domenica 28 settembre 2025

Charles Boycott, così è nato il boicottaggio

        Palermo – Tutti sanno che il boicottaggio consiste nell’ostacolare l’attività di una persona o di un gruppo di persone, di un’azienda e persino di uno Stato, o per ragioni economiche o perché tale attività non è ritenuta corretta secondo principi etici universali. 
     Meno nota è invece l’origine della parola, collegata al cognome dell’inglese Charles Cunningham Boycott (1832-1897) e alla vicenda storica di cui fu protagonista.
Nel 1880, quando l’agricoltura era la principale attività economica dell’Irlanda, dove allora le terre appartenevano a non più di 10.000 persone (lo 0,2% della popolazione), Boycott amministrava la contea di Mayo, nell’ovest del paese (allora ancora interamente sotto il dominio inglese) per conto di John Crichton. Crichton, conte di Erne, era uno dei tanti ricchi latifondisti “absentee landlord”, che non vivevano nella loro proprietà e non se ne occupavano: la loro terra veniva divisa in piccole fattorie, affittate a contadini. 
     Charles Boycott, ex capitano dell’esercito britannico, aveva il compito di riscuotere gli affitti da fittavoli e mezzadri, dietro compenso del 10% degli incassi. Boycott era un esattore rigido e implacabile, che imponeva sanzioni e rimuoveva privilegi, come quello di impedire a mezzadri ritenuti non meritevoli la raccolta e l’uso di legna da ardere.
   Nell’autunno del 1880, i fittavoli di lord Erne non riuscirono a pagare i loro canoni d’affitto, a causa dello scarso raccolto dell’anno. Chiesero allora a Boycott una riduzione temporanea del 25% del canone. 
     Boycott rispose che il conte poteva accettare solo una riduzione del 10%; e cominciò lo sfratto dei mezzadri che avevano ritardato o omesso il pagamento dell’affitto. I contadini sfrattati però non permisero ai messi di consegnare gli avvisi, dando il via ad una serie di azioni per impedire loro di avvicinarsi.
     In Irlanda infatti, già da alcuni decenni, con l’obiettivo di abbassare gli affitti troppo alti e fermare gli sfratti arbitrari, si era formata la Irish National Land League, il cui leader era Michael Davitt, un indipendentista figlio di mezzadri scacciati dalle loro terre. Davitt era entrato in contatto col politico nazionalista Charles Stewart Parnell, che teorizzava l’uso di una strategia nonviolenta verso gli esosi proprietari terrieri e verso chi collaborava con loro.
Michael Davitt
     Si racconta che, in un discorso pubblico del settembre 1880, Parnell chiese in modo provocatorio: “Cosa fate con un inquilino che fa offerte per la fattoria da cui è stato appena sfrattato il suo vicino?” Alla folla che aveva risposto: “Lo uccidiamo!” obiettò: “Vi illustrerei una via molto migliore, più cristiana e caritatevole, che dà all’uomo l’opportunità di pentirsi. Quando un uomo prende una fattoria da cui un altro è stato sfrattato, dovete scansarlo quando lo incontrate per strada, scansarlo nei negozi, scansarlo sui prati e al mercato, e anche in chiesa. Lo lasciate solo, gli mostrate l’odio del crimine che ha commesso”. 
Questo discorso pose le basi del metodo di lotta che, grazie alla propaganda sociale della Land League, venne utilizzato per la prima volta contro Charles Boycott: un’azione nonviolenta di isolamento e non collaborazione. Così i vicini di casa iniziarono a non parlargli, in chiesa nessuno si sedette più vicino a lui o gli rivolse la parola, non fu più servito nei negozi né ebbe più braccianti da ingaggiare per il raccolto nelle tenute che gestiva. Tutti i suoi impiegati si rifiutarono di continuare lavorare per lui, la comunità lo isolò completamente, i negozi smisero di servirlo, le lavandaie di lavargli i panni e le cuoche di fagli il pane. Anche il maniscalco e il postino smisero volontariamente di servire Boycott. 
    L’amministratore scrisse una lettera ai quotidiani inglesi per denunciare l’isolamento in cui si era improvvisamente venuto a trovare. Dalle colonne del Daily News, si seppe che, anche se Boycott non era fisicamente minacciato, nella zona in quel momento non c’era donna che accettassi di lavargli la cravatta o di fargli il pane. 
Intanto, il raccolto rischiava di marcire: così il governo inglese fu costretto a mandare suoi impiegati per svolgere il lavoro, sotto la protezione di truppe armate, con un costo venti volte maggiore di quello che sarebbe effettivamente costato dando la giusta paga agli affittuari.
Alla fine, il 1° dicembre del 1880, Boycott fu licenziato e lasciò l'Irlanda.
Charles Stewart Parnell
     La vicenda di Boycott fu talmente peculiare che, dal suo nome, la stampa inglese coniò subito un nuovo termine “boycotting”, termine che si diffuse velocemente in varie altre lingue: dall’inglese to boycott hanno attinto i francesi (con boycotter), i tedeschi (boykottieren) e noi italiani, con ‘boicottare’
Si distinguono oggi, grosso modo, tre filoni di boicottaggio: quello di coscienza, quello strategico e quello etico-strategico. Il primo viene attuato per modificare o bloccare un'attività considerata nociva o contraria ai principi morali o dannosa per la salute pubblica. 
   Il boicottaggio strategico ha invece finalità politiche o economiche e viene intrapreso da gruppi organizzati (o anche da stati o organizzazioni internazionali) per modificare comportamenti di altri gruppi o stati attraverso l’utilizzo di ritorsioni economiche e commerciali.
    Il boicottaggio etico-strategico, sintesi del boicottaggio di coscienza e di quello strategico, consiste in un’azione collettiva di rifiuto verso i commerci e i prodotti di gruppi o stati che agiscono in modo inaccettabile dal punto di vista dei diritti umani e dell’etica universale.
     Oggi, in un mondo spesso confuso e violento, il boicottaggio è forse uno dei pochi modi che hanno le donne e gli uomini di buona volontà, se consapevoli e ben organizzati, per orientare l’opinione pubblica e dare una bussola etica alla società e alla politica.

