Le prime cenette filosofiche del 2020 (se volete sapere di che si tratta leggete qui e qui) hanno avuto come tema portante le riflessioni suscitate dalla lettura dell’intrigante saggio a 4 mani: I come invidia, frutto della collaborazione tra lo psicoterapeuta Giovanni Salonia e le docenti Valentina Chinnici, Dada Iacono e Ghery Maltese.
Di seguito, solo un ... assaggino delle ricche e articolate riflessioni dei 'cenacolanti':
Ecco cosa scrive Augusto Cavadi qui, nel suo blog.
E poi le interessanti considerazioni di Armando Caccamo, che ha sottolineato il valore positivo di quella che Giovanni Salonia definisce ‘invidia sana’ e Jung addirittura ‘sano desiderio”:
"Perché paradossalmente l’unico “vizio“ che non dà piacere: l’invidia (intesa come desiderio di avere qualcosa di materiale o di immateriale che qualcun altro ha) è stata uno dei motori della storia dell’uomo? Il rifiuto di accettare le disuguaglianze fra popoli e/o individui ha contribuito alle conquiste umane e sociali di ogni tempo. Ma ogni medaglia ha il suo rovescio e può accadere che questo moto dell’anima, anziché spronare l’uomo a migliorarsi, l’ha indotto a cercare di sminuire e avversare chi è migliore. Questo succede quando l’insicurezza, l’incapacità di valutare se stessi trasforma la differenza in ingiustizia (se non a me perché a te?)
Il risultato? Che si vive male e si fa male agli altri! "
Qui appunto il pensiero di Jung sul desiderio, cosa ben diversa dall’invidia:
«Non è poco confessare a se stessi il proprio vivo desiderio. Molti hanno bisogno di un particolare sforzo d’onestà. Troppi non vogliono sapere a che cosa anelano, perché ciò pare loro impossibile o troppo doloroso. Il desiderio è però la via della vita. Se non ammetti di fronte a te stesso il tuo desiderio, allora non seguirai te stesso ma strade estranee che altri hanno tracciato per te. Così non vivi la tua vita, ma una vita estranea.[...] solo un’imitazione scimmiesca.»
C.G. Jung, Libro Rosso, p.250.
Qui la mia recensione del testo, che riprendo:
Il saggio i come invidia (Cittadella
Editrice, Assisi, 2015, € 11,00), frutto della collaborazione tra lo
psicoterapeuta Giovanni Salonia e le docenti Valentina Chinnici, Dada Iacono e
Ghery Maltese, è una sinfonia di ‘note’ e riflessioni feconde con le quali, in
felice sinergia - ciascuno/a secondo il proprio ‘vertice’ teorico - l’autore e
le co-autrici scrutano il più sterile e nocivo dei sette vizi capitali: la
prof. Chinnici sintetizza egregiamente la concezione dell’invidia, “virus
tossico” che infetta anima e corpo, presso il mondo greco e latino; il prof.
Salonia fornisce un’esauriente disamina di quest’emozione infelice spaziando,
da par suo, dall’ambito psicologico al versante etico-religioso a quello
sociologico-politico; le docenti Iacono e Maltese offrono una suggestiva
analisi dell’invidia nel vissuto dei bambini e nelle fiabe. Nell’affollata
presentazione del 9 settembre 2015, a Palermo presso la libreria “Modus
Vivendi”, il moderatore prof. Muraglia ha sottolineato che le cento pagine del
libretto possiedono una grande
efficacia formativa e “un’alta densità
speculativa”: in effetti, la formula vincente di questo saggio è forse la
capacità degli autori di analizzare la passione triste per eccellenza
“battendo” con grande perizia i più svariati sentieri della mente e del cuore.
Così, la sua meditata lettura può avere persino un benefico, terapeutico
effetto collaterale per il lettore: farlo uscire dal cerchio nefasto degli
invidiosi!
Ma che
cosa è davvero l’invidia? Nella prefazione, il prof. Sichera ci ricorda che “Quando si parla dell’invidia (…) ci si
misura con una passione radicale, un evento dello spirito che affonda le
proprie radici nell’humus delle origini, nella consistenza mitica del nostro
esserci. (…) Viene alla luce quella deviazione del fluire del godimento e
dell’incontro che avvelena le sorgenti del cuore. (…) Come se l’in-videre fosse impresso nella
carne e nel cuore degli uomini, alla stregua di uno stigma indelebile, di una
passione “genetica”. Le caratteristiche dell’invidia, sentimento tanto
radicato e pervasivo quanto occulto e negato, sono poi magistralmente delineate
da Giovanni Salonia: l’invidia è un ‘vizio senza piacere’, che fa star male
senza alcun vantaggio, come ha ben intuito Nietzsche, è una sorta di “cupio
dissolvi”, un desiderio fuori bersaglio che percorre strade sbagliate, un
tradimento della finalità ultima del desiderio, che è invece quello di essere
felici: “la verità racchiusa nell’invidia
è la ricerca della felicità e dei suoi dintorni”, ricorda Salonia. Che poi
afferma: “l’invidia è un modo sbagliato
di affrontare due elementi costitutivi della condizione umana: l’essere
limitati e l’essere in relazione” e nasce “da un vedere che non contempla, non accoglie, non incontra l’altro”.
L’autore
ripercorre i fondamenti mitico-religiosi di quest’emozione, considerata peccato
di origine alla base dell’infelicità umana; peccato che si è manifestato prima
nell’ostilità dello sguardo dell’angelo/diavolo ribelle e poi in quello dei
nostri progenitori, sguardo che si è incupito nella vana ricerca dei doni non
ricevuti anziché illuminarsi per la gratitudine di quelli presenti. Citando poi
Marx, Rousseau e Amartya Sen, Salonia traccia alcune linee di demarcazione tra
l’invidia e il legittimo desiderio di giustizia, suggerendo che la strada da
seguire non è quella di rincorrere l’illusione di una società di eguali, ma
quella di ricercare una società meno ingiusta che permetta ad ognuno la sua
crescita evolutiva. Se non accogliamo l’analisi pessimistica di Freud e Melanie
Klein, che ritenevano l’invidia ferita inguaribile, scopriamo allora la perla
di speranza che ci consegna il libretto: tutti possiamo guarire
dall’invidia, purchè rientriamo in
contatto con noi stessi: “questa fedeltà
a noi stessi … ci consente di ritirare le nostre proiezioni sull’altro” e
di operare una sana centratura su di noi, nonostante i nostri limiti.
Perché “se il limite è connaturato alla creaturalità … la creatura si realizza accettandolo”; “la sola strada che placa il cuore e dà pienezza è la soddisfazione nel trafficare i talenti, pochi o molti che se ne abbiano”.
Dunque, come scrivono a
chiusura del libro Dada Iacono e Gheri Maltese: “seguendo la sapienza delle fiabe, l’unica strada possibile è quella
del ritorno a se stessi, dell’avere cura di ciò che si è, desiderando il
proprio desiderio e non più quello altrui, lavorando sodo come Cenerentola o la
guardiana per riappropriarsene, consapevoli di essere piccoli ma irripetibili,
nonostante le proprie ferite o i propri limiti. (…) La fedeltà a se stessi …
può diventare il più efficace antidoto all’invidia trasformando lo sguardo
maligno in uno sguardo libero e aperto all’incontro.” Perché, come ha
concluso nella presentazione il prof. Salonia,
in realtà “a farci soffrire, è la
pienezza della nostra anima che non abbiamo ancora raggiunto”.