Commissione europea e al Segretario dell'Onu, tutti in catalessi? Il Comune, la Regione, i competenti Ministeri tutti distratti dagli spogliarelli in tivu'? Ma fatemi il santo piacere. O tempora, o mores. […] Il clan degli Augusti Cavadi continua ad attoscarci con i suoi proclami e le sue concioni come se niente fosse. Poi ditemi voi se qui non ci vorrebbe il duce, o almeno quel bravo ragazzo dei porti chiusi e le ruspe in azione."


Chi cerca... cerca. Un profilo a tutto tondo di Augusto Cavadi, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2020 
Per eventuali richieste, inviare mail a: barbara@ilpozzodigiacobbe.it


domenica 15 novembre 2020

Frederick Douglass, da schiavo a candidato vicepresidente

Frederick Douglass
      Palermo – Negli Stati Uniti d’America, che in questi giorni hanno eletto Biden, il 46° Presidente, c’è una lunga storia di lotte per il riconoscimento dei diritti civili e politici di tutti i cittadini. Al fianco di Biden sarà la vice Presidente Kamala Harris: prima donna, afro-americana per giunta, a ricoprire tale ruolo. Non a caso, in onore delle suffragette che si sono battute per il diritto di voto, la Harris ha tenuto il suo primo discorso con un tailleur bianco.
    Nel solco delle battaglie per l’uguaglianza, spicca la straordinaria figura di Frederick Douglass, che visse nel XIX secolo, quando negli Stati Uniti del sud era legale la schiavitù. Egli nacque infatti come schiavo nel Maryland, forse nel 1818. Scrisse nelle sue memorie:: «Non ho un'idea precisa della mia età perché non ho mai visto un documento ufficiale che la registrasse. L'enorme maggioranza degli schiavi sanno, della loro età, quanto ne sanno i cavalli… e su questo punto tutti i padroni di mia conoscenza ci tengono a mantenerli nel buio più completo. [...] Fu questa, per me, una causa di disagio sin dall'infanzia. I ragazzi bianchi sapevano dire quanti anni avevano: perché mi era negato lo stesso privilegio?». 
     Strappato subito alle cure della madre, Harriet Bailey, e poi anche a quelle della nonna, Betty Bailey, fu venduto a sette anni a nuovi padroni. La sua fortuna fu l’essere capitato a servizio da un certo Hugh Auld, la cui moglie Sophia gli insegnò l’alfabeto, infrangendo la legge che vietava di insegnare a leggere agli schiavi. Il ragazzo imparò presto e da allora lesse con avidità e interesse qualsiasi testo fosse alla sua portata: quotidiani, manifesti, libri. Dichiarò poi che furono proprio i libri a cambiare il suo modo di pensare, inducendolo a rifiutare la schiavitù, che considerò una ferita per l’umanità.
Quando fu venduto a un nuovo padrone, Douglass insegnò agli altri schiavi a leggere il Nuovo Testamento. Douglass tentò varie volte la fuga, riuscendo a farcela davvero il 3 settembre del 1938, quando, vestito con un'uniforme da marinaio e munito di documenti di identità falsi avuti da un marinaio nero libero, raggiunse New York a bordo di un treno. Ma divenne legalmente libero solo dopo i due anni di permanenza in Gran Bretagna e Irlanda, dal 1845 al 1847, quando gli amici inglesi “comprarono” la sua libertà pagando il suo ultimo proprietario.
