mercoledì 15 gennaio 2025

A spasso

Pierre August Renoir: Boulevard a Parigi - 1875

 

Porto

a spasso

la mia solitudine

adorna di sorrisi radiosi.

Disperata.

martedì 14 gennaio 2025

Ministero della Pace: una scelta di futuro

     In passato era il Ministero della Guerra. Poi il Ministero della Difesa. Oggi questo non basta più: serve un Ministero della pace Nessuna guerra è solo di difesa: ogni conflitto estende la “guerra mondiale a pezzi” di cui parla Papa Francesco: ci si ammazza e si distrugge anziché concentrare le risorse sulle vere emergenze dell’umanità, e il rischio di un conflitto irreversibile è sempre più vicino. 
     È necessario un rinnovamento, un’attività istituzionale specifica che si colleghi ai fondamenti del nostro Patto costituzionale e agisca continuativamente per il mantenimento e la costruzione della pace.
     Le conquiste democratiche e civili dei diritti umani non possono essere date per scontate; questo Ministero si deve adoperare per la costruzione delle alternative nonviolente alla difesa armata, per una nuova definizione di sicurezza e per la prevenzione della guerra e dei conflitti con una azione di pace positiva. È tempo di dare nuovi strumenti alla politica, perché abbia la lungimiranza nel prendersi cura della pace ed educare ad essa. 
«L’uomo ha sempre organizzato la guerra, è arrivata l’ora di organizzare la pace» diceva don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII. (…)
    Attorno a quest’idea del Ministero della Pace, lanciata da don Benzi all’esordio del nuovo millennio, è nato un progetto politico condiviso e fatto proprio da un’ampia rete associativa ecclesiale e civile – sostenuta dalla Campagna Ministero della Pace: una scelta di governo – per dare strumenti e un’architettura politica ad una parola, pace, che va messa al centro delle scelte di governo”.

Ministero della Pace, a cura di Laila Simoncelli, Ed. Sempre, Rimini, 2024, pp.13-16

domenica 12 gennaio 2025

Report sul consumo di suolo in Italia: ancora troppo cemento

       Palermo – Il rapporto su “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, curato dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) e presentato il 3 dicembre scorso a Roma presso la sede dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) evidenzia che in Italia il consumo di suolo è ancora troppo elevato: continua infatti a crescere al ritmo di circa 20 ettari al giorno, circa 2 mq. al secondo, e nel 2023 ha cancellato 72,5 kmq di aree verdi, vale a dire una superficie estesa come tutti gli edifici di Torino, Bologna e Firenze.
     “Il dato di 72 chilometri quadrati e mezzo di nuove superfici artificiali - quindi nuovi edifici, nuove strade, nuovi cantieri su aree che solo dodici mesi prima erano naturali, agricole - sebbene segnali un rallentamento lieve rispetto al consumo di suolo dell’anno 2022, risulta sempre al di sopra della media decennale (2012-2022) che è stata di 68,7 kmq. (continua su il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, 12.1.25, il Punto Quotidiano

venerdì 10 gennaio 2025

Vietato a sinistra: recensione su 'Dialoghi mediterranei'

