domenica 31 agosto 2025

Ad Agnone vacanze filosofiche tra bellezza e pensieri...

      Agnone (Isernia) – Agnone, comune dell’Alto Molise in provincia di Isernia, con i suoi 800 metri di altitudine e un clima frizzante anche d’estate, è meta assai gradevole per una vacanza agostana. Celebre per la sua antica tradizione nella produzione delle campane (qui un articolo), la cittadina molisana, silenziosa e accogliente, oltre alle bellezze artistiche come il centro storico medievale costellato da tante chiese, offre una buona cucina, caratterizzata soprattutto dall’ottima produzione casearia (appena in periferia, è possibile visitare con degustazione in diretta una delle aziende produttrici di formaggi).
    Dal 19 al 25 agosto Agnone ha ospitato la XXVIII edizione delle Vacanze filosofiche 2025 (qui per conoscerne genesi e una precedente edizione) che ha avuto per tema il rapporto tra Umorismo e Filosofia. Le due relazioni giornaliere, una mattutina e l’altra nel tardo pomeriggio, introdotte da vari relatrici e relatori, sono sempre state seguite da un confronto vivace, partecipato e plurale; il resto della giornata è stato utilizzato per passeggiate e visite culturali. 
    Tra i luoghi visitati in paese, si ricordano il museo storico del rame, il quartiere veneziano e il suggestivo belvedere da cui si gode la vista di un pezzo di Molise; tappa importante a una trentina di chilometri di distanza è stata l’area archeologica di Pietrabbondante, che conserva i resti di un teatro sannitico, una delle vestigia meglio conservatesi dell’antico popolo italico.
      Ad Agnone, non è mancata infine la visita alle Biblioteche Riunite Comunale e B. Labanca, dotate complessivamente di oltre 60.000 titoli e di un corpus di volumi antichi, circa 1400, stampati fra il 1512 ed il 1830. Tra i libri più importanti, un’edizione del 1567 dell’Opera Omnia di Platone tradotta da Marsilio Ficino. All’interno del Museo Civico è esposto anche un calco della Tavola Osca, nota anche come Tabula Agnonensis o Tavola degli Dei, appartenente al popolo italico dei Sanniti. L’originale si conserva al British Museum di Londra.
Tale prezioso patrimonio librario si trova al primo piano di Palazzo san Francesco, ex convento francescano la cui parte più antica risale al 1343, ora sede del Consiglio comunale e della prestigiosa biblioteca. Proprio a Palazzo san Francesco, per gentile concessione del Comune, hanno avuto luogo alcune sessioni delle vacanze filosofiche. 

    Che sono iniziate col tratteggiare quanto acquisito dalle neuroscienze e dagli studi di psicoanalisi e psicologia sui meccanismi dell’umorismo e della risata, evidenziando i percorsi neuronali e le tendenze ‘profonde’ alla base della nostra specie, ribattezzata scherzosamente Homo ridens… 
     É stata quindi dedicata una sessione a Socrate, maestro di ironia sia come postura soggettiva, ma soprattutto, col metodo maieutico, come posizione filosofica per eccellenza: Socrate affermava di fare qualcosa di simile al mestiere di sua madre, ostetrica: la madre aiutava le donne a partorire un corpo, mentre lui aiutava l’interlocutore a…partorire pensieri. 
   Successivamente il tema del riso, del comico e dell’ironia sono stati analizzati secondo il punto di vista di Henri Bergson, autore, nel 1900, del Saggio sul Riso, dove il filosofo francese indaga i principali meccanismi di produzione del comico con il ritrovamento di tratti meccanici e ripetitivi laddove ci si aspettava grazia, sveltezza e unicità vivente e vitale. Secondo Bergson tutti i comportamenti umani hanno in qualche modo a che fare col riso, espressione poliedrica dalle mille sfaccettature esistenziali e sociali.
    Il tema dell’ironia è stato poi rivisitato attraverso le lenti di Vladimir Jankélévitch, filosofo e musicologo di origine russa, ma naturalizzato francese, allievo di Bergson: secondo Jankélévitch ironizzare equivale sempre a filosofare, a patto di riconoscere che l’ironia non è quella ‘cattivella’ a cui spesso facciamo riferimento: “lo scopo dell’ironia non era di lasciarci macerare nell’aceto dei sarcasmi né, dopo aver massacrato tutti i fantocci, di drizzarne uno al loro posto, ma di ripristinare ciò senza di cui l’ironia non sarebbe nemmeno ironica: uno spirito innocente e un cuore ispirato”.
     Sul tema dell’ironia, non sono mancati i riferimenti alla nostra ricca tradizione letteraria: prima un viaggio nel ‘pensiero poetante’ di Giacomo Leopardi e una full immersion nella sua produzione, dalle Operette morali a La ginestra; poi un’ampia disamina della satira nella letteratura latina, con riferimenti a Lucilio, Orazio e Giovenale; ancora un ricco excursus sul saggio che Luigi Pirandello dedicò all’umorismo; e, infine, alcune domande sul radicato senso dell’umorismo nella cultura ebraica.
      Le digressioni su risata e filosofia si sono concluse con la testimonianza di una docente che ha persuaso tutte e tutti sull’importanza di una pedagogia gioiosa, citando, oltre che le sue rodate esperienze in classe, la teoria della pedagogia della risonanza (del tedesco Hartmut Rosa) e la warm cognition, appoggiata in Italia dalla professoressa Daniela Lucangeli, che afferma: “L’intelligenza funziona meglio se si è felici” “La risata aiuta ad aprirsi agli altri”. Infatti, come è stato opportunamente ricordato, la gioia e il sorriso attivano modalità amichevoli e collaborative, che sono cognitive ed emotive insieme.
     Il mondo odierno in frantumi non ha forse davvero urgente bisogno di una pedagogia del sorriso?