     Da libero, Frederick Douglass iniziò la sua opera di scrittore, editore, oratore, abolizionista e uomo politico: partecipò al progetto delle cento riunioni dell'American Anti-Slavery Society, un programma di incontri pubblici contro la schiavitù in tutto l'est e il midwest degli Stati Uniti; prese parte alla “Convention di Seneca Falls”, che sancì la nascita del movimento femminista statunitense; fu uno strenuo sostenitore del diritto di voto alle donne. Convinto poi dell’estrema importanza dell'istruzione per migliorare la vita degli afroamericani, fu anche uno dei primi sostenitori della necessità di abolire la segregazione razziale nelle scuole e dichiarò che l'inclusione nel sistema educativo era per gli afroamericani un'esigenza più urgente e pressante persino della rivendicazione politica del diritto di voto. 
    Prima della guerra civile (1861-1865) Douglass, stimato opinionista come direttore del giornale “North Star”, era già diventato uno dei neri più famosi del paese, assai noto per le sue prese di posizione sulla condizione dei neri e i diritti delle donne. In varie occasioni, era solito ripetere: «Mi assocerei con chiunque per fare la cosa giusta e con nessuno per fare quella sbagliata». Amico dell'abolizionista radicale John Brown, disapprovò però il suo progetto di un’insurrezione armata degli schiavi negli Stati del sud. Allo scoppio della guerra civile, Douglass e gli abolizionisti sostennero che, poiché il conflitto era scoppiato per porre fine alla schiavitù, agli afroamericani in fuga dagli stati del Sud doveva essere permesso di arruolarsi e combattere per la propria libertà.
     Ciò fu possibile dopo il 31 dicembre 1862, quando il presidente Lincoln emanò il Proclama di Emancipazione, che dichiarava liberi gli schiavi dell'Unione. Così Douglass elaborò un programma per far partecipare alla guerra gli ex schiavi: lui stesso servì l'Unione come reclutatore per il 54º Reggimento del Massachusetts. Alla fine del conflitto, l'emancipazione e la fine della schiavitù furono ratificate con l'approvazione del 13° emendamento, che sanciva anche la cittadinanza agli schiavi liberati, mentre il 14° e il 15° emendamento garantivano a tutti i diritti civili, la stessa tutela davanti alla legge e impedivano limitazioni razziali per il diritto di voto. Dopo il 1865, Frederick Douglass ricoprì diversi incarichi: fu presidente della Freedman’s Savings Bank, l'organizzazione governativa creata per sostenere lo sviluppo delle comunità afroamericane da poco emancipate; sceriffo del Distretto di Columbia; Minister Resident e console generale presso la Repubblica di Haiti (1889–1891).
      Il suo scritto più famoso rimane la sua prima  autobiografia del 1845: “A Narrative of the Life of Frederick Douglass, an American Slave”, scritta così bene che alcuni attaccarono la paternità dell’opera, mettendo in dubbio che un nero sapesse scrivere un testo di tale qualità letteraria. Il libro diventò per quei tempi un campione di vendite: nei primi tre anni dalla pubblicazione fu ristampato nove volte, fu tradotto in francese e olandese e pubblicato anche in Europa.
     Alle elezioni presidenziali del 1872, la sua sfama indusse gli esponenti del Partito per l'eguaglianza dei diritti a candidarlo, a sua insaputa, per la vicepresidenza degli Stati Uniti. 
Frederick Douglass morì il 20 febbraio 1892 a Washington, dove, per la sua forza morale, era ormai soprannominato il Leone di Anacostia (dal nome di un quartiere storico della capitale). Ha lasciato in eredità la sua incrollabile idea di eguaglianza e la sua testimonianza di vita, raro esempio di capacità di lotta, di integrità morale e di resilienza. Virtù di cui, oggi come ieri, c’è un grande bisogno.

