A Palermo certe stradine di periferia non sono strade: sono mondi chiusi, autosufficienti, con finestre strettissime, fisiche e mentali, sul mondo esterno. Non ci puoi posteggiare: perché non c’è lo spazio o perché lo spazio è occupato da donne che lavano il marciapiede, gesticolando vistosamente, da uomini in canottiera che parlottano sussurrando frasi misteriose. E da nugoli di ragazzini: litigiosi, vocianti, allegri, dispersi. Se allunghi lo sguardo, noterai sicuramente anche qualcuno – indiano, africano, filippino, chissà… - che stende silenziosamente i suoi panni in uno stendibiancheria sbilenco, all’interno di un angusto balconcino. Intuisci viluppi rumorosi ed arcaici, una sorta di archetipo di convivenza rimasto immutato nei secoli.
Se ti fermi un istante non puoi non sentire da feritoie invisibili la semiretta di uno sguardo nascosto che ti scruta e ti invita silenziosamente a non invadere quel territorio. Che, molto meglio di te, Danilo Dolci e Pasolini avrebbero saputo capire. E abbracciare.
Maria D’Asaro
((pubblicato su “Centonove” il 14-05-2010)
Se ti fermi un istante non puoi non sentire da feritoie invisibili la semiretta di uno sguardo nascosto che ti scruta e ti invita silenziosamente a non invadere quel territorio. Che, molto meglio di te, Danilo Dolci e Pasolini avrebbero saputo capire. E abbracciare.
Maria D’Asaro
((pubblicato su “Centonove” il 14-05-2010)
Carino e vero. Più volte m'è capitato a Palermo di incontrare questi "microcosmi", in periferia e anche a volte in certe strade d'un centro storico ormai spesso svuotato e pressochè deserto, 'periferia' di se stesso.
RispondiEliminaJAN