giovedì 28 agosto 2025

Perché?

Paul Klee, Insula Dulcamara (1938)
Mammina,

perché nascere

in questo mondo 

tanto cattivo e spietato?

Perchè?


martedì 26 agosto 2025

Noi, che...

Noi, che
siamo contente quando stendiamo il bucato, al sole,
e non sappiamo perché;

noi, che
amiamo sentire il profumo dell’ammorbidente
che odora di lavanda o di fragranza marina,
e immaginiamo di essere tra i campi lilla della Provenza
o sulla battigia, appena prima del tramonto dorato;


noi, che
abbiniamo il colore delle mollette colorate
a quello delle magliette stese ad asciugare;

noi, davvero,
non riusciamo ad accettare
la monotonia feroce della guerra…
E ce ne chiediamo, affrante, il perché.

domenica 24 agosto 2025

Isole Egadi: uno scrigno di natura e bellezza

Levanzo - Faraglioni
        Palermo – A differenza delle isole Eolie non sono riconosciute dall’Unesco patrimonio dell’umanità, ma anche le Egadi posseggono un fascino speciale e tante bellezze naturali. 
     L’arcipelago, formato da Favignana, Marettimo, Levanzo e sei isolotti minori (alcuni poco più che scogli), si trova a circa 7 km dalla costa occidentale siciliana, di fronte alla città di Trapani, a metà tra basso Tirreno e canale di Sicilia.
     Il nome latino Aegates, con cui le isole erano note nell’antichità, proviene dal greco Aigatai che significa ‘isole delle capre’. 
     Dal 1991 l’arcipelago è un’area marina protetta: con i suoi 53.992 ettari marini, è la seconda per estensione delle zone marine europee salvaguardate. La zona tutelata è suddivisa in quattro zone, dalla A, di riserva integrale, alla D, di sola protezione. Le isole di Favignana, Levanzo e Marettimo, considerate sito di interesse comunitario, sono poi tutelate dalla Regione Siciliana.
Marettimo
    La flora delle isole è caratterizzata da macchia mediterranea assai variegata, con più di 400 specie diverse; la fauna presenta una grande varietà di volatili sia stanziali che migratori, come l'uccello delle tempeste, la berta minore, la berta maggiore, la monachella nera e l'aquila del Bonelli. Dal 2013, nel mare vicino a Marettimo, è possibile trovare anche la foca monaca.
   Marettimo, frazione di Favignana, è la più occidentale e incontaminata delle Egadi; i suoi fondali, sia sabbiosi che rocciosi, custodiscono un prezioso tesoro di biodiversità, infatti le acque vicine a quest’isola sono quelle con il grado maggiore di protezione: vi si trovano cernie, corvine, ricciole, tartarughe caretta caretta, aquile di mare e alcuni esemplari di foca monaca. L’acqua è limpida grazie alle correnti dell’Atlantico. A cinquanta metri di profondità, è stata riscontrata la presenza del raro corallo nero. Suggestive poi le sue diverse grotte marine: la grotta del Cammello, la grotta del Tuono, la grotta della Pipa, la grotta Perciata, la grotta della Ficaredda, la grotta del Presepe, quella della Bombarda e i Ruttiddi, che portano alla grotta degli Innamorati. 
Marettimo 
   L’isola, il cui punto più alto è monte Falcone (a 686 metri), è percorsa da vari sentieri, vicino ai quali occhieggiano le piante endemiche come il cavolo delle Egadi e la finocchiella di Boccone.
Più vicina alla costa e a Favignana, di cui è anch’essa frazione, c’è Levanzo, la più piccola delle tre isole, con una superficie di circa 5 kmq e un piccolo promontorio, Pizzo Monaco, di 270 metri. Nell’isola, tranne un breve tratto viario che conduce alla spiaggia del Faraglione, non ci sono strade asfaltate, fattore questo che, per certi versi, ne ha preservato l’integrità paesaggistica.
Levanzo merita di essere visitata anche per i suoi resti archeologici: sulle sue coste, infatti, si affacciano alcune grotte, la più nota delle quali è la grotta del Genovese, uno dei più importanti siti archeologici siciliani, che conserva incisioni e pitture rupestri che risalgono al Paleolitico superiore (9680 a.C. circa). 