Maria D'Asaro, 15.11.2020, il Punto Quotidiano


giovedì 12 novembre 2020

In terra straniera

 
       Nostra signora è in fila davanti al panificio. La precedono due persone: sembrano due pensionati, tra i 65 e i 75 anni, un uomo e una donna. Chiacchierano animatamente, a voce alta. E’ chiaro che si conoscono e frequentano la stessa parrocchia.
       L’uomo dice alla signora: “Hai sentito? Forse ci sarà un vaccino contro il Covid”. Lei ribatte: “Non ci credo tanto. E poi bisogna riconoscere la volontà di Dio nella morte: se uno muore, anche di Covid, vuol dire che è venuta la sua ora. E basta”. Poi entrano, la signora con la mascherina abbassata, e la discussione finisce qui. 
     Colpita dalla certezza granitica della sua simile, nostra signora è molto a disagio: ha delle perplessità sull’interventismo divino nella storia umana, e poi sta anche leggendo un testo sui limiti di una certa concezione teistica… Così oggi, in un panificio, lei si sente un’aliena, in esilio in terra straniera…


Maria D'Asaro

martedì 10 novembre 2020

L’acqua? C’è anche sulla Luna e su Marte

       Palermo – “Nei mari della luna tuffi non se ne fanno: non c’è una goccia d’acqua, pesci non ce ne stanno. Che magnifico mare, per chi non sa nuotare!” Così poetava, qualche decennio fa, il grande maestro Gianni Rodari. Che oggi avrebbe scritto una filastrocca un po' diversa: il Boeing 747 SOFIA (acronimo per Stratospheric Observatory For Infrared Astronomy) ha stabilito infatti che ci sono minime particelle di acqua anche sulla superficie del nostro satellite. La presenza nel polo sud della Luna di crateri ghiacciati, contenenti la preziosa molecola H2O, era già nota da tempo agli studiosi; ma solo di recente, nella medesima zona lunare, è stato scoperto il cratere Clavius, che contiene però molecole d’acqua in quantità davvero piccolissima, pari a un centesimo di quelle esistenti nel deserto del Sahara. L’ulteriore novità è che il Boeing Sofia – capace di volare nella stratosfera sino a 13 km di altezza, dotato di un potente telescopio a infrarosso che studia i dettagli della nostra galassia – avrebbe ‘fiutato’ tracce di acqua anche sulla superficie lunare, tramite la misurazione della relativa lunghezza d’onda. 
      «Volando ad altitudini così elevate – ha spiegato Naseem Rangwala, project scientist del Boeing per l’Ames Research Center della Nasa - Sofia è in grado di eliminare il 99.9% dell’oscuramento dovuto al vapore acqueo dell’atmosfera. Riesce così a osservare fenomeni impossibili da vedere con la luce visibile. È stata la prima volta che Sofia ha osservato la Luna: ci ha permesso di rilevare la presenza di acqua sul lato illuminato della Luna senza che le osservazioni fossero contaminate dall’acqua dell’atmosfera terrestre». 
    «Avere visto la firma spettrale della molecola di acqua nel Clavius Crater con il telescopio nell’infrarosso a bordo della missione Sofia – ha commentato Barbara Negri, Responsabile dell’Unità Esplorazione e Osservazione dell’Universo dell’Agenzia Spaziale Italiana - è di per sé una notizia sensazionale. Questa scoperta scientifica porta, inoltre, un contributo fondamentale alla comprensione dell’ambiente lunare, fornendo l’informazione che diverse regioni della luna potrebbero ospitare acqua ghiacciata, e rendendo così più accessibile un suo futuro utilizzo. Il prossimo passo sarà quello di capire l’origine dell’acqua sulla Luna».
       Non solo sulla Luna: è certo che un po’ d’acqua ci sia anche su Marte. Già un paio di anni fa, un gruppo di scienziati italiani - coordinati da Elena Pettinelli e Sebastian Emanuel Lauro, dell'Università di Roma Tre, con Roberto Orosei, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica - scoprirono la presenza di un lago salato grande circa 20 kmq, intrappolato a 1 km di profondità, in prossimità del polo sud del pianeta rosso. Ora gli studiosi, nello stesso luogo, avrebbero verificato l’esistenza di altri tre laghi. L’elevato livello di salinità e il fatto che il deposito idrico si trovi nel sottosuolo permette all’acqua di non congelare: cosa impossibile sulla superficie marziana che fa registrare una temperatura di circa –110 gradi (mentre nel sottosuolo la temperatura è solo, si fa per dire, di -80, - 90 gradi circa). Gli scienziati ipotizzano che, prima che le condizioni ambientali del pianeta cambiassero radicalmente rendendolo una landa desolata, su Marte l’acqua si trovasse quasi sicuramente in superficie; in seguito è rimasta intrappolata sotto il suolo marziano. Difficile dire se in quei laghi salati ci siano forme di vita, seppure nella forma di molecole semplici e primordiali…
     Per saperne di più, dobbiamo aspettare circa tre anni. Infatti la missione ExoMars, condotta dall'ESA – European Space Agency – in collaborazione con l’Agenzia spaziale russa Roscosmos, proseguirà nel settembre 2022 quando lancerà su Marte la sonda Mars Express con un rover messo a punto dall’ESA, l’agenzia spaziale europea. Il rover, alimentato da celle fotovoltaiche e capace di muoversi autonomamente su Marte, effettuerà analisi geologiche e biochimiche per studiare la formazione delle rocce in prossimità della superficie e cercare tracce di vita presente o passata. Secondo il comunicato dell’agenzia spaziale, l’arrivo del rover su Marte è previsto il 10 giugno 2023 alle ore 17.30. 
     Segniamolo in agenda già adesso e non prendiamo impegni, per quel pomeriggio…