Maria D'Asaro, 28.9.25, il Punto Quotidiano

venerdì 26 settembre 2025

Volontari in carcere: i 25 anni dell'AS.VO.PE.

 

Oggi alle ore 17,30, a Palermo, al teatro Jolly, ingresso libero:



Vi aspettiamo.

(Questo il sito dell'AS.VO.PE.)

E, iniziativa felicemente conclusa, ecco il bel servizio di Dorotea Rizzo (da qui)

e, proprio da l'Altroparlante ecco alcune foto:





mercoledì 24 settembre 2025

A Nino la nostra gratitudine...


Noi, che mettiamo in lavatrice i centrini almeno una volta all’anno
noi, che ci ostiniamo persino a pulire i cassetti
con una quasi metodica periodicità…
noi, che siamo inebriate dal profumo delle tende appena lavate…

Noi ci chiediamo il senso di tutto ciò.
quando si incitano i popoli alla guerra…
quando pietà e misericordia sembrano avere abbandonato il pianeta…
Per questo siamo grate a Nino, imbarcato su una nave della Flotilla…


(Nino Rocca, che conosco e stimo da circa 35 anni, è da sempre impegnato, in modo silenzioso, fattivo e quotidiano, per gli ‘ultimi’: a Palermo è stato attivo all’Albergheria, a fianco della moglie Maria Di Carlo e di don Cosimo Scordato (e di Augusto Cavadi e altri), oggi combatte contro la droga a fianco delle vittime dello spaccio e contro la tratta. 
E’ stato in Ruanda ai tempi della guerra civile tra Hutu eTutsi, in Congo, dove da anni c’è una guerra di cui non si parla, in Brasile a fianco dei meninos de rua, negli anni ’90, quando i ragazzini di strada erano uccisi dagli squadroni della morte, è stato in ex Jugoslavia.
Nino è tutto questo. E anche di più. E’ uno che ha preso sul serio l’invito evangelico “ama il prossimo tuo come te stesso”…)



lunedì 22 settembre 2025

Tu... da dove prendi le energie per "fare ancora"?