       Di cosa si occupano le assai dense 85 pagine – 91 se si includono bibliografia e profili delle autrici – di Vietato a sinistra, saggio curato da Daniela Dioguardi (Castelvecchi, Roma, 2024)? A firma di autrici diverse, il sottotitolo esplicita che il libretto presenta dieci interventi femministi su temi scomodi. 
     Come evidenzia Francesca Izzo nell’introduzione, tali articoli «illustrano gli effetti paradossali, a volte grotteschi, prodotti dalla ossessiva ricerca, imperante nella cultura ‘mainstream’, dell’inclusione, della parità, del diritto eguale a scapito della differenza sessuale». «In nome di questi principi, a prima vista così ‘corretti e democratici’ – scrive ancora Francesca Izzo – accade che venga cancellato il riferimento alle donne nel contrasto della violenza maschile (…), venga fatto cadere il riconoscimento di una peculiare storia politica delle donne, accade che si tormenti la lingua (…). In nome della libertà si sdoganano prostituzione, maternità surrogata, pornografia e si tenta di archiviare tra i reperti del patriarcato il dato reale e simbolico che i sessi sono due. Ma quel che rende le cose particolarmente inaccettabili è che queste posizioni (…) fanno affidamento sul consenso esplicito o sul silenzio complice o timoroso di gran parte dell’opinione e della politica progressista».
       Infatti «la narrazione che si è imposta nei media e nel mondo ‘progressista’ ha ruotato intorno a un paio di assunti semplici e indiscutibili. Innanzitutto è stato sostenuto che il confronto è tra la posizione ‘laica’ (di chi è favorevole alla pratica dell’utero in affitto) e la posizione ‘ideologica’ (di chi è contrario). La gherminella retorica ha puntato a evocare nell’opinione pubblica l’idea che, essendo la laicità cosa buona e giusta e l’ideologia una roba piuttosto perversa, i contrari alla surrogata sono una banda di oscurantisti, moralisti e spregiatori della libertà, ivi comprese le femministe. Ma così – aggiunge ancora Francesca Izzo – ci si può risparmiare di argomentare nel merito, di dire, dal proprio punto di vista, cosa è la surrogata, cosa comporta per la procreazione umana e per il bambino oggetto di tale pratica».
      Propongo qui di seguito allora una panoramica sintetica degli articoli, i cui contenuti hanno una grande valenza antropologica, prima che politica; con l’auspicio di stimolare in chi legge un’autonoma riflessione riguardo a tematiche così importanti. 
     Nello scritto La misura della parità, dopo aver puntualmente elencato le leggi che, a partire dall’introduzione del divorzio nel 1970, hanno rimosso gli ostacoli giuridici all’autonomia economica, giuridica e sociale delle donne (L.1204/1971, tutela della maternità; riforma del diritto di famiglia del 1975; L.903/1977, parità di retribuzioni tra donne e uomini; L.194/1978, possibilità legale dell’interruzione di gravidanza; L.66/1996, riconoscimento della violenza sessuale come reato contro la persona), l’autrice Silvia Baratella sottolinea che la loro applicazione è assai parziale, in quanto purtroppo «le nuove norme si inquadrano in un sistema perfettamente compatibile con l’esclusione femminile» senza  metterla  veramente in discussione. Infatti: «a lavoro uguale il reddito delle donne resta inferiore a quello degli uomini (…), l’uguaglianza giuridica di marito e moglie non ci ha sgravate dalle responsabilità domestiche, le strade di notte non sono ancora sicure per le donne e le nostre case non lo sono neanche di giorno…»
     L’autrice quindi, prendendo spunto da una fulminante battuta dell’umorista femminista Pat Carra («Donne e uomini devono essere uguali». «Uguali agli uomini o alle donne?»), afferma che «la parità è una risposta restrittiva alla libertà  femminile», in quanto, a suo avviso, «anche se è stata cancellata la precedente legislazione inferiorizzante e censoria, sono stati posti alle donne nuovi vincoli». Di conseguenza, le donne non dovrebbero impelagarsi «nella rivendicazione di nuove e complicate norme che ci si ritorcono contro, bensì fare vuoto legislativo, continuando l’opera di eliminazione di quelle leggi che ci disconoscono, ci subordinano agli uomini». Certamente, conclude l’autrice «non si tratta di disprezzare né di buttar via i guadagni degli ultimi sessant’anni (…) ma di iscriverli in un nuovo paradigma, in cui le donne in relazione tra loro siano fonte e legittimazione della propria libertà e negozino con gli uomini un nuovo e più civile spazio pubblico. Perché la libertà femminile è libertà per tutti».
       Marcella De Carli Ferrari ... (continua su Dialoghi mediterranei)


