LA SCHIAVITU’ DEL CONSUMISMO
(dal blog del prof. Augusto Cavadi)
E’ possibile vivere felici? Non è raro trovare un guru che - dietro compenso di qualche centinaio di euro - è disposto a confidarti la ricetta giusta. Qualche sera fa il salone del Centro studi della chiesa valdese di Palermo era gremito di pubblico convocato - gratuitamente - per discutere dell’interrogativo: ma, a proporre la risposta, nessun santone né profeta. C’era Maurizio Pallante, economista e sociologo, il più noto e impegnato teorico della “decrescita” in Italia.Sulla scia della sua ultima pubblicazione (La felicità possibile, Rizzoli, Milano 2009), ha riflettuto criticamente sull’identificazione - dogmaticamente condivisa - fra “beni” (prodotti e servizi) e “merci” (oggetti di scambio monetario), sostenendo che ci sono beni che non sono merci (un mare pulito, un’aria respirabile, un clima di fiducia reciproca in una comunità, dei gesti di solidarietà gratuita, i doni…) e merci che non sono beni (tabacco, cocaina, eroina, auto di cilindrata eccessiva rispetto ai limiti massimi di velocità…). La sua tesi è di una semplicità disarmante: come individui e come società saremo più felici, o meno infelici, se (in barba al PIL, prodotto interno lordo) sapremo tagliare le merci che non sono beni e incrementare i beni che non sono merci.
Pallante (che - a dire di Beppe Grillo - “ha il gusto della provocazione, ma anche il pallino della concretezza. Non si limita a criticare, propone anche”) ha offerto una serie dettagliata di esemplificazioni: tra processo di trasformazione e uso finale, una lampadina a incandescenza disperde il 95% dell’energia; per ricavare una bistecca di manzo da un etto, occorrono tremila litri di acqua; se rimaniamo ogni giorno imbottigliati nel traffico, perché non usare i mezzi pubblici? Se una famiglia — anziché acquistare frutta e verdura costosa perché proveniente dalla parte opposta del pianeta — coltiva un orto, mangia alimenti più freschi e risparmia. Non sono mancati i riferimenti al nostro territorio. Per esempio la chiusura della Fiat a Termini Imerese. Già nel 1972 (un anno prima della crisi petrolifera mondiale) a Torino sono stati ideati e realizzati i “microrigeneratori”: dei piccoli motori domestici che producono energia e calore e che potrebbero risolvere il problema dell’esaurimento delle scorte petrolifere (oltre che dell’inquinamento ambientale).
Ebbene, oggi non è la Fiat in Italia ma la Volkswagen in Germania a decidere di convertire molti stabilimenti dalla produzione di automobili (il cui mercato è saturo) alla produzione di microrigeneratori (la cui diffusione potrebbe rendere del tutto superflua la costruzione di pericolose centrali nucleari). Nel dibattito fra imprenditori privati, sindacati e governo questa ipotesi di riconversione industriale non circola minimamente: a riprova dell’ignoranza che caratterizza il livello medio dei ceti dirigenti attuali.
Le associazioni che hanno invitato Pallante a Palermo non intendevano avere soltanto idee-guida generali né si sono accontentate di indicazioni tecniche più in dettaglio: hanno deciso, inoltre, di aprire anche in città un “circolo della decrescita felice” che possa servire da agente permanente di traduzione delle acquisizioni teoriche in stile di vita personale e in provvedimenti legislativi e amministrativi efficaci. In una fase di rassegnazione alla banalità delle idee e allo squallore dei comportamenti privati e pubblici, non è certo da sottovalutare la preziosità di una prospettiva utopica (o, per lo meno, ideale) che si basa - come tutte le rivoluzioni che hanno avuto un qualche impatto nella storia - su un’idea semplice: i consumi compulsivi sino allo spreco (senza i quali il sistema capitalistico attuale si incepperebbe) non danno un grammo della gratificazione ricavabile da relazioni umane significative, fondate sulla sobrietà e sulla reciprocità anziché sull’ostentazione del benessere e la competitività.
Augusto Cavadi
“Repubblica - Palermo”, 19.3.2010