Palermo – “La storia, almeno quella raccontata di solito, sembra insegnare che per liberarsi dalla violenza è necessaria la violenza. Ma è davvero così?”
Nel saggio Riso e sorriso (Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2018, €16), a questa domanda cruciale Andrea Cozzo risponde di no. E lo fa attraverso un viaggio rigoroso ed esaustivo nel mondo greco, romano ed ebraico, evidenziando la presenza di alcune idee e modalità di comportamento che, anche nell’antichità, rifiutano la violenza “senza per questo cedere alla prepotenza”.
Infatti, le quattro regole fondamentali della nonviolenza – – 1.Non opporsi simmetricamente, cioè con pari violenza, ma mettere l’avversario di fronte alla propria coscienza; 2.Essere creativi; 3.Non collaborare con l’oppressore; 4.Fare disobbedienza civile - sono già conosciute e, in alcuni casi, sperimentate anche nel mondo greco.
La prima, ad esempio, è messa in pratica sia dal filosofo Diogene che dai Macedoni, guardie del corpo di Alessandro Magno; mentre un esempio storico di non-collaborazione con l’oppressore è quello della plebe romana nel 494 a.C., quando, afflitta dagli usurai e non ascoltata dal Senato, abbandona Roma e si stabilisce sul Monte Sacro, “senza compiere alcun atto violento o di ribellione”, come attesta Plutarco.
Inoltre, quella che oggi noi chiamiamo disobbedienza civile, cioè la disobbedienza a un ordine ritenuto ingiusto, nell’antichità si manifestava non ubbidendo a ordini riguardanti l’uccisione di bambini: lo fanno i sicari incaricati di uccidere un bimbo di nome Cipselo; lo fa - nella finzione letteraria della tragedia “Edipo re” – il servo che ha pietà di Edipo; lo fanno, nella cultura ebraica, le levatrici ebree che disobbediscono al faraone lasciando in vita i neonati maschi.
C’è poi Antigone - protagonista dell’omonima tragedia di Sofocle - che dà sepoltura al cadavere del fratello Polinice, disubbidendo così agli ordini del re Creonte e rivendicando il suo diritto a trasgredire un ordine ingiusto per obbedire a una legge superiore. Sempre in ambito letterario, l’autore cita anche la nota commedia di Aristofane “Lisistrata”, che narra l’alleanza delle donne coinvolte, in città opposte, nella guerra del Peloponneso, donne che, attraverso lo sciopero del sesso, persuadono i loro mariti a far cessare le ostilità. Andrea Cozzo sottolinea che, nel mondo antico, le donne si comportano come “operatrici attive di pace” non solo in contesti mitici e/o letterari, ma anche nel mondo reale quando, in alcuni casi, “agiscono come mediatrici-conciliatrici (…), interponendosi nel vivo della battaglia (…) o intercedendo o pregando (…) o, una volta, addirittura accompagnando come scorta di protezione le straniere accidentalmente venutesi a trovare in zona nemica”.
Assai interessanti poi le pagine dedicate al riso e al sorriso (rispettivamente (ghélos e meidiama in greco) e al loro importante ruolo nell’approccio nonviolento ai conflitti. Cozzo delinea le differenze tra l’uno e l’altro: evidenzia la complessità relazionale del riso “arma nonviolenta che ha messo in grado i più deboli di prevalere sui più forti”, ma sottolinea comunque una sorta di superiorità morale del sorriso, espressione di “una posizione altruistica o interlocutoria, apertura ad uno scambio relazionale positivo … esso costituisce un rapporto di fiducioso accomodamento rispetto al mondo esterno”. Per i Greci allora il sorriso “è non solo l’inizio di una relazione positiva tra due, ma anche l’inizio del passaggio da una relazione negativa ad una positiva”; “nell’ambito della gestione dei conflitti, il sorriso interviene innanzitutto sulla persona stessa che lo esprime”.
Sorriso che riesce a costituire una forma di incanalamento della rabbia in senso non aggressivo: “Dunque, nel conflitto, il sorriso si presenta come un’arma nonviolenta, di relazione con l’oppositore, piuttosto che di sua negazione”. Ancora, l’autore evidenzia come i filosofi antichi abbiano mostrato molta attenzione alla gestione dei conflitti, soprattutto individuali: da Plutarco sappiamo che i filosofi pitagorici, nel caso in cui si insultassero, dovevano riconciliarsi prima del tramonto; da Luciano apprendiamo che il filosofo Demonatte “attaccava gli errori, ma scusava coloro che avevano errato, prendendo esempio dai medici, i quali curano le malattie, ma non si adirano con i malati”.
Traspare infine nel testo il fecondo spessore culturale del suo autore, appassionato grecista - l’autore è professore ordinario di Lingua e Letteratura Greca all’Università di Palermo – capace di farci quasi ‘gustare’ il peso e il senso dei termini greci. Ma Andrea è anche studioso di psicologia, di tecniche comunicative, di filosofia, nonché uno dei maggiori esperti italiani di nonviolenza.
E, in qualità di teorico e praticante attivo di nonviolenza, ha scelto di raccontarci azioni e forme di pensiero alternative a quelle militari per “illustrare un’altra storia (…) una storia demilitarizzata … di costruzione di una pace che non coincide con l’accettazione della sottomissione del debole al forte, ma con il raggiungimento di una condizione di assenza di prevaricazione.”
Grazie allora al professore Cozzo, che – in sintonia col Mahatma Gandhi - ci fa toccare con mano come la nonviolenza, “antica come le montagne” sia l’unico mezzo davvero umano, armonico e creativo, di risoluzione dei conflitti.