Maria D'Asaro, 08.11.2020,  il Punto Quotidiano

domenica 8 novembre 2020

America

         “America. Una parola carica di segno positivo, specie in Sicilia, dove ‘Trovasti l’America?’ vuol dire trovasti ricchezza, abbondanza, benessere. La mia generazione, di chi aveva 20 anni nel ’45, ama l’America. E non solo per i ricordi fisici e profondi come il profumo delle prime Camel, il primo pane bianco, le prime notti senza bombardamenti, ma per quell’orizzonte che ci si squarciò e di cui non sapevamo niente o ben poco, libertà di associazione, di stampa, di parola, Faulkner, il cinema, il jazz, insomma tutti i crismi di un grande amore che ha resistito al tempo e alle delusioni. Hanno massacrato gli indiani, sì, ma hanno scritto ben prima della rivoluzione francese la Dichiarazione d’indipendenza del 4 luglio 1776: hanno il Klu Klux Klan, la sedia elettrica, il Bronx-Zen, la corruzione e l’arroganza, certo, ma rimane pur sempre un grande paese libero, sede di tutto il male e di tutto il bene dei tempi moderni.”

Giuliana Saladino, Rivista Segno n.121/122, gennaio/febbraio 1991

venerdì 6 novembre 2020

Attraversare le paure

Egon Schiele: Autoritratto - 1915
     "Abbiamo paura. Siamo dentro la paura. Paura di essere contagiati o contagiosi. […] Temiamo la superficialità di chi ci sta accanto. Temiamo di essere atterrati dal virus, di perdere il lavoro […], di restare tagliati fuori dalle reti sociali e familiari. È una paura che confonde e che nei più fragili diventa terrore: «Non ne usciremo più!». Viviamo con l’incubo di doverci piegare chissà per quanto ancora alle gelide leggi della pandemia. 
    Conviviamo con l’angoscia di continuare a sottrarci senza tempo ad abbracci e ad incontri, a contatti e respiri. Il distanziamento mentre contrae i corpi dissecca le anime: ci rende lentamente ma quasi inesorabilmente più tristi. E la paura della solitudine? Negli ospedali si entra da soli e soli si rimane. […]
E poi il virus non puoi controllarlo. In una società come la nostra, in cui un quarto d’ora di visibilità rischia di essere più prezioso del paradiso, siamo stati atterrati da un virus invisibile. Non lo vedi né in te né nell’altro, ma è lì. […] 
     E poi la pandemia è segnata oggi da pesantezze ignote alla prima ondata. Non c’è più la chiarezza che veniva dallo stare a casa, dai provvedimenti univoci. Non si sa quanto proteggersi e quanto si esageri. Soprattutto, gli eroi della primavera – i medici e gli infermieri, gli operatori della sanità, i volontari – sono stanchi. Forse i loro sforzi non sono stati abbastanza riconosciuti ed ascoltati. La sanità non è pronta come speravamo. Paghiamo ritardi e disinvestimenti di decenni. Scontiamo un sistema che scarta i poveri, che non si cura degli anziani, che non pensa alla salute di tutti, che coltiva l’eccellenza e non custodisce la normalità. Siamo messi di fronte ad una responsabilità individuale e sociale che fatichiamo a reggere: la nostra estate lo ha dimostrato. 
     Ma allora che fare? Come fronteggiare la paura? Come ritrovare la fiducia? Siamo di fronte a compiti epocali: cambiare un mondo profondamente ingiusto, trovare un senso diverso ad una vita che pensavamo di dominare e che ora ci sfugge, che ci fa sentire gettati nel dubbio, nell’insicurezza, nella paura appunto. Nessuno ha ricette facili. Non ci sono scorciatoie. 
     Ricominciamo – direi – da un modo nuovo di raccontarci. Dobbiamo cambiare i nostri sogni. Abbiamo sognato a lungo sulla base della nostra immagine. Ora siamo chiamati ad altri sogni: sogni di cuori svegli e di relazioni nutrienti, di ciò che solo rende vera la vita. Perché quando passerà la tempesta dovremo ritrovarci più consapevoli e più pieni di umanità. Più distanti dal gioco delle immagini e delle apparenze, pronti a vedere quell’invisibile che solo il cuore vede.
     Siamo provati, ma il tempo è propizio. Guardiamo più a fondo. Guardiamo oltre. La paura è in origine un’emozione che salva la vita. Un delicatissimo dispositivo di protezione. Può essere solo adeguata o inadeguata. C’è la paura irrealistica, dove si percepisce come minaccioso ciò che non lo è; e c’è la mancanza assoluta della paura, che non è coraggio ma solo autodistruzione. Paura e coraggio non sono separabili. Un coraggio senza paura ci rende euforici e ci porta al fallimento: non vediamo il pericolo. Una paura senza coraggio ci paralizza: non vediamo la vita. Sia la paura che il coraggio sono attivati dall’interesse. È l’interesse a suscitarli. Restare interessati alla vita: questo dobbiamo fare di fronte alla paura. Restare vivi. Non lasciarci ossessionare dall’oggetto della paura, non lasciarci contrarre. Ecco la pienezza che ci è offerta: vivere la vita che abbiamo in questo momento tra le mani, vivere il presente. […] 
     Amico, ascolta il tuo corpo quando hai paura. Cerca di sentirlo tutto. Non solo il petto che tracima ansia. Respira largamente. Dalla testa ai piedi. Attraversa il tuo corpo. Senti la sua vitalità. Continua anche in quel momento ad amare la vita, a sentirti interessato a tutte le vite: la tua, quella di ognuno, quella del creato. 
      E porterai a compimento, a testa alta, il tuo essere nel mondo."