Nel versante est dell’isola, nella zona marina vicina a cala Minnola, a circa 27 metri di profondità, c’è poi un importante sito archeologico sommerso: il relitto di una nave romana, con resti di anfore e frammenti di vasi.
Favignana - Cala Rossa
    Favignana, che fa comune a sé, con i suoi 19 kmq di superficie e uno sviluppo costiero ricco di cavità e di grotte lungo circa 33 km., è la maggiore delle Egadi. Il punto più alto dell’isola è monte Santa Caterina, di m.314. Sul lato meridionale si scorgono gli isolotti Preveto, Galera e Galeotta, poco più che scogli.
    Il pittore Salvatore Fiume l’ha appellata «farfalla sul mare» per la sua forma caratteristica. Il nome attuale (anticamente Favognana) deriva dal favonio, un vento caldo di ponente che ne determina il clima molto mite.
Come altre isolette italiane, dal periodo borbonico fino a quello fascista fu utilizzata soprattutto come prigione e luogo di confino per gli avversari politici. 
Ricoperta anch’essa da macchia mediterranea, con la presenza anche di boschi di pini marittimi, Favignana è la più visitata dell’arcipelago: ricca di strutture recettive, si è affermata come importante meta turistica, con la presenza di villaggi turistici, agriturismi, hotel, B&B e di ogni sorta di case vacanza; notevole anche l’offerta gastronomica sia per numero dei locali che per qualità del cibo. Le abitazioni isolane, caratterizzate da intonaci bianchi e finestre azzurre o verdi, sono state riscoperte e valorizzate, e ormai tale architettura mediterranea è tutelata dalla sovrintendenza ai beni culturali.
Oggi l’economia dell’isola è basata quasi unicamente sul turismo, mentre sino alla prima metà del 1900 viveva della pesca del tonno e dell’attività estrattiva del tufo.
La pesca del tonno è testimoniata dagli edifici delle antiche tonnare, soprattutto dall’ex stabilimento Florio, ora restaurato e ormai sito museale, sede anche di un Antiquarium, che espone reperti storici ritrovati nel mare delle isole Egadi. Degna di nota anche Villa Florio, una palazzina fatta costruire da Ignazio Florio dal 1876 al 1878 su progetto dell'architetto Giuseppe Damiani Almeyda.
Villa Florio - Favignana
   La pietra presente nell'isola è una calcarenite, roccia sedimentaria composta prevalentemente da sabbia e gusci fossili. Ne esiste una di qualità inferiore, di colore giallo, presente nello strato superiore del terreno, e una di qualità superiore, di colore bianco, sottostante la precedente. Nei secoli scorsi, la calcarenite bianca è stata utilizzata come eccellente materiale per l'edilizia: si ritrova oggi a Villa Florio e nella chiesa dell'Immacolata Concezione di Favignana, a Villa Igiea a Palermo, a Messina nei palazzi ricostruiti dopo il terremoto del 1908, a Tunisi. Lo sfruttamento delle cave di tufo fu massimo nel periodo compreso tra il XVII secolo e l’inizio del XX secolo, quando l’imprenditoria isolana era in mano alla famiglia Florio.
    Oggi, soprattutto nella parte orientale dell’isola, all'interno delle cave di tufo ormai dismesse, vi sono molti giardini detti ipogei: fra questi il "Giardino dell'Impossibile" (qui il link).
Favignana rimane insuperabile per le sue spiagge: di scogli come Cala Azzurra, Cala Rossa, Bue Marino, Grotta Perciata, Scivolo, sabbiose come Burrone. Nel 2015 la spiaggia di Cala Rossa è stata premiata come una delle più belle d’Italia.
    Favignana, Levanzo e Marettimo sono collegate al porto di Trapani e di Marsala con aliscafi che effettuano diverse corse giornaliere; in estate c’è anche un collegamento diretto con Napoli una volta a settimana: magari a fine primavera/inizio estate o a inizio autunno, quando sono meno affollate, meritano davvero un soggiorno.
 