mercoledì 8 gennaio 2025

La danza delle grandi madri: pane di cura

        “Esiste anche un tipo di abuelita, grande madre, caratterizzata non soltanto dalla sua spiccata perspicacia, ma dal suo amore profondo. Nel mito, come la curandera, la guaritrice, che vive in luoghi appartati, è una grande madre amata e dotata di talento che ha composto il pane dell’amore. Questo pane, tutte le volte che lo offre, ha il magico potere di far diventare buono chi lo ingerisce. 
      Ha sviluppato la capacità di imporre le mani in modo da cambiare le persone che tocca con il suo amore. E dal loro corpo, ansia, dolore, invidia, odio e paure svaniscono.
     La versione umana dell’abuelita, la piccola grande madre, riunisce caratteristiche e attributi che spesso, anche alla sua famiglia, paiono magiche. Forse è la sua conoscenza delle hierbas, le piante che aiutano a guarire il corpo e lo spirito. Forse è la sua capacità di introspezione; lei sa distinguere una menzogna dalla verità a mille miglia di distanza; capisce quali azioni porteranno memorie degne di menzione. (…)
    In tutte le abuelitas, come per la vecchia Demetra che guarisce un bambino malato con un bacio, lo spirito fuoriesce attraverso una perdita, e poi ritorna sottoforma di amore, e ancora amore. Sì. Per le abuelitas, le piccole grandi madri, la vita spesso scaturisce ad arte da una cicatrice. Le abuelitas sono a prova di tempo. Sono quelle che non soltanto sono sopravvissute, ma che si adoperano per donare serenità.
    Uno dei grandi aspetti ricorrenti della piccola grande madre nei miti e nelle storie è la sua predilezione per i giovani, «che ancora non hanno conosciuto appieno la vita», siano essi bambini, oggetti d’artigianato, cuccioli, micini, i semplici, gli oppressi o gli adulti. A prescindere dai colpi che hanno vissuto, dai colpi ricevuti al cuore della loro corteccia, le grandi madri considerano sempre l’amore profondo come il migliore guaritore e il punto di arrivo più alto, il maggiore fattore di crescita spirituale.
Le grandi madri buone dei miti e delle favole non dimenticano le ferite e le cause delle ferite, eppure accorrono a proteggere tutto ciò che sia stato offeso. Perché? Perché rappresentano ciò che protegge la «luce dell’amore». Sono convinte che una piccola vela, la piccola candela splendente dell’amore del loro cuore, possa illuminare il mondo in affanno in modo significativo. Sono convinte che se spegnessero le luci del loro cuore prima che finisca il loro tempo sulla terra, il mondo piomberebbe nelle tenebre e nella morte per sempre.”

Clarissa Pinkola Estés La danza delle grandi madri Frassinelli pp. 32-35

Qui, la storia di zia Jole, meravigliosa speciale abuelita
qui la voglia di farcela della scrivente; 

domenica 5 gennaio 2025

La tradizione della "benedizione del gesso e della casa"

      Palermo – 20-C✝M✝B-23, e anche 20✝C✝M✝B✝22 o altre simili: tracciate col gesso nelle porte esterne di alcune abitazioni della Val Pusteria, queste le scritte, a prima vista strane e incomprensibili, notate dalla scrivente l’estate scorsa, durante una vacanza in suggestive località montane dell’Alto Adige/Sud Tirol.
     Una ricerca su Wikipedia le ha permesso di risolvere l’arcano: si trattava di una particolare forma di scrittura finalizzata a invocare la benedizione di Dio sulla casa e sulle persone che la abitano. Tale formula viene tracciata col gesso nella dodicesima notte dopo Natale, quindi il 5 gennaio, vigilia dell’Epifania, oppure il 6 gennaio, nel giorno stesso dell’Epifania. 
     La ‘benedizione del gesso e della casa’ è infatti un’antica usanza che fa parte delle tradizioni cristiane legate alle festività natalizie: oltre che dai cattolici, è praticata anche da altre confessioni cristiane (da anglicani, luterani, metodisti, presbiteriani). In Italia tale tradizione è ancora viva e diffusa in molte località dell’arco alpino, soprattutto nelle regioni del Trentino-Alto Adige e del Friuli-Venezia Giulia. 
     La Chiesa cattolica riconosce questa pratica come genuina espressione di pietà popolare. In alcuni casi, il gesso usato per scrivere la formula della benedizione è benedetto da un sacerdote o ministro cristiano durante una specifica funzione religiosa nel giorno dell'Epifania; poi chi ha partecipato al rito porta a casa il gesso e lo usa per scrivere la formula sullo stipite o sulla parte superiore della porta di casa.
     Questa tradizione ha radici bibliche legate alla Pasqua: ad esempio, nel libro dell’Esodo nell'Antico Testamento, viene ricordato che gli israeliti segnarono le porte delle loro case per essere salvati dalla morte. Quindi scrivere la formula sulla porta serve a implorare la protezione sulla casa fino all'Epifania successiva, quando il gesto viene ripetuto. 
   La tradizione della benedizione della casa è talvolta accompagnata da cortei di bambini e adulti che invocano la benedizione di Dio, per intercessione dei re Magi. 
   Qual è il significato delle cifre e delle lettere presenti nella formula? (continua su il Punto Quotidiano)