Giovanni Salonia: quotidiano “La Sicilia”, 1.11.2020; qui l’articolo integrale.

mercoledì 4 novembre 2020

4 novembre, non festa ma lutto

Dopo ogni guerra
c'e' chi deve ripulire.
In fondo un po' d'ordine
da solo non si fa.

C'e' chi deve spingere le macerie
ai bordi delle strade
per far passare
i carri pieni di cadaveri.


C'e' chi deve sprofondare
nella melma e nella cenere,
tra le molle dei divani letto,
le schegge di vetro
e gli stracci insanguinati.

C'e' chi deve trascinare una trave
per puntellare il muro,
c'e' chi deve mettere i vetri alla finestra
e montare la porta sui cardini.

Non e' fotogenico,
e ci vogliono anni.
Tutte le telecamere sono gia' partite
per un'altra guerra.

Bisogna ricostruire i ponti
e anche le stazioni.
Le maniche saranno a brandelli
a forza di rimboccarle.

C'e' chi, con la scopa in mano,
ricorda ancora com'era.
C'e' chi ascolta
annuendo con la testa non mozzata.
Ma presto li' si aggireranno altri
che troveranno il tutto
un po' noioso.

C'e' chi talvolta
dissotterrera' da sotto un cespuglio
argomenti corrosi dalla ruggine
e li trasportera' sul mucchio dei rifiuti.

Chi sapeva
di che si trattava,
deve far posto a quelli
che ne sanno poco.
E meno di poco.
E infine assolutamente nulla.

Sull'erba che ha ricoperto
le cause e gli effetti,
c'e' chi deve starsene disteso
con una spiga tra i denti,
perso a fissare le nuvole.
 
Wislawa Szymborska, in La gioia di scrivere: La fine e l'inizio, pag.503
traduzione di Pietro Marchesani, Adelphi, Milano 2009


Cosa canta il soldato, soldatino
Dondolando, dondolando gli scarponi,
seduto con le gambe ciondoloni
sulla tradotta che parte da Torino?
<<Macchinista del vapore,
metti l’olio agli stantuffi,
della guerra siamo stufi
e a casa nostra vogliamo andà>>.
Soldatino, canta canta:
cavalli otto, uomini quaranta.

Gianni Rodari, La tradotta, in Filastrocche in cielo e in terra

                                                                                        

Stralci dall'appello "Ogni vittima ha il volto di Abele" promosso dal Movimento Nonviolento, da Peacelink e da altre esperienze nonviolente.
4 novembre 2020: non festa ma lutto. Ogni vittima ha il volto di Abele