Maria D'Asaro, 24 agosto 2025, il Punto Quotidiano









domenica 17 agosto 2025

La prof Ornella Giambalvo e il pozzo a Usolanga (Tanzania)

        Palermo – La professoressa Ornella Giambalvo, docente ordinario di Statistica sociale all’Università di Palermo, una delle circa 3.600 donne (quasi il 19% del totale) che ricoprono quest’importante ruolo nelle università italiane, l’ho già intervistata nell’aprile 2014 (qui il link).
      Mi avevano allora colpita e commossa il suo impegno concreto nel volontariato a Palermo, l’amicizia speciale con Lucio Dalla e il racconto di un viaggio in Tunisia nel 1998, con il ‘miracolo’ di una luna immensa che illuminava sette persone ‘perse’ nel deserto del Sahara, senza tablet e telefonini, in compagnia solo di un ragazzino del luogo e quattro dromedari.
      Ornella è una viaggiatrice instancabile e appassionata: a casa sua c’è un pannello/planisfero con tante bandierine, una per ogni luogo del pianeta che ha visitato. Ma, a marzo scorso, andare in Tanzania, a Usolanga (circa 70 km da Iringa, città del centro-sud del Paese), uno dei ventidue villaggi appartenenti alla missione cattolica di Ismani, è stato un viaggio speciale… E non certo perché, oltre all’aereo per Addis Abeba e poi per Dar es Salaam, ci sono volute quindici ore di macchina in strade sterrate per arrivarci…

Professoressa Giambalvo,  racconti da cosa è nato questo viaggio?

A questa domanda potrei rispondere almeno in 10 modi. Mi limito a 3: dal mio desiderio di conoscenza; dalla mia voglia di “costruire” il bene comune; da don Saverio Catanzaro. Sintetizzando queste tre risposte posso dirti che della missione di Ismani sento parlare da quando sono nata. Don Saverio Catanzaro, prete della diocesi di Agrigento e fondatore della missione, è amico della mia famiglia dal 1962, da prima della mia nascita. Don Saverio, oggi novantenne ma ancora tenace e dinamico, con l’energia di un giovanotto, è partito in missione a Ismani nel novembre del 1972. E quando tornava per un periodo limitato dalla ‘sua missione’, ci raccontava quello che stava facendo (costruiva scuole, chiese, pozzi, casette, strade...), del servizio e della disponibilità offerta alle persone povere. Io lo ascoltavo sempre in religioso silenzio e immaginavo… i miei coetanei di Ismani, la scuola di Ismani… la vita, là. 
Avevo forse dieci anni quando, a un tizio che lo aveva apostrofato così: “Don Saverio, come si sta laggiù con gli zulù?!”  lo sentii rispondere con una battuta secca e definitiva: “Mi sa che i veri zulù siete voi…” che dà l’idea del suo spirito battagliero.
A gennaio, alla sua ennesima proposta ad accompagnarlo in Tanzania, ho detto sì. 
Un sì convintissimo, tanto da lasciare stupito anche lui.

Qual è stata la situazione più difficile da affrontare?