La prima, ad esempio, è messa in pratica sia dal filosofo Diogene che dai Macedoni, guardie del corpo di Alessandro Magno; mentre un esempio storico di non-collaborazione con l’oppressore è quello della plebe romana nel 494 a.C., quando, afflitta dagli usurai e non ascoltata dal Senato, abbandona Roma e si stabilisce sul Monte Sacro, “senza compiere alcun atto violento o di ribellione”, come attesta Plutarco.
Inoltre, quella che oggi noi chiamiamo disobbedienza civile, cioè la disobbedienza a un ordine ritenuto ingiusto, nell’antichità si manifestava non ubbidendo a ordini riguardanti l’uccisione di bambini: lo fanno i sicari incaricati di uccidere un bimbo di nome Cipselo; lo fa - nella finzione letteraria della tragedia “Edipo re” – il servo che ha pietà di Edipo; lo fanno, nella cultura ebraica, le levatrici ebree che disobbediscono al faraone lasciando in vita i neonati maschi.
C’è poi Antigone - protagonista dell’omonima tragedia di Sofocle - che dà sepoltura al cadavere del fratello Polinice, disubbidendo così agli ordini del re Creonte e rivendicando il suo diritto a trasgredire un ordine ingiusto per obbedire a una legge superiore. Sempre in ambito letterario, l’autore cita anche la nota commedia di Aristofane “Lisistrata”, che narra l’alleanza delle donne coinvolte, in città opposte, nella guerra del Peloponneso, donne che, attraverso lo sciopero del sesso, persuadono i loro mariti a far cessare le ostilità. Andrea Cozzo sottolinea che, nel mondo antico, le donne si comportano come “operatrici attive di pace” non solo in contesti mitici e/o letterari, ma anche nel mondo reale quando, in alcuni casi, “agiscono come mediatrici-conciliatrici (…), interponendosi nel vivo della battaglia (…) o intercedendo o pregando (…) o, una volta, addirittura accompagnando come scorta di protezione le straniere accidentalmente venutesi a trovare in zona nemica”.
Assai interessanti poi le pagine dedicate al riso e al sorriso (rispettivamente (ghélos e meidiama in greco) e al loro importante ruolo nell’approccio nonviolento ai conflitti. Cozzo delinea le differenze tra l’uno e l’altro: evidenzia la complessità relazionale del riso “arma nonviolenta che ha messo in grado i più deboli di prevalere sui più forti”, ma sottolinea comunque una sorta di superiorità morale del sorriso, espressione di “una posizione altruistica o interlocutoria, apertura ad uno scambio relazionale positivo … esso costituisce un rapporto di fiducioso accomodamento rispetto al mondo esterno”. Per i Greci allora il sorriso “è non solo l’inizio di una relazione positiva tra due, ma anche l’inizio del passaggio da una relazione negativa ad una positiva”; “nell’ambito della gestione dei conflitti, il sorriso interviene innanzitutto sulla persona stessa che lo esprime”.
Sorriso che riesce a costituire una forma di incanalamento della rabbia in senso non aggressivo: “Dunque, nel conflitto, il sorriso si presenta come un’arma nonviolenta, di relazione con l’oppositore, piuttosto che di sua negazione”. Ancora, l’autore evidenzia come i filosofi antichi abbiano mostrato molta attenzione alla gestione dei conflitti, soprattutto individuali: da Plutarco sappiamo che i filosofi pitagorici, nel caso in cui si insultassero, dovevano riconciliarsi prima del tramonto; da Luciano apprendiamo che il filosofo Demonatte “attaccava gli errori, ma scusava coloro che avevano errato, prendendo esempio dai medici, i quali curano le malattie, ma non si adirano con i malati”.
Traspare infine nel testo il fecondo spessore culturale del suo autore, appassionato grecista - l’autore è professore ordinario di Lingua e Letteratura Greca all’Università di Palermo – capace di farci quasi ‘gustare’ il peso e il senso dei termini greci. Ma Andrea è anche studioso di psicologia, di tecniche comunicative, di filosofia, nonché uno dei maggiori esperti italiani di nonviolenza.
E, in qualità di teorico e praticante attivo di nonviolenza, ha scelto di raccontarci azioni e forme di pensiero alternative a quelle militari per “illustrare un’altra storia (…) una storia demilitarizzata … di costruzione di una pace che non coincide con l’accettazione della sottomissione del debole al forte, ma con il raggiungimento di una condizione di assenza di prevaricazione.”
Grazie allora al professore Cozzo, che – in sintonia col Mahatma Gandhi - ci fa toccare con mano come la nonviolenza, “antica come le montagne” sia l’unico mezzo davvero umano, armonico e creativo, di risoluzione dei conflitti.
Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 03.05.2020
Direi soprattutto che i punti 2 3 e 4 avremmo dovuto usarli già da un po' qui in Italia. Il punto 1 se ti trovi davanti ad un dittatore come era Pinochet forde potrebbe non funzionare
RispondiElimina@Daniele: opporsi a una dittatura in modo nonviolento è davvero difficile e complesso, e comporterebbe anche una presa di coscienza popolare, è vero ... Buona giornata.
RispondiEliminaUna recensione che mette bene in luce la ricchezza di sfondi e riferimenti culturali in cui il testo si colloca e di cui tratta. Interessante soprattutto, mi pare, la doppia valenza della proposta "non violenta": sul piano dell'agire collettivo e sul livello dell'essere individuale (il riso e il sorriso). Un caro saluto.
RispondiElimina@Rossana: Andrea Cozzo è uno dei maggiori studiosi italiani di nonviolenza. E unisce alla sua competenza teorica una coerente prassi nonviolenta. I suoi testi sono, a mio avviso, dei gioielli. Buona domenica e saluti cordiali.
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