      Meno armi piu' salute, ridurre drasticamente le spese militari e devolvere i fondi a sanita', assistenza, ricerca e servizi pubblici. Proponiamo che il 4 novembre (nel rispetto delle norme per il contenimento della pandemia) si svolgano commemorazioni nonviolente delle vittime di tutte le guerre, commemorazioni che siano anche solenne impegno contro tutte le guerre e le violenze. Affinche' il 4 novembre, anniversario della fine dell'inutile strage della prima guerra mondiale, cessi di essere il giorno in cui i poteri assassini irridono gli assassinati, e diventi invece il giorno in cui nel ricordo degli esseri umani defunti vittime delle guerre gli esseri umani viventi esprimono l'impegno affinche' non ci siano mai piu' guerre, mai piu' uccisioni, mai piu' persecuzioni.
      Queste iniziative di commemorazione e di impegno morale e civile devono essere rigorosamente nonviolente. […] Contro tutte le guerre, contro tutte le uccisioni, contro tutte le persecuzioni. Per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani.
Ogni vittima ha il volto di Abele. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
Per questo sosteniamo la richiesta che l'Italia sottoscriva e ratifichi il Trattato Onu per la proibizione delle armi nucleari del 7 luglio 2017 entrato in vigore dopo la cinquantesima ratifica nei giorni scorsi.
       Per questo chiediamo una drastica riduzione delle spese militari che gravano sul bilancio dello stato italiano per l'enorme importo di decine e decine di milioni di euro al giorno. 
      Riteniamo essenziale l'avvio di una politica di disarmo, poiche' le armi sempre e solo uccidono gli esseri umani. [...]. La pandemia ha dimostrato quanto sia importante, preziosa e vitale la sanita' pubblica, la tutela e la salubrita' dell'ambiente, la difesa e il sostegno dei piu' fragili e indifesi, dei piu' sfruttati e impoveriti, dei piu' emarginati ed oppressi della societa', ovvero il riconoscimento dell'eguaglianza di dignita' e diritti di tutti gli esseri umani. Abolire le guerre e garantire piu' salute e diritti per tutte e tutti. Meno armi – strumenti di morte – e piu' risorse per sanita' e assistenza, previdenza e protezione sociale, servizi pubblici per tutte e tutti. Siano drasticamente ridotte le spese militari, e i fondi pubblici cosi' risparmiati siano utilizzati per la sanita', l'assistenza, la ricerca scientifica orientata al bene comune dell'umanita', la difesa della vita, della dignita' e dei diritti di tutte e tutti, la condivisione del bene e dei beni. Per questo sosteniamo la Campagna "Un'altra difesa e' possibile", che prevede l'istituzione di un Dipartimento per la difesa civile, non armata e nonviolenta.Pace, disarmo, smilitarizzazione. Tutela della salute di tutte e tutti. Solo la pace salva le vite. Salvare le vite e' il primo dovere.

Movimento Nonviolento, contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. e fax: 0458009803, e-mail: an@nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it
PeaceLink, contatti: e-mail: info@peacelink.it, abruzzo@peacelink.it, sito: www.peacelink.it

