“Parafrasando Novalis, le parole e i gesti sono note di una melodia. Il contatto è musica. Ad un certo punto ci si accorge che, al di là dei contenuti, è il suono delle parole che permette agli umani di incontrarsi. Le parole-corpo aprono e preparano l’incontro (anche se tempestoso, suadente, lento o forte). Sono note musicali che vanno e vengono dai corpi, li attraversano e creano il mistero e il fascino del contatto. In principio è il corpo, subito dopo la parola. Se il corpo diventa parola e la parola rimane corporea, allora la parola umana è esperienza di contatto pieno: parlare di me, raggiungere l’altro, raccontare il mondo. Ogni parola diventa così una nota nello spartito dell’incontro.
A ben rifletterci, la famiglia chiede terapia quando non ci
sono più parole sperabili: «A che serve parlare? (…) Tanto non cambia niente».
Le parole si moltiplicano ma rimangono ‘disabitate’, flatus vocis, non più
ponti, ma ponte levatoio.
La parola abitata in GT non si oppone al corpo ma è, insieme
al silenzio, una delle forme che l’organismo-in-relazione (…) prende quando fa
emergere figure sullo sfondo. La famiglia chiede parole nuove: ma per
riprendersi la parola deve ripartire dal corpo, anzi dai corpi.”
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