Se si ha il privilegio di ricevere da un’amica speciale il testo Democrazia cristiana. Il racconto di un partito (Sellerio, Palermo, 2019, €16) scritto dall’ex democristiano Marco Follini, lo si legge con particolare attenzione.
Perché l’amica - figlia di un esponente di rilievo del partito, già Presidente della Regione siciliana e più volte Ministro della Repubblica - ha impreziosito il dono con la dedica “Con affetto e nel ricordo di un passato... comune” (comune in quanto anche mio padre è stato militante democristiano, Sindaco di un paesino della Sicilia).
Si può capire quindi che, nello scorrere le 234 pagine, la scrivente sia stata mossa da interesse autentico, con aspettative precise. Che, purtroppo, sono state in parte deluse. Intanto, perché ci si aspettava un’analisi un po' più approfondita del contesto storico in cui - dal 1943 all’inizio del 1994, quindi per più di mezzo secolo - ha operato la Democrazia Cristiana; contesto che ne ha determinato le scelte politiche e strategiche e condizionato i comportamenti individuali. E invece, da questo punto di vista, si rimane piuttosto insoddisfatti, in quanto, rispetto ad alcuni eventi storici cruciali, il saggio si limita a pizzicare superficialmente qualche corda di riflessione.
In particolare, su alcuni aspetti storici e fatti concreti, si avverte una certa reticenza, una sorta di peccato di omissione: ad esempio, sul ruolo ingombrante della Dc siciliana. Anche se, a parziale discolpa dell’autore, è possibile abbia giocato la sua distanza fisica dall’isola. Forse, per un non siciliano, “abitare” la Dc a Roma, seppure da responsabile del settore giovanile e poi da parlamentare, sarà stato assai diverso che vivere nello stesso partito dall’interno della Sicilia.
Sarà forse per questo che, nei dodici capitoli che prendono il nome dagli aggettivi con cui di volta in volta è definita la DC, non ce ne sia uno dedicato ai rapporti con la mafia? Eppure, la presenza nel partito di esponenti di rilievo come Salvo Lima e Vito Ciancimino, l’omicidio di Michele Reina nel 1979, il suicidio misterioso di Rosario Nicoletti nel 1984, l’uccisione del sindaco di Palermo, Giuseppe Insalaco, nel 1988, l’eclatante assassinio del Presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella il 6 gennaio 1980, le posizioni dell’allora democristiano Leoluca Orlando, sindaco di rottura con la “primavera di Palermo”… tutto questo e altro ancora avrebbero richiesto quasi d’ufficio uno spazio, se non un intero capitolo, dal titolo “Il partito e la mafia”.
A proposito dei titoli dei capitoli, alcuni non sono parsi del tutto calzanti: può essere definito “impersonale” un partito con esponenti del calibro di De Gasperi, Fanfani, Andreotti, Moro? Forse sarebbe stato più pertinente titolare “Il partito plurale”. E poi, visti i contenuti trattati, anziché “Il partito quotidiano” era forse più appropriato “Il partito dei compromessi”. Anche il decimo capitolo si sarebbe potuto battezzare diversamente, spezzando una lancia a favore della Balena bianca e definendo qui la DC “Il partito anti-populista”, anziché “Il partito impolitico”. Infatti, qui si sottolinea: “Il nostro impegno era volto contro l’eccesso, e insieme contro il difetto, della politica”: “Il merito di noi democristiani fu insomma di non esagerare con la politica e insieme di non civettare – quasi mai – con l’antipolitica”. “La nostra idea di politica non concedeva nulla alle suggestioni di una «deriva plebiscitaria”.
