“Non c’è donna, non c’è uomo che davanti alla tragedia di una guerra non inorridisca e non voglia la pace. Ma quale pace? Quella che prolunga la guerra e prepara catastrofi ancor più disastrose? Oppure quella stabilità dai vincitori di turno che può rivelarsi ancora più incivile della guerra appena conclusasi?
È possibile venire fuori da quest’impeto mortifero (…) e acquisire la consapevolezza che vittoria o sconfitta non apportano alcun bene né ai vincitori né ai vinti, ma accrescono semplicemente la tracotanza di chi vince e la disposizione a compiere il male di chi perde? (…)
Non si può sfuggire alla domanda essenziale: perché mai nella storia dell’umanità vi è questo continuo ricorso alla guerra che produce la pazzia di ogni individuo che vi partecipa e l’accecamento in ogni comunità? (…) Sono i rapporti di potere e non i rapporti di senso quelli che reggono la storia, così pare. Allora non c’è via d’uscita? (…)
Potrebbero sembrare domande ingenue le mie, ma sono le domande che nel corso dei secoli hanno afflitto gli esseri umani. (…)
Forse per bandire le guerre è necessario educarci ad accogliere la mortalità che è insita in ogni essere vivente, accogliere la morte come meta finale della vita, e non continuare ad estrometterla. Si tratterebbe di un rovesciamento radicale, che implicherebbe non la tensione cieca verso il baratro dell’abisso in cui scivoliamo di continuo, ma l’ascesa verso uno spiraglio luminoso, verso la nascita, verso il dono della vita da parte di chi ci ha messo al mondo. La condizione umana sarebbe così rischiarata dalla gioia di esserci, in questo mondo, e tutta la condizione del vivere risplenderebbe nella sua vulnerabilità.
E la gioia della scoperta di essere vivi, di giorno in giorno rinnovata, schiuderebbe i sentieri della bellezza che sono in noi e attorno a noi e scatenerebbe il desiderio di tutelarli e salvaguardarli. E di credere che la vita umana non è puro e semplice desiderio di trionfare su ciò che è altro e di schiacciarlo. Alla furia del coinvolgimento bellicoso potremmo forse, con pazienza e lentezza, e in direzione contraria all’iperattività dei nostri tempi, sostituire un’altra forma di furore, l’estro creativo, perché creare è una forma di maternità. (…)
Solo un’educazione all’attenzione creatrice e a mediazioni creative può spezzare le catene della disumanità e suscitare il desiderio di una politica mai disgiunta dall’amore per il mondo. Una politica autentica, dunque, più prossima a un’arte che a una gestione del potere e che, in quanto tale, metta al centro l’eternamente umano in noi e nell’altro da noi, si orienti al disinnesco dei dispositivi sociali che amplificano la volontà di prestigio, di possesso, di vorace appropriazione rapinatrice, e alla preservazione delle meraviglie esistenti e dei legami tra noi e l’universo. (…)
Perché continuare ad assistere nell’inerzia a operazioni di annientamento e di strazio? Perché non dare voce all’unisono al grido che nasce dalle viscere e che tendiamo a reprimere? Si levi in ogni luogo in cui siamo il nostro: Basta! Non ne possiamo più di carneficine, di distruzione, di devastazione che ottundono la mente, pietrificano il cuore e raggelano in un’impotenza disperante.
Basta con le guerre!"
Maria Concetta Sala: Basta con le guerre!
in Corpi e parole di donne per la pace, a cura di Mariella Pasinati, Navarra, Palermo, 2024, pp.15-17
(già pubbl. in Segno, num 433-34, marzo-aprile 2022, pp.17-20)
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