Con i libri è come con le persone: deve essere amore, o almeno simpatia, a prima vista. Tra me e le prime pagine di Cose che nessuno sa, di Alessandro D’Avenia (Mondadori, Milano, 2013, € 13.00), purtroppo il colpo di fulmine non c’è stato. C’è stata anzi la tentazione di avvalermi di uno dei diritti del lettore, secondo Pennac: quello di abbandonare la lettura.
Poi, come accade anche nelle relazioni umane non esaltanti, un po’per senso del dovere, un po’ perché qualcosa di positivo c’è sempre e comunque, la lettura/relazione è stata portata avanti. E del romanzo sono stati colti anche i pregi, che compensano tre evidenti difetti. Primo: il presenzialismo dell’autore. D’Avenia non riesce a nascondersi nei personaggi che, a tratti, risultano quasi burattini al servizio della sua weltanschauung: Giulio e Margherita, i protagonisti della storia, non mi pare abbiano un’evoluzione psicologica reale e credibile. Il primo si trasforma quasi magicamente da bullo solo e triste a innamorato (quasi) maturo e romantico; la seconda, da adolescente informe a eroina coraggiosa. Anche gli altri personaggi sono piuttosto statici e sembrano rispondere più a stilemi etici che a figure reali: nonna Teresa, la madre di Marta e Stella incarnano la saggezza, il buon senso, la disponibilità verso il prossimo e la capacità di amare. Donne senza ombre, un po’ troppo perfette per essere vere. Anche per la sovrabbondanza di queste figure positive, il romanzo - ecco il secondo limite – a tratti risulta zuccheroso e melenso e rischia di provocare un coma da iperglicemia nel lettore. A cui – terza pecca - risulta indigesto anche lo stile, spesso appesantito dall’uso triadico degli aggettivi, infarcito di citazioni letterarie più o meno scoperte e pieno di notazioni psicologiche a buon mercato, non sempre ben amalgamate alla trama.
Non renderei però giustizia al libro se non ne elencassi anche i pregi: la staticità narrativa, che a mio avviso caratterizza inizialmente il romanzo, ha una netta inversione di rotta da pag. 151: tutto il capitolo ottavo è ben confezionato, assai delicato e godibile è l’ordito dei dialoghi ivi presenti. A partire da lì, il seguito del libro non difetta di azione e colpi di scena. Bisogna poi sottolineare che nel romanzo non mancano riflessioni molto belle e pagine di pura poesia: “La mattina intanto era esplosa come un soffione investito dai desideri di un bambino e si disperdeva in ogni angolo della città”; “Ogni città ha il suo genio, la devi strusciare contro, toccare i muri, annusare le strade, ascoltare i nomi delle vie e delle persone”.
E nel libro c’è nonna Teresa che, accidenti, è la nonna che tutti avremmo voluto avere. Sebbene personaggio tutto di un pezzo, nonna Teresa ti affascina e cattura: perché è intelligente, è saggia, perché parla in dialetto siciliano, la lingua della mia anima. Perché dice alla nipote Margherita e a ognuno di noi delle verità stupende sull’amore: “Gioia mia. L’amore è fatto di carne. L’uomo desidera la donna e la risveglia: lei si sente voluta, amata. Quando un uomo tocca una donna ci tocca l’anima. Non tutti gli uomini arrivano a sentire l’anima sotto le dita, alcuni 'vastasi' si fermano alla scorza. Una carezza sulla pelle di una donna è capace di allisciarci l’anima, uno schiaffo di frantumarla … E poi dall’ombelico parte quel filo a cui è legata la vita, quella corda non si rompe mai … e un uomo ci si aggrappa sempre.” E ancora: “Gioia mia, quello che so è che cerchiamo la vita. Il nostro respiro non ci basta e vogliamo il respiro di un altro. Vogliamo respirare di più, vogliamo tutto il fiato di tutta la vita. Nella mia terra le persone che ami le chiami ciatu mio: respiro mio. Si dice che la persona giusta è quella che respira allo stesso ritmo tuo. Così ci si può baciare e fare un respiro più grande … ”.
Allora, alla fine, un grazie comunque al prof. D’Avenia, conterraneo e collega. Arrivata all’ultima pagina, sono stata contenta di non essermi avvalsa del terzo diritto del lettore. Infatti il romanzo qualcosa di bello e di utile me lo ha trasmesso. E a me, manzoniana di ferro, sta bene che l'autore sposi un’affermazione cara al grande Alessandro, mostrando così di condividerne, oltre al nome, anche la visione del mondo: “Questa è l’unica regola di Dio: che tutto ciò che accade, bello o brutto che sia, generi un amore più grande, ma questo sta a noi sceglierlo”.
Maria D’Asaro (tranne l'ultimo capoverso, pubblicata su "Centonove" n.42 dell’8.11.2013)
Ottima recensione, grazie. Mi piace che parli dei difetti del libro, è sempre più difficile trovare recensioni sincere in questo senso!
RispondiEliminaDavvero ben fatta ed esauriente: più che un antipasto l'ho gustata come un piatto unico, saporitissimo. Complimenti alla cuoca ;-)
RispondiEliminaCompro! quanto sai essere lucida. Adoro!
RispondiEliminaSi, è un libro un po' inverosimile, che non si lascia leggere con passione. Non mi piace l'incipit. Troppo appesantito, un tentativo poco riuscito di fare poesia attraverso lo stile narrativo. Per il resto ci sono delle perle apprezzabili, e la sensibilità di Alessandro è comunque evidente. Lo conosco, è un bravo ragazzo, qualche volta siamo usciti insieme. Non lo vedo da un po'. E' riuscito a farsi strada, e a realizzare il suo sogno. In fondo è questo che insegna ai suoi ragazzi. Di non perdere di vista i sogni, di lottare per realizzarli.
RispondiElimina@Silvia, DOC, Calzino: grazie per l'apprezzamento anche delle critiche. Le mie recensioni vogliono essere il frutto di una "relazione" autentica tra me e l'autore. Un abbraccio.
RispondiElimina@Tra cenere e terra: mi conforta il tuo parere così simile al mio. Ero incerta sulla divulgazione della recensione, perchè non voglio in alcun modo essere poco delicata verso l'autore. Ma poi ho ritenuto che, per onestà verso me stessa e verso chi mi legge e si fida delle mie recensioni, di questo libro fosse corretto esprimere anche le critiche "cordiali" e motivate, assieme alla sottolineatura dei pregi.