lunedì 2 novembre 2020

“Il Trionfo della Morte”: capolavoro dell’arte macabra

     Palermo – Pare che la sua forza espressiva abbia ispirato persino Picasso per la celeberrima Guernica: si tratta de “Il Trionfo della Morte”, un affresco staccato maestoso e imponente (6 metri di altezza per 6,42 di larghezza), conservato a Palermo nella Galleria regionale di Palazzo Abatellis.
      L’opera, di autore ignoto, risale al 1446 circa e proviene dal cortile di Palazzo Sclafani, sede nel quindicesimo secolo del primo grande ospedale pubblico del capoluogo siciliano. L’affresco rimase per cinque secoli a palazzo Sclafani, ma nel 1943 i bombardamenti della seconda guerra mondiale distrussero il tetto dell’edificio compromettendo l’integrità del dipinto che, dopo due restauri, fu collocato a Palazzo Abatellis. L’elevato livello artistico dell’affresco fa ipotizzare una committenza reale, che avrebbe chiamato un artista straniero a realizzarlo: regnava allora a Palermo Alfonso V d’Aragona, sovrano colto e illuminato, fautore di scambi artistici e culturali con altri Paesi. 
     Chiunque sia stato l’autore dell’opera – il francese Guillaume Spicre? il pittore spagnolo Peris Gonzalo? l’inglese Maestro di Barthélemy? addirittura il giovane Antonello da Messina? - il tema del trionfo della Morte, già diffuso nel Trecento, viene qui rappresentato con espressività significativa e potente, con una particolare insistenza ossessiva sul tema del macabro.
      La Morte, che irrompe in un giardino sul dorso di un enorme spettrale cavallo scheletrico, lanciando frecce che uccidono personaggi di tutte le fasce sociali, occupa la parte centrale dell'affresco. La Morte ha al suo fianco la falce e una faretra, suoi tipici attributi iconografici, ed è raffigurata nell'attimo in cui ha appena scoccato una freccia, che ha colpito il collo di un giovane, nell'angolo destro in basso. Lì si trova il gruppo degli aristocratici che, tranne quelli più vicini ai cadaveri, continuano imperterriti le loro attività. Tra essi ci sono musici, dame riccamente abbigliate e cavalieri, come quelli che chiacchierano ai bordi della fontana, simbolo di vita e di giovinezza. 
       Ecco, in una sintesi, cosa scrive del dipinto la professoressa Mariasole Garacci, anche sulla base di un testo del professore Michele Cometa: “Si tratta di una delle più impressionanti opere d’arte di tutta la cultura figurativa occidentale, scaturita dalla particolare congiuntura di un attardato medioevo siciliano al crocevia tra la Spagna, la Borgogna e Napoli. La visione di questo affresco è esattamente quella di una fotografia istantanea che coglie la varietà di espressioni e sentimenti di coloro che stanno per essere raggiunti dalla morte, o che ne sono stati appena colpiti. Su questo dipinto Michele Cometa, docente di Storia comparata delle culture e Cultura visuale all’Università degli Studi di Palermo, ha pubblicato un saggio, Il Trionfo della morte di Palermo. Un’allegoria della modernità, che ne propone una lettura originale e moderna. Il Trionfo della Morte è per Cometa un testo figurativo di straordinaria modernità che evade i limiti delle consuete rappresentazioni dello stesso soggetto e quelli delle danze macabre che, nel XV secolo, si diffondono in tutta l’Europa settentrionale: trionfi e danze macabre, il cui terribile monito o pauroso nichilismo sub specie mortis è ancora presente nel nostro immaginario, ma pur sempre espressione di una spiritualità pessimista e religiosa di stampo medievale.
      Non si tratta invece, nel Trionfo palermitano, della promessa di una giustizia divina che risarcisca gli squilibri sociali del mondo, o di predicare la folle vanità del tutto, bensì di una umana e laica riflessione, disincantata ma, come si vedrà, non pessimista, sulla sofferenza dell’uomo, sul suo rapporto con la morte, e sul silenzio di Dio. Cometa puntualizza infatti che: “Ad essere determinanti non sono le fonti dunque o le analogie iconografiche, né la vana ricerca dell’autore. Ciò che conta è il riconoscimento del segnale che da questa immagine si diparte, una luce che intercettiamo e comprendiamo perché ci parla di un’esperienza che s’irradia nel nostro mondo, nel nostro tempo, che determina ancora oggi i nostri sentimenti, le nostre azioni... Davanti alla morte siamo tutti uguali: questa la lezione che trionfi, danze e artes moriendi continuano a trasmetterci. Ma siamo soprattutto sempre gli stessi”.  
      E la studiosa conclude così la sua analisi: “Il retribuzionismo medievale e dantesco sembra però rovesciato, perché se la morte lascia dietro di sé, risparmiandoli, proprio i poveri, che esausti invocano la fine delle loro sofferenze, e colpisce inesorabile i ricchi e i potenti, sono i poveri in realtà a restare delusi e sconfitti. Nulla, in questa raffigurazione, suggerisce un risarcimento postumo, una vita eterna dopo la morte: tutto parla della morte come di un problema esistenziale, a prescindere da Dio. Restano la compassione, l’empatia e la cura nei confronti del prossimo - unica soluzione tutta terrena al vuoto di senso sperimentato dall’uomo - rappresentate da alcuni personaggi colti in un sospeso e silenzioso concatenarsi di sguardi e mani che si sfiorano. Infine, il personaggio del falconiere che si distrae dalla scena guardando oltre la siepe potrebbe essere una citazione da un passo finale del libro sapienziale di Giobbe, in cui si rivela una soluzione delle sofferenze umane nell’invito ad affrontarle in una prospettiva cosmica e non ego/antropocentrica. Non già ricorrendo, dunque, a una consolatoria promessa di vita eterna o rivolgendosi a Dio, ma esercitando qui, nella nostra vita terrena, la capacità di elevare lo sguardo poco più in là della nostra limitata persona.”

Maria D'Asaro, 1.11.2020, il Punto Quotidiano