In generale, lasciare i bambini per strada che ci facevano festa, vedere malati in paziente e fiduciosa attesa di cure, incrociare occhi desiderosi di attenzione e pieni di povertà. Fra tutte, la delusione dei bimbi quando andavamo via, era dura da digerire.
E poi mi ha colpito vedere un bambino arrivato con una maglietta bucata, tutta toppe, che non andava bene neppure come strofinaccio, indossare con occhi luccicanti la maglietta azzurra che gli era stata donata. Per riprendere poi da terra la sua vecchia maglietta lercia e strappata… Che gli rividi addosso qualche giorno dopo. Evidentemente la maglietta azzurra era un dono troppo prezioso, da custodire bene, centellinandone l’utilizzo.

E il momento più bello?   

È difficile scegliere! Quello che mi ha insegnato di più è quando un papà, durante la visita medica della figlia, vedendo che ero rimasta in piedi nella sua capanna, immersa in un campo di girasoli, è corso fuori per prendere un bidone di plastica tagliato per farmi accomodare. Ecco, questa generosità del nulla, mi ha proprio segnata. 
Il momento più bello è vedere che una bimba di 7 anni ha dedotto da sola la relazione fra divisione e sottrazione, solo perché le avevo spiegato la relazione fra addizione e moltiplicazione. Era assetata di matematica. Una mente intuitiva e aperta, come non ne ho mai incontrato. Il momento più bello personale, direi intimo, è stato accorgermi del cielo stellato: intravedere il buio fra gli infiniti punti luminosi delle stelle.

Come funziona l’organizzazione sociale di un villaggio africano?

I villaggi nascono attorno alla missione. La missione di Ismani racchiude 22 villaggi, alcuni molto lontani. Ogni famiglia del villaggio ha una capanna/casa dove vivere, con un appezzamento di terra da coltivare a girasoli o mais. E poi i più fortunati hanno animali, soprattutto galline e…. pulcini. Con i prodotti della coltivazione del terreno e con la vendita delle uova o degli animali, si sostentano. In quasi ogni villaggio c’è una scuola primaria, ogni 2-3 villaggi c’è una scuola secondaria. Poi c’è il dispensario, quello che noi chiameremmo infermeria, e in genere una chiesetta o una cappella. Padre Leonard Maliva, attuale responsabile della missione, punta molto sull’istruzione dei bambini e sulla salute.

Quali le emergenze maggiori a cui ogni villaggio deve far fronte?

Le carenze igieniche sono evidenti. Non c’è molta disponibilità di acqua e quindi non ci si lava nemmeno le mani. In alcuni villaggi l’acqua non arriva e si usa solo quella piovana che viene raccolta con delle bacinelle. Le strade non sono asfaltate e i bambini giocano nella polvere. E poi mancano anche i beni primari: medicine (ne abbiamo portate valigie intere da distribuire ai dispensari e negli ospedali); vestiario (ogni giorno aprivamo il cancello per la distribuzione di magliette, pantaloni, vestitini); scarpe e zainetti (non eravamo molto attrezzati perché non immaginavamo, ma i bambini vanno a scuola con i quaderni nelle magliette),

Quali invece i punti di forza?

La loro dignità, nella povertà. La loro solidarietà: i figli sono figli di madre, i bambini condividono penne, matite, quaderni, gomme, perfino caramelle. Spesso non sanno di cosa hanno bisogno, tanto sono poveri! A volte chiedono interventi che per noi sono banali, come i soldi per la patente, l’acquisto di un biglietto dell’autobus per evitare di fare 12 ore di cammino, i soldi per una balla di vestiti da rivendere….

Si parla tanto di aiuti, di cooperazione con gli stati africani: a tuo avviso, a cosa si dovrebbe dare priorità?

Si dovrebbero organizzare aiuti ed interventi dal basso: ascoltando e facendo proprie le priorità delle comunità. A livello nazionale, si dovrebbe dare priorità alle infrastrutture: non ci sono fognature, non ci sono strade, non ci sono mezzi adeguati per lo sviluppo del territorio. La sanità è, ahimè, a pagamento e solo pochi si possono permettere di accedervi. Ecco ‘rendere’ pubblica la sanità è un intervento che le organizzazioni politiche internazionali potrebbero sovvenzionare. E poi manca la cultura del progresso: ci si rassegna alle condizioni di povertà e di privazione in senso lato e non si ambisce a vivere meglio, vivere di più. Ho notato che, nella cultura africana, è carente la progettualità di medio e lungo periodo. Un profondo cambiamento culturale sul rafforzamento delle loro capacità e sulle loro capacità di fare le cose bene… ecco cosa ci vorrebbe.