Maria D'Asaro, 5.1.25, il Punto Quotidiano

mercoledì 1 gennaio 2025

2025: offresi

Offresi 

lenti diverse:

vedere il mondo

con sguardi di cura.

2025             


domenica 29 dicembre 2024

Dal calendario giuliano al gregoriano...

        Palermo - “Trenta giorni ha novembre, con aprile, giugno e settembre; di ventotto ce n’è uno, tutti gli altri ne ha trentuno”: l’arcinota filastrocca ricorda ai bambini quanti giorni hanno i dodici mesi. Però che nel 1582 il mese di ottobre è durato solo ventuno giorni e in Svezia, nel 1753, febbraio solo diciassette. Perché? 
     Facciamo un salto nel passato: sino al 1581 nella vecchia Europa era in vigore il calendario giuliano, chiamato così perché introdotto da Giulio Cesare nel 46 a.C. Tale calendario, che si basava su quello egizio, stabiliva il susseguirsi di un ciclo di quattro anni, formato da tre anni che duravano 365 giorni, e il quarto, bisestile, di 366 giorni, con l’aggiunta di un giorno a febbraio. L’anno solare medio era dunque di 365 giorni e 6 ore. 
    Come sappiamo oggi, in realtà l’anno astronomico dura un po’ meno: se n’era già accorto nel XIII secolo l’astronomo e matematico scozzese Giovanni Sacrobosco, che aveva notato già un anticipo dei solstizi e degli equinozi rispetto alle date previste dal calendario. Nel 1252, gli astronomi a servizio del re spagnolo Alfonso di Castiglia avevano addirittura sancito che l’anno astronomico durava dieci minuti e 44 secondi in meno rispetto a quello del calendario. 
papa Gregorio XIII