Si rimane poi perplessi riguardo alla pagina cruciale della storia italiana relativa al rapimento e assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Appare incomprensibile e spiazzante il sostanziale silenzio sul ruolo della Democrazia Cristiana in quel terribile frangente. Colpisce inoltre l’uso di un verbo, a pag.75, riferito a Moro: “Quando morì…”. Il Presidente della Democrazia cristiana morì, è vero, quel tragico 9 maggio 1978. Ma non di morte naturale. Avremmo voluto leggere: “Quando fu assassinato”. Eccesso di pignoleria sull’uso delle parole? Forse. Ma “Le parole sono pietre”.
A questo proposito, se si effettuasse un’analisi semantico/lessicale del libro col metodo delle cosiddette ‘occorrenze linguistiche’, sarebbe interessante vedere quanti e quali sostantivi e aggettivi siano stati più utilizzati. Forse un’analisi del genere evidenzierebbe la sostanza complessiva del libro: pennellate di ‘colore’ al quadro maestoso della Balena bianca, senza un tratto deciso. Letto in quest’ottica “impressionista”, del testo si apprezzano le tonalità espressive ‘lievi’ e garbate.
Ѐ corretto comunque sottolineare che, qua e là, compaiono anche notazioni di spessore, interessanti e condivisibili. Eccone di seguito alcune: “La Dc aveva una singolare capacità di attrarre sotto le sue bandiere un voto, diciamo così, non democristiano. Espresso di volta in volta da un elettorato che sembrava non conoscere né la dottrina né i programmi del partito, ma che tuttavia finiva per rispecchiarsi proprio in questo profilo più basso con cui noi democristiani ci presentavamo a loro”.
E poi: “Moro aveva compreso che se il comunismo era il nemico evidente, indiscutibile […] un nemico degno di un grande partito come la Dc, la destra era invece il demone interiore, il cancro segreto […]. La Dc era nata in opposizione al fascismo e quella distanza apparteneva alla sua natura […]. Si poteva essere moderati. Conservatori proprio no. Tantomeno reazionari.”
Ancora, dal capitolo ‘Il partito incompiuto’, forse uno dei migliori: “Il fatto è che il primato democristiano, alla metà del secolo, fu la ghigliottina che tagliò di netto tutte le ideologie del novecento: il liberalismo, il socialismo, il fascismo, il comunismo. […] Certo, nel prendere noi il posto che ognuno di loro rivendicava per sé avevamo finito per fare nostre alcune delle loro ragioni. […] In definitiva, si può dire che la Dc sia stata un controverso tentativo di unificazione politica e civile del paese”.
E infine: “La caduta del muro di Berlino archiviò nel 1989 il lungo dopoguerra e certificò le nostre ragioni. Ma la gran parte dei calcinacci caddero paradossalmente dalla nostra parte. I nostri meriti finirono per diventare meno attuali. […] L’indulgenza che ci aveva accompagnato per tutti quegli anni ci veniva sottratta proprio quando pensavamo di avervi più diritto.”
Maria D’Asaro
Da buon sessantenne, allora presuntamente equilibrato, e spinto da famiglia e scuole moderate. Votai DC alla rima occasione utile. Mi spaventavano gli eccessi, gli estremismi, non mi sentivo comunque coinvolto. Ultimamente ho votato anche 5S, nauseato da tutto il resto, per accorgermi, poi, che anche i 5S erano "tutto il resto".
RispondiEliminaOra vorrei essere commissariato dalla Norvegia.
Gent.mo Franco, da sua coetanea comprendo perfettamente la sua propensione per la D.C., anche per rifuggire quelli che, allora, si chiamavano gli opposti estremismi. Anche io, per tante ragioni, sono stata assai legata a questo partito. Mio padre conosceva il fratello e il padre dell'attuale Presidente della Repubblica. Non credo ci sia troppo da gioire oggi per come sia stata (non) sostituita la DC nella scena politica. Si parla tanto di fine delle ideologie. Ma, insieme a esse, sono state gettate anche le idee e una certa etica politica. E poi non è affatto vero che non esistano più le ideologie: sono semplicemente meno manifeste, sotterranee... Grazie dell'attenzione e del commento. Buona domenica.
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