A tuo avviso, le istituzioni politiche fanno qualcosa?  C’è la possibilità di una qualche sinergia tra buona volontà dei singoli, delle missioni e istituzioni?

Fanno quello che possono, spesso disperdendo le forze. A mio avviso una buona cooperazione passa dall’Istituzione. È lo stato della Tanzania che dovrebbe gestire i fondi per le scuole pubbliche, per la sanità, per la formazione e l’alfabetizzazione alla valutazione, al monitoraggio. Non esiste un servizio di anagrafe… Tecnicamente lo Stato non sa se, quando e dove nascono i bambini. Se e dove muoiono le persone. Se non ci fosse la chiesa e le missioni laiche che provvedono, tali informazioni sarebbero perse. E non lo dico solo per il piacere di fare Statistica… Sapere quanti bambini nascono sarebbe utile per programmare una campagna di vaccinazione che attualmente è lasciata alla volontà delle missioni; sapere quante persone muoiono e la loro causa di morte servirebbe per prevenire i fattori di rischio e migliorare la sanità (anche indirizzando la specializzazione dei medici); sapere quanti giovani potrebbero lavorare (la forza lavoro) potrebbe essere utile per lo sviluppo del territorio…
A Usolanga ho incontrato un medico che faticava a raccapezzarsi sui bambini a cui doveva somministrare prima o seconda dose di vaccino. Sarebbe stato sufficiente un semplice schema in excel, nel quale avrebbe potuto inserire i pochi dati necessari – nome del bambino, data I dose vaccinazione, data II dose… – per procedere in modo più sicuro ed efficiente nel suo lavoro. Mi ha detto che Lui ha un vecchissimo portatile (personale) dove mi ha chiesto di inserirgli il file… Ecco, servirebbero anche le infrastrutture informatiche, per vivere meglio.

Forse le Università sono tra le poche istituzioni che cercano di stabilire ponti e incrementare percorsi formativi con gli studenti e le studentesse dei paesi più poveri…

Sì, anche se ci sono altri volontari come le ALM (Associazioni Laiche Missionarie) che vivono nel territorio e che conoscono le reali esigenze delle persone. Però è vero che le università hanno un ruolo cruciale perché agenti del cambiamento culturale. L’Università di Palermo ha bandito 12 posizioni per fare studiare, a titolo gratuito, 12 ragazzi provenienti da paesi africani e segnalati dalle università locali. E fra queste c’è l’Università di RUHA, di Iringa che ho visitato.

E, infine, tra poco ci sarà un nuovo pozzo a Usolanga….

Usolanga è un posto magico. Il villaggio più lontano della missione. Ci vivono in tanti e altri villaggi fanno riferimento a Usolanga perché l’antico dispensario è diventato negli ultimi anni una sorta di ospedaletto con 15 posti letto che dispone di un ambulatorio, di un laboratorio per le analisi e di una sala parto.
Impreziosito da filari di magnolie a perdita d’occhio nella terra rossa, e da occhioni di bambini che vengono alla luce colmi di speranza, l’acqua, quando scorre dai rubinetti, è rossa. Insieme agli altri volontari, al nostro ritorno, abbiamo messo in moto una raccolta fondi per la costruzione di un pozzo, in accordo con padre Maliva e il parroco del villaggio, padre Kayage… L’acqua pulita servirà per l’ospedale, per le famiglie, per l’irrigazione dei campi…Penso che entro ottobre, questo villaggio e gli altri limitrofi, potrebbero beneficiare di un po’ di questo bene, tanto prezioso quanto necessario a tutti e per tutti.

Si spera che in autunno, quando in Tanzania sarà primavera, grazie alla tenace opera di sensibilizzazione della professoressa Giambalvo, l’oro blu possa essere attinto anche a Usalonga. Allora grazie di cuore a Ornella per la sua preziosa testimonianza e perché lei e gli altri volontari e benefattori, assieme all’acqua, donano agli abitanti di Usolanga anche la speranza di una vita migliore.


Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 17 agosto 2025

Scuola della missione

Parrocchia di Ismani

Interno della missione di Ismani

Mamme in attesa del vaccino per i bambini

I viaggi della professoressa Giambalvo

La collinetta di Usolanga davanti alla quale si farà il pozzo

Ancora la missione di Ismani

La professoressa Ornella Giambalvo con alunne e alunni