giovedì 2 dicembre 2021

Sulla scrittura, secondo Primo Levi

Jan Vermeer: Donna che scrive una lettera (1665)
      "Non si dovrebbero mai imporre limiti o regole allo scrivere creativo.  (…)
      Detto questo, e rinunciando quindi enfaticamente a qualsiasi pretesa normativa, proibitiva o punitiva, vorrei aggiungere che a mio parere non si dovrebbe scrivere in modo oscuro, perché uno scritto ha tanto più valore, e tanta più speranza di diffusione e di perennità, quanto meglio viene compreso e quanto meno si presta ad interpretazioni equivoche.
        E' evidente che una scrittura perfettamente lucida presuppone uno scrivente totalmente consapevole, il che non corrisponde alla realtà. Siamo fatti di Io e di Es, di spirito e di carne, ed inoltre di acidi nucleici, di tradizioni, di ormoni, di esperienze e traumi remoti e prossimi; perciò siamo condannati a trascinarci dietro, dalla culla alla tomba, un Doppelgänge, un fratello muto e senza volto, che pure è corresponsabile delle nostre azioni, quindi anche delle nostre pagine. Come è noto, nessun autore capisce a fondo quello che ha scritto, e tutti gli scrittori hanno avuto modo di studiare delle cose belle e brutte che i critici hanno trovato nelle loro opere che loro non sapevano di averci messe; (…) E' un fatto contro cui non si può combattere: questa fonte di inconoscibilità e di irrazionalità che ognuno di noi alberga deve essere accettata, anche autorizzata ad esprimersi nel suo (necessariamente oscuro) linguaggio, ma non tenuta per ottima od unica fonte di espressione.
      Non è vero che il solo scrivere autentico è quello che viene dal "cuore", e che in effetti viene da tutti gli ingredienti distinti dalla conoscenza che sono citati sopra. Questa opinione, del resto onorata dal tempo, si fonda sul presupposto che il cuore che "ditta dentro" sia un organo diverso da quello della ragione e più nobile di esso, e che il linguaggio del cuore sia uguale per tutti, il che non è. Lungi dall'essere universale nel tempo e nello spazio, il linguaggio del cuore è capriccioso, adulterato e instabile come la moda, di cui in effetti fa parte: neppure si può sostenere che esso sia uguale a se stesso limitatamente ad un paese e ad un'epoca. Altrimenti detto, non è un linguaggio affatto, o al più un vernacolo, un argot, se non un'invenzione individuale.
Primo Levi
     Perciò, a chi scrive nel linguaggio del cuore può accadere di riuscire indecifrabile, ed allora è lecito domandarsi a che scopo egli abbia scritto: infatti (mi pare che questa sia un postulato ampiamente accettabile) la scrittura serve a comunicare, a trasmettere informazioni o sentimenti da mente a mente, da luogo a luogo, e da tempo a tempo, e chi non viene capito da nessuno non trasmette nulla, grida nel deserto. 
     Quando questo avviene il lettore di buona volontà deve essere rassicurato: se non intende un testo, la colpa è dell'autore, non sua. Sta allo scrittore farsi capire da chi desidera capirlo: è il suo mestiere, scrivere è un servizio pubblico, e il lettore volenteroso non deve andare deluso.
     Questo lettore, che ho la curiosa impressione di avere accanto quando scrivo, ammetto di averlo leggermente idealizzato. E' simile ai gas perfetti dei termodinamici, perfetti solo in quanto il loro comportamento è perfettamente prevedibile in base a leggi più semplici, mentre i gas reali sono più complicati. Il mio lettore "perfetto" non è un dotto ma neppure uno sprovveduto; legge non per obbligo né per passatempo né per fare bella figura in società, ma perché è curioso di molte cose, vuole scegliere fra esse, e non vuole delegare questa scelta a nessuno; conosce i limiti della sua competenza e preparazione , ed orienta le sue scelte di conseguenza; nella fattispecie, ha volenterosamente scelto i miei libri, e proverebbe disagio o dolore se non capisse riga per riga quello che ho scritto, anzi, gli ho scritto: infatti scrivo per lui , non per i critici né per i potenti della Terra né per me stesso. Se non mi capisse, lui si sentirebbe ingiustamente umiliato, ed io colpevole di inadempienza contrattuale."

                         (continua…)

Primo Levi: Dello scrivere oscuro, in L’altrui mestiere, Einaudi, Torino, 2018 pagg.50-53


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