lunedì 6 dicembre 2010

101 Storie: non nominare il nome di Aglieri invano...


   Eravamo in aprile. Nell’aprile del ‘97. Lo so bene perché è stato il mio ultimo anno da insegnante di Lettere.
   L’anno dopo indossavo la veste, spiazzante e inusuale, della psicopedagogista.

La mia scuola è a Palermo, non troppo lontana dal quartiere Brancaccio, territorio di padre Puglisi, che ci era stato rubato già nel ‘93. Ancora ci penso e ne piango: don Pino, il parroco del mio amico Gregorio; Padre Pino Puglisi, abbreviato affettuosamente in trepi: guida spirituale, discreta e feconda, di tanti miei amici. Lui, che iniziava un incontro coi giovani facendo ascoltare Battiato…
L’anno prima, l’assassinio orrendo e ruggente di Paolo e Giovanni. Anche io avevo urlato per strada: “Ora basta… e “Palermo è nostra e non di cosa nostra”. Allora, la speranza e l’impegno di molti.
A scuola, oltre a geografia e a italiano, insegnavo la storia. Che in Sicilia s’intreccia con la storia di mafia: le sue origini storiche, la sua organizzazione nel territorio, i suoi interessi, le sue trasformazioni…. E capita allora, che un giorno parlo del controllo dei vari quartieri da parte delle “famiglie” mafiose. Faccio riferimenti precisi: dico ad esempio che, secondo gli inquirenti, il quartiere “Guadagna” è controllato da Pietro Aglieri, allora boss latitante. L’indomani N., un biondino di quella terza, si alza dal banco e con tono serio mi dice: “Mio padre non vuole che lei in classe parli di queste cose… e soprattutto Aglieri non lo deve mai nominare”.
Ho continuato a parlarne lo stesso. Anzi, in modo più approfondito. Ma non perché avessi la vocazione dell’eroina. Ho solo pensato a Falcone, che avevo incontrato, per caso, alla fine degli anni ’80. A un seminario. Nonostante i suoi mille impegni e la vita blindata, il giudice Falcone ci voleva incontrare. Per dire che contro la mafia, ognuno, a Palermo, la sua parte la deve fare. Esortava i docenti a combatterla anche loro, a scuola, la mafia: con le armi della cultura, della consapevolezza, della legalità, della trasparenza. Era nelle teste dei ragazzini che essere seminata, per prima, la pianta buona dell’antimafia.
La mia terza media, pian piano, ha accettato il confronto. Hanno cominciato a parlare. E a fare domande: - Me lo spiega, professorè, perché a mio padre, che è un piccolo imprenditore, non conviene che ci sia la mafia a Palermo? - Lo sa che C. ci dice che sa dove suo nonno faceva sciogliere i suoi nemici nell’acido? – Mio padre ha avuto un lavoro a Catania: è stato costretto ad assumere certe persone. – Non è vero che la mafia ci dà lavoro? -
Quell'aprile, mentre in giardino fiorivano le foglioline dei cercis, la mafia si spogliava della sua veste ambigua e perversa. Ha cominciato ad avere un volto, una storia. Abbiamo poi messo assieme, un pochino, la storia dei libri, il quartiere, il pulsare vivo delle nostre storie. E la mafia, con loro. La mafia, che non era più un mostro lontano.

Aveva un volto, una data di nascita, una casa, un suo nutrimento.
E forse un giorno, come tutte le cose umane che guardiamo negli occhi e chiamiamo per nome, poteva persino morire.

1 commento:

  1. Non è morta. Nel tempo ha solo cambiato nome: oggi si chiama 'politica'.
    Ne ha fatta di strada, da quella descritta sui libri e a voce.
    Ha indossato il doppiopetto, in vece della corda al collo dei nemici ha messo al suo la cravatta, la classica lupara è stata sostituita da uno stuolo di avvocati, che 'sparano' con le stesse leggi create per combatterla.
    Quando un politico appare chiaramente corrotto è solo un mascalzone, magari arrivato ai vertici più o meno pulito, che poi ha messo le mani nella marmellata e si è fatto beccare.
    Quando i politici 'marci' sono più di uno, il dubbio che si tratti di una associazione a delinquere è abbastanza giustificato.
    E quando tutto il complesso politico fa quadrato per impedire che la giustizia faccia il suo corso, indagando, e punendo se colpevole, un membro fedifrago, il tutto assume la denotazione di associazione mafiosa.
    E' solo una mia opinione: gli sbandierati arresti eccellenti, che di volta in volta 'tagliano le gambe' alla mafia, non sono altro che una operazione 'politica' per eliminare la 'vecchia' mafia, ormai ingombrante e inutile, per far posto a questa 'nuova' mafia, che sarà inamovibile poiché sarà 'mafia di stato'.
    Guarda caso, questi arresti eccellenti in atto avvengono su persone che da decenni vivevano indisturbate a casa loro, nei loro quartieri, con i loro famigliari, amici e conoscenti; magari in contatto con le stesse forze dell'ordine, che solo oggi ricevono il messaggio di procedere a questi arresti.

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