     La difformità fra la durata dell’anno ‘giuliano’ e quello astronomico fu considerata insostenibile quando alcuni astronomi verificarono che ormai l’equinozio di primavera avveniva dieci giorni prima; era dunque problematica anche la celebrazione della Pasqua, fissata la domenica successiva alla prima luna piena dopo l’equinozio.
       Papa Gregorio XIII (pontefice dal 1572 al 1585) decise allora di creare una ‘Commissione del calendario’, di cui faceva parte, tra gli altri, il medico e studioso calabrese Luigi Lilio, autore della proposta di calendario che poi fu accolta. Il nuovo calendario fu ‘promulgato’ dal papa nel 1581 con la bolla Inter gravissima, ma la sua applicazione fu rimandata al mese di ottobre dell’anno seguente. 
      Così, la sera del 4 ottobre 1582, gli abitanti di Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Belgio, Paesi Bassi e Polonia-Lituania andarono a dormire per svegliarsi svegliarsi il 15 ottobre: infatti, per riportare la data dell'equinozio al 21 marzo, equinozio che ormai si era spostato al giorno 11 marzo, si stabilì di sopprimere dieci giorni nell’ottobre di quell’anno.
   La transizione tra i due calendari causò situazioni assai particolari: chi morì il 4 o 5 ottobre, attese, sulla carta, dieci giorni per essere sepolto; gli inviti ufficiali da tutti quei Paesi che non avevano ancora adottato il cambio, dovevano specificare a che calendario si riferivano per evitare equivoci. Inconvenienti si verificarono anche per le scadenze relative a processi e pagamenti, che furono rimandate di dieci giorni.
  Il nuovo calendario, detto appunto ‘gregoriano’ perché voluto da papa Gregorio XIII, mantenne gli anni bisestili, con l'aggiunta di un giorno sempre nel mese di febbraio. Per essere più precisi, si stabilì però di diminuire il numero di anni bisestili all'interno di un ciclo di 400 anni, considerando come non bisestili gli anni multipli di 100, ma non di 400 (quindi gli anni 1700, 1800 e 1900 non sarebbero stati bisestili, mentre il 1600 e il 2000 sì).
   La riforma del calendario voluta da Gregorio XIII, negli anni seguenti fu adottata in Europa dagli altri Paesi cattolici. Gli stati protestanti vi si uniformarono invece solo in epoche successive: quelli luterani e calvinisti nel 1700, gli anglicani nel 1752, quelli ortodossi ancora più tardi. 
   In Svezia però successe un gran pasticcio. Nel 1699, il paese decise di passare al calendario gregoriano, ma, per ‘riprendere’ i fatidici 10 giorni, decretò di eliminare tutti gli anni bisestili dal 1700 al 1740, recuperando così un giorno ogni 4 anni: così dal 1º marzo 1740 il calendario svedese sarebbe stato coincidente con il gregoriano. Venne quindi eliminato il 29 febbraio 1700. Però, negli anni successivi, ci si dimenticò di applicare il piano, perché Carlo XII era impegnato nella guerra con la Russia e non furono date disposizioni al riguardo: così sia il 1704 sia il 1708 furono bisestili. Riconosciuta la dimenticanza, si decise di tornare al calendario giuliano. 
   Per recuperare il giorno saltato nel 1700 si stabilì quindi che nel 1712 venisse aggiunto a febbraio un secondo giorno, oltre a quello dovuto perché quell'anno era bisestile: fu così che, nel calendario svedese del 1712, febbraio ebbe 30 giorni!
   Poi, nel 1753, anche la Svezia adottò il calendario gregoriano, togliendo undici giorni a febbraio (dal 18 al 28) perché nel frattempo la differenza tra il vigente calendario giuliano e quello gregoriano era aumentata di un giorno.
   Fuori dall’Europa, in Giappone il calendario gregoriano fu adottato nel 1873, in Egitto nel 1875, in Cina nel 1912 e in Turchia nel 1924. La Russia adottò il calendario gregoriano solo nel 1940, per cui la rivoluzione d’ottobre, avvenuta secondo i libri di Storia il 25 e 26 ottobre 2017, se ci si attiene al calendario gregoriano è accaduta invece il 7 e 8 novembre. 
   Anche oggi, le Chiese ortodosse russa, serba e di Gerusalemme continuano a seguire il calendario giuliano: questo spiega la differenza di 13 giorni tra le festività ortodosse e quelle delle altre confessioni cristiane. 
   Il gregoriano è ormai il calendario ufficiale adottato da quasi tutti i paesi del mondo. Esso stabilisce che l’anno solare dura 365 giorni, cinque ore, quarantotto minuti e quarantacinque secondi. Tale misurazione è considerata abbastanza affidabile, anche se le variazioni nella velocità di rotazione della Terra creano una differenza infinitesimale di circa un giorno ogni 3300 anni, che si potrà risolvere eliminando un giorno da un anno bisestile. 
    Ma è un problema che ci si porrà tra circa 3.000 anni. Ora ci sono ben altre faccende a cui pensare…

Maria D'Asaro, 29.12.24, il Punto Quotidiano

venerdì 27 dicembre 2024

Fra le righe: sotto l'icerbeg...

      "Il famoso principio dell’iceberg non è un’invenzione di Hemingway, ma una verità universale che si applica al processo della scrittura così come a quello della traduzione. A lui, tuttavia, va il merito di averlo nominato e trascritto. Parlando di The old man and the Sea in una famosa intervista rilasciata a George Plimpton per la «Paris Review», Hemingway affermava: Io cerco sempre di scrivere secondo il principio dell’iceberg. I sette ottavi di ogni parte visibile sono sempre sommersi. Tutto quel che conosco è materiale che posso eliminare, lasciare sott’acqua, così il mio iceberg sarà sempre più solido. L’importante è quel che non si vede. Ma se uno scrittore omette qualcosa perché ne è all’oscuro, allora le lacune si noteranno.
Nella stessa intervista Hemingway spiegava che quel breve romanzo avrebbe potuto essere lungo più di mille pagine. Con tutto il materiale che aveva a disposizione, infatti, avrebbe potuto descrivere uno per uno gli abitanti del villaggio, raccontare come sbarcavano il lunario, come erano nati, se avevano studiato, avuto figli, eccetera. Ma queste cose erano state fatte benissimo da altri, e nella scrittura si è sempre limitati da ciò che altri hanno già fatto in modo soddisfacente prima di noi.
Per questo lui aveva cercato di fare qualcosa di nuovo, cominciando con l’eliminare tutto ciò che non serviva a comunicare un’esperienza diretta al lettore. Le cose che aveva visto – l’accoppiamento dei marlin, i branchi di capodogli – e sentito narrare – le storie dei pescatori – erano rimaste fuori dal racconto, ma solo in apparenza: in realtà erano andate a formare la parte sommersa dell’iceberg.
È facile vedere come questo principio si applichi alla scrittura in generale, ma anche al mestiere della traduzione: quello che arriva sulla pagina è solo un ottavo dell’iceberg, la parte che affiora in superficie, mentre i sette ottavi rappresentati dagli studi, dalle ricerche, dai dubbi e dai ripensamenti avvenuti in corso d’opera rimangono nascosti sotto il testo, pur essendo indispensabili alla sua esistenza. Con un autore come Hemingway, che nasconde tanto sotto la superficie della sua narrazione, questo processo diventa ancora più evidente". 

Silvia Pareschi Fra le righe il piacere di tradurre Laterza, 2024 pp. 85, 86, 87

Fra le righe è un testo intrigante sulla scrittura, sulle traduzioni e su tanto altro. 
Conto di recensirlo appena possibile.
Silvia Pareschi è autrice, tra l'altro, del libro I jeans di Bruce Springsteen (recensito qui
Ernest Hemingway

Silvia Pareschi, traduttrice




domenica 22 dicembre 2024

Ma è davvero così magico il Natale?

     Palermo – Di cosa è capace una grande scrittrice come Natalia Ginzburg? Secondo Domenico Scarpa, critico letterario che conosce a fondo le sue opere “del prodigio per cui, partendo da una verità che sapevano tutti, si arriva a una verità che sa solo lei, anzi, che solo lei sa dire: perché difatti un istante dopo che l’ha detta lei, ognuno si accorge che la sapeva da sempre, che la sapeva ma che non sarebbe mai stato capace di dirla così”.
       Pubblicato dalla Ginzburg su La Stampa nel lontano dicembre 1971 (e riprodotto nella raccolta Vita immaginaria), ecco una sintesi del suo scritto dal titolo Magico Natale, straordinariamente vivo ed attuale.
Avendo io avuto pochi giocattoli nell’infanzia ed essendo cresciuta in una famiglia dove si dava poca importanza alle feste e alle tradizioni, ho custodito in me a lungo l’idea di un Natale prezioso, celebrato e felice, idea ogni anno, nell’infanzia, delusa e distrutta; che forse per questo ogni anno a Natale mi butto a comprare giocattoli e regali splendendo moltissimi soldi e sentendomi subito in colpa. 
Inoltre mi chiedo: cosa diavolo inventeranno nei prossimi Natali quelli che fanno i giocattoli dato che hanno l’aria di non sapere più cosa inventare e cosa vendere e la fantasia di chi inventa giocattoli è sempre più monotona e povera; se sono io sola a trovare le feste fosche e faticose per la mia vecchiaia, pessimismo e malinconia o se sono fosche e faticose per tutti.
Penso però che devono essere fosche e faticose per tutti dato che tutti usano lamentarsene, lamentarsi delle feste è diventato ormai un luogo comune. Forse il Natale andrebbe celebrato da chi è religioso semplicemente andando in chiesa ma non facendo nessuna delle cose che tutti, religiosi e non religiosi, ci sentiamo inesplicabilmente costretti a fare.
Intanto ronzano e cantano nelle nostre orecchie parole che abbiamo sentito alla televisione, «magico Natale», esse ronzano dentro di noi con voce virile, sospirosa e misteriosa e noi troviamo che il nostro Natale non è affatto magico. 
Noi usciamo nella città a comprare dei regali per alcuni amati bambini. Ogni anno ci eravamo proposti di provvedere a questo a novembre, ma ogni anno ci riduciamo a farlo nei giorni intorno a Natale quando la città è invasa da fiumane di gente che si è prefissa di comprare giocattoli. Simile operazione che potrebbe essere in sé innocente e potrebbe essere lieta diventa nelle feste natalizie un’operazione elefantesca e affannosa. (…)
Mentre camminiamo per la città con le braccia ingombre dei nostri errori, con i polsi segati dallo spago, abbiamo la sensazione che la gente che riempie le strade sia oppressa dalla stessa identica coscienza: di portare a casa un carico di inutili e costosi errori e che il pessimismo sia il contenuto reale di tutti i nostri pacchi. Abbiamo la sensazione che ognuno provi una repulsione profonda per i negozi, le vetrine e le strade e più ancora profonda per gli oggetti che porta a casa con sé. (…)
Ricordando oggi i Natali della mia infanzia, penso però che esistesse allora nell’universo un’idea della felicità universale, che cioè la gente allora potesse immaginare la felicità, mentre oggi la felicità è diventata inimmaginabile.
Per questo allora aveva un senso celebrare le feste, perché celebrando le feste si pensava a una felicità possibile anche se remota da tutti e non situata in nessun luogo. Oggi la felicità universale noi ci sentiamo totalmente incapaci di rispecchiarla nel nostro pensiero. Quello che abbiamo perduto non è il paradiso sulla terra, che non esiste e non c’è mai stato, ma un’immagine di felicità dai contorni chiari, alla quale la gente si riferiva nelle sue speranze e che le feste sembravano evocare e far fluttuare al di sopra di noi.”
     Qual è la differenza con l’oggi, cara Natalia? Certo, ora la ressa per l’acquisto è magari on line, le strade sono intasate di corrieri, e i nostri polsi non sono così segati dallo spago, ma i nostri polpastrelli sono sfiniti per rispondere alla marea di auguri su WhatsApp
   Però anche noi siamo qui a cercare, forse più di ieri e più disperati che mai visto l’andazzo generale, un’idea della felicità universale, un’immagine di felicità dai contorni chiari, che includa e contempli pace, giustizia e dignità sociale per tutti. Invece assistiamo, sconfitti e impotenti, a conflitti armati che fanno morire centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini; mentre in Italia – è l’ultima rilevazione Istat ad affermarlo - nell’ultimo anno la povertà assoluta ha coinvolto il 9,7% della popolazione italiana, circa cinque milioni e 700.000 persone, e oltre un milione di bambini soffrono di gravi privazioni economiche. 
     Ipotizzare e magari sognare anche solo una pallida e tremula idea di felicità universale è oggi davvero difficile, quasi impossibile. 
     Nessuna magia, cara Natalia. Anche se, ieri come oggi, ne avremmo un disperato bisogno.

Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 22.12.24