    Chi bazzica nel blog sa forse dell’amore sconfinato di chi scrive per Alex Langer (anche qui).
    Alex, nel marzo 1990, si poneva già queste domande (riportate nel testo “Il viaggiatore leggero” scritti 1961-1995, Sellerio, Palermo, 2005):

Cosa ci può realmente motivare?

Cambiare il mondo o salvaguardarlo?

Solidarietà come autocompiacimento?

Abbandonare la radicalità?

Etica della rivoluzione?

Conseguenze della rivoluzione nonviolenta all'est?

Navigare a vista?

Esiste da qualche parte una demarcazione tra amici e nemici?

A chi ci si può affidare?

Esiste un'ascesi che uno aiuta e uno forgia?

Negare sé stessi – credibile o pericoloso (disumano, burocratico, ipocrita)?

Cosa ti dice il sud del mondo? Solo cattiva coscienza?

Perché cercare la salvezza altrove (perché poi dover andare lontano...)?

Vivresti effettivamente come sostieni che si dovrebbe vivere?

Passeresti il tuo tempo con coloro ai quali rivolgi la tua solidarietà?

Professionalità. Potresti vivere anche senza politica?

Altruismo/Egoismo

Quali costanti?

Quali sintesi (per esempio giustizia, pace, salvaguardia del creato)?

Cosa faresti diversamente?

Potenzialità della disobbedienza civile...

Tu che ormai fai il militante da oltre 25 anni e che hai attraversato le esperienze del pacifismo, della sinistra cristiana, del 68 (già da “grande”), dell'estremismo degli anni 70, del sindacato, della solidarietà con il Cile e con l'America Latina, con il Portogallo, con la Palestina, della nuova sinistra, del localismo, del terzomondismo e dell'ecologia – da dove prendi le energie per “fare ancora”?

Caro Alex, se la sera non c’è un abbraccio che ci sostiene e ci consola, siamo più disperati che mai. 
Avevi ragione…
 

domenica 21 settembre 2025

"L'utilità dell'inutile": l'ultima lezione del professore Nuccio Ordine

      Palermo – La riedizione del saggio L’utilità dell’inutile (La nave di Teseo, Milano, 2023) scritto da Nuccio Ordine già nel 2013 e ripubblicato nell’ottobre 2023, pochi mesi dopo la morte improvvisa dell’autore, si può considerare una sorta di suo testamento spirituale.
    Nel testo, infatti, il professore Ordine (che è stato docente ordinario di Letteratura italiana nell’Università della Calabria) nega con forza che sia utile alla società solo ciò che produce profitto: “Esistono saperi fine a sé stessi che – proprio per la loro natura gratuita e disinteressata, lontana da ogni vincolo pratico e commerciale – possono avere un ruolo fondamentale nella coltivazione dello spirito e nella crescita civile e culturale dell’umanità. All’interno di questo contesto, considero utile tutto ciò che ci aiuta a diventare migliori”.
E scrive nell’introduzione: “L’utilità dei saperi inutili si contrappone radicalmente all’utilità dominante che, in nome di un esclusivo interesse economico, sta progressivamente uccidendo la memoria del passato, le discipline umanistiche, le lingue classiche, l’istruzione, la libera ricerca, la fantasia, l’arte, il pensiero critico e l’orizzonte civile che dovrebbe ispirare ogni attività umana. Nell’universo dell’utilitarismo, infatti, un martello vale più di una sinfonia, un coltello più di una poesia, una chiave inglese più di un quadro: perché è facile capire l’efficacia di un utensile mentre è sempre più difficile comprendere a cosa possano servire la musica, la letteratura o l’arte”.
Ancora: “Certo non è facile capire, nel nostro mondo dominato dall’homo oeconomicus, l’utilità dell’inutile e, soprattutto, l’inutilità dell’utile (quanti beni di consumo non necessari ci vengono venduti come indispensabili?). Fa male vedere gli esseri umani, ignari della crescente desertificazione che soffoca lo spirito, consacrati esclusivamente ad accumulare soldi e potere. (…) Fa male vedere uomini e donne impegnati in una folle corsa verso la terra promessa del guadagno, dove tutto ciò che li circonda – la natura, gli oggetti, gli altri esseri umani – non suscita alcun interesse”.
       Il saggio, di gradevole lettura e adatto a ogni genere di pubblico, è suddiviso in tre parti: la prima si occupa dell’utile inutilità della letteratura e cita vari testi e autori a proposito; la seconda è dedicata agli effetti disastrosi prodotti dalla logica del profitto nel campo dell’insegnamento, della ricerca e delle attività culturali in generale; nella terza parte, infine vengono riletti alcuni classici che hanno mostrato “la carica illusoria del possedere e i suoi effetti devastanti sulla ‘dignitas hominis’, sull’amore e sulla verità”.
       Nella prima parte, Nuccio Ordine ci ricorda innanzitutto una verità fondamentale: “La letteratura e i saperi umanistici, la cultura e l’istruzione costituiscono il liquido amniotico ideale in cui le idee di democrazia, di libertà, di giustizia, di laicità, di uguaglianza, di diritto alla critica, di tolleranza, di solidarietà, di bene comune possono trovare un vigoroso sviluppo”.
Seguono quindi passi di illustri pensatori e letterati: Aristotele, che nella Metafisica afferma che «gli uomini perseguono la scienza col puro scopo di sapere e non per qualche bisogno pratico»; poi Dante, Tommaso Moro, Montaigne, il Mercante di Venezia di Shakespeare, Cervantes con il suo pazzo don Chisciotte…
     E Leopardi, che, tra il 1831 e il 1832, aveva progettato un giornale settimanale che voleva dichiaratamente essere inutile: “Attraverso la sua filosofia dell’inutile, Leopardi non vuole difendere solo la sopravvivenza del pensiero, ma vuole anche rivendicare l’importanza della vita, della letteratura, dell’amore, degli inganni della poesia, di tutte quelle cose considerate superflue”.
Nuccio Ordine cita poi un passo della conversazione, avvenuta nel 1963, tra lo psichiatra svizzero-tedesco Medard Boss e il filosofo Martin Heidegger che afferma: «Il massimamente utile è l’inutile. Ma esperire l’inutile, questo è per l’uomo odierno la cosa più difficile. Qui ‘l’utile’ è inteso come ciò che è impiegabile praticamente e immediatamente per scopi tecnici». Invece, sottolinea Heidegger: «Si deve vedere l’utile nel senso del salvifico [Heilsamen], vale a dire, in quanto ciò che fa rinvenire l’uomo a sé stesso».
      Nella parte centrale del testo, il professore Ordine, da ‘addetto ai lavori’, evidenzia le conseguenze catastrofiche prodotte dalla logica del profitto nel campo della scuola e dell’insegnamento e afferma che le scuole e le università non possono essere gestite come aziende, perché lo studio e la ricerca sono innanzitutto acquisizione di conoscenze che ci rendono più umani e più autonomi.
L’autore sottolinea che, purtroppo, in alcune facoltà sono a rischio discipline come la filologia e la paleografia: “Questo significa che bisognerà chiudere biblioteche e musei e rinunciare perfino a scavi archeologici e alla ricostruzione di testi e documenti.” “Così la dea Mnemosyne, madre di tutte le arti e di tutti i saperi nella mitologia greco-romana, sarà costretta, per sempre, a lasciare la Terra. E con lei, purtroppo, scomparirà tra gli esseri umani ogni desiderio di interrogare il passato per comprendere il presente e immaginare il futuro. Avremo un’umanità smemorata che perderà completamente il senso della propria identità e della propria storia”.
      Il libro si chiude poi con un saggio di Abraham Flexner: nel 1937 lo scienziato e pedagogo statunitense racconta alcune scoperte scientifiche, evidenziando come siano state proprio le ricerche più curiose e prive di scopi pratici a favorire invece importanti applicazioni pratiche in campi, ad esempio, come le telecomunicazioni e l’elettricità: “Flexner ci mostra egregiamente che la scienza ha molto da insegnarci sull’utilità dell’inutile. E che, assieme agli umanisti, anche gli scienziati hanno giocato e giocano un ruolo importantissimo nella battaglia contro la dittatura del profitto.”
    Vale davvero la pena meditare su questo saggio che ci ricorda che solo il sapere disinteressato e gratuito può sfidare le aride, e spesso funeste, leggi del mercato. 
     Infine, il professore Ordine ci consegna queste parole: “Se lasceremo morire il gratuito, se rinunceremo alla forza generatrice dell’inutile, se ascolteremo unicamente il mortifero canto delle sirene che ci spinge a rincorrere il guadagno, saremo solo in grado di produrre una collettività malata e smemorata che, smarrita, finirà per perdere il senso di se stessa e della vita. E allora, quando la desertificazione dello spirito ci avrà ormai inariditi, sarà veramente difficile immaginare che l’insipiente homo sapiens potrà avere ancora un ruolo nel rendere più umana l’umanità…”                                                   
Maria D'Asaro, 21 settembre 2025, il Punto Quotidiano

venerdì 19 settembre 2025

Noi, che diversamente assassine…

Noi, che da spietate assassine,
dopo una lotta senza quartiere,
uccidiamo all’ennesimo tentativo
una super blatta con le ali…

Noi, che con premeditazione
e l’adatta paletta θᾰνᾰτοφόρος, portatrice di morte,
ammazziamo con maestria le mosche moleste…

Noi, che invece abbiamo mille scrupoli
quando sterminiamo le formiche in cucina ...

E se fossimo nate formiche (o mosche, o blatte persino, ahinoi...)?
Noi, che ci soffermiamo spesso a meditare:
forse, a nostra volta, non siamo anche noi formiche a Qualcuno?

E poi: che brave le formichine a schivare il mocio passando sul battiscopa…
organizzate, solidali, silenziose, con un’intelligenza di gruppo…
chi ci ha dato licenza di farle fuori?

Così, noi sommamente incoerenti, manchevoli e ondivaghe, 
i giorni dispari le disperdiamo, i pari le lasciamo vivere…

Noi, che in fondo chiediamo scusa 
a blatte, mosche e minute formiche 
consapevoli – come rammenta Pietro - di essere parte dell’oscura universale violenza…

Noi dunque, da assassine conclamate,
continuiamo però a gioire per il miracolo di una piantina fiorita…

E, nel frattempo, siamo in lacrime, disperate, per il lancio di bombe nel mondo,
per tutte le guerre orrende: enorme, inspiegabile, insensato oltraggio alla Vita.



mercoledì 17 settembre 2025

La guerra non è inevitabile...

         (Ringrazio Enzo Sanfilippo che ha segnalato l’articolo)

        "Ineluttabile. Ecco la parola che si sta insinuando, silenziosa e vischiosa, nei nostri pensieri. Prima come una paura indistinta, poi come dubbio sussurrato nei discorsi, infine come una certezza cupa che ci sembra ragionevole accettare: «La guerra è inevitabile». È questo il virus che sta infettando le nostre coscienze.
Lo si dice sottovoce, tra una sigaretta e un caffè: «Hai visto? Sta succedendo di nuovo…». «Eh, temo proprio di sì», risponde l’altro. E quel cenno, quel consenso mormorato, è il primo mattone di una resa.
    Poi, alla conversazione successiva, la voce si alza, l’opinione si fa posizione, e la posizione si trasforma in fatalismo cinico. Ed ecco che la guerra – qualunque guerra – smette di essere una tragedia e diventa un destino.
      Ma la guerra non è un destino. È una scelta.
     Una scelta folle, costruita giorno dopo giorno, passo dopo passo, comportamento dopo comportamento. Lo ha ricordato, con la lucidità che gli è propria, il presidente Mattarella: «Ci si muove su un crinale in cui, anche senza volerlo, si può scivolare in un baratro di violenza incontrollata». È quel «senza volerlo» che ci chiama in causa. È lì che si annida il rischio più grande: non nel fragore dei cannoni, ma nella distrazione e nell’apatia quotidiana, nella rinuncia alla responsabilità, nel fatalismo comodo di chi pensa che non ci sia più nulla da fare… Non è vero. Quel 1914 può non replicarsi in un tragico 2025. La storia lo dimostra: non è sempre andata così. Ci sono stati momenti in cui l’umanità si è fermata a un passo dal disastro. Ottobre 1962: crisi di Cuba. Due superpotenze con il dito sul grilletto nucleare. Non scoppiò nessuna guerra.
            Ottobre 1956: crisi di Suez. La politica mondiale sembrava impazzita, eppure si trovò una via d’uscita.
     E poi, più tardi, la più grande sorpresa della Storia: il Muro di Berlino che cade senza sparare un colpo. Chi lo avrebbe detto? Chi ci avrebbe scommesso? E invece accadde. Perché l’ineluttabile, a volte, si disintegra sotto il peso della volontà, dell’intelligenza, della responsabilità. Si scioglie nelle correnti calde e sotterranee delle coscienze che si sono tenute deste anche senza poter comunicare. Perché anche l’abisso, se guardato con lucidità, può diventare un limite oltre il quale si decide di non andare. 
      È questo il punto. La guerra è una costruzione collettiva, e quindi può essere anche una rinuncia collettiva. Un rifiuto – un ripudio! – che inizia da ognuno di noi"...


Franco Vaccari, Avvenire, 14 settembre 2025

martedì 16 settembre 2025

Che si fa, caro Biagio?

Pinturicchio: Annunciazione, Cappella Baglioni, Spello
       Nostra signora bazzica giornalmente nei pressi della stazione centrale ferroviaria e lo scorge quasi sempre: dorme sull’asfalto, in via Tommaso Fazello, a ridosso del terminal degli autobus. Indossa una maglietta, dei pantaloncini sudici e assai logori, calzini scuri, più buchi che tessuto. Accanto ha un paio di sandali e, a volte, un pacchetto di quelle che noi palermitani chiamiamo ‘brioscine’. Magari anche un barattolo di Nutella. Ha lunghi capelli biondi, belle ciglia, un naso fine, lineamenti da angelo di un quadro del Pinturicchio o di Filippino Lippi.
       Quando gli passa accanto, a nostra signora fa male il cuore. Quel ragazzo, tra i 25 e i 30 anni, potrebbe essere suo figlio.  Se fosse ancora vivo Biagio Conte forse sarebbe diverso: forse le persone senza fissa dimora non dormirebbero per strada, sopra degli scalini, nell’anfratto di un marciapiede. Biagio magari l’avrebbe già portato alla Missione Speranza e Carità. Biagio, che facciamo?

Maria D'Asaro




domenica 14 settembre 2025

Simenon e il fascino discreto del suo commissario Maigret

      Palermo – La sottoscritta ha quasi sempre per le mani un saggio o comunque un testo ‘impegnato’. Ma in estate ha un po’ trascurato questo tipo di lettura e ha ceduto a una sorta di ‘droga’ letteraria: infatti da un paio di mesi ha ripreso a leggere compulsivamente i romanzi di George Simenon. Confessa di aver divorato a luglio e agosto almeno una decina di gialli del prolifico autore di origine belga. E non riesce ancora a smettere…
      Nella postfazione di Maigret e il signor Charles, scriveva parecchi decenni fa un ispirato Alberto Savinio (fratello di Giorgio de Chirico): “Mancava finora alla Francia un romanzo poliziesco nazionale. Questa lacuna è stata felicemente colmata da Georges Simenon. Questi non somiglia all’autore solito di romanzi polizieschi. Il suo stile non è quello asmatico, stenografico e deplorevolmente asintattico che distingue questa forma di narrazione. Redattore di romanzi mensili e popolari, Georges Simenon, sotto sotto, è un Dostoevskij minore”.
E ancora: “Come la luna che si rinnova di mese in mese, George Simenon pubblica un nuovo romanzo ogni trenta giorni. E non si creda che siano libercoli scribacchiati alla svelta. No: sono trecento pagine tirate a pulimento, trame intricatissