Il 23 maggio 1992, la strage di Capaci ci ha sconvolti. Ci ha cambiato la vita.
Il giudice Giovanni Falcone era un’icona nella lotta alla mafia, grazie alla sua straordinaria intelligenza investigativa. Era un uomo colto e preparatissimo, siciliano fino al midollo ma capace di parlare e intendersi con chiunque: poliziotti statunitensi, magistrati svizzeri e colombiani, giornalisti d’oltralpe, poliziotti, pentiti, uomini della strada, insegnanti, politici.
Falcone riusciva a capire le pieghe più profonde, intime e universali dell’animo umano e aveva una visione a 360 gradi della mafia, nei vari contesti sociali. “Segui i soldi, gli interessi … e troverai la mafia” – era la sua profonda convinzione. “Possiamo sempre fare qualcosa … Ma solo affrontando la mafia per quello che è – un’associazione criminale seria e perfettamente organizzata – saremo in grado di combatterla” affermava nel libro-intervista Cose di cosa nostra.
Quando lo hanno ammazzato, noi siciliani ci siamo sentiti più soli, vulnerabili, scoperti.
Non avevamo più il giudice adamantino che tentava di sconfiggere la piovra per tutti noi.
Già provati da decine e decine di altri assassini eccellenti – il Presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, il prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, i magistrati Gaetano Costa e Rocco Chinnici ,il medico Paolo Giaccone, il poliziotto Ninni Cassarà, tanto per citare qualche nome alla spicciolata – senza il giudice dai toni pacati e dalla mente acutissima e vulcanica, dal sorriso mite e dalla battuta ironica, con un grande amore per il suo lavoro, ma anche per il mare e per le nuotate, i siciliani, gli italiani onesti si sono trovati irrimediabilmente soli.
E responsabili personalmente della lotta a Cosa nostra, ognuno secondo il suo ruolo, la sua formazione, le sue possibilità.
Il minimo che possiamo fare è mettere oggi, alle ore 18, un lenzuolo al nostro balcone o alla nostra finestra per onorare la memoria di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e degli agenti di scorta Alberto Montinari, Vito Dicillo e Vito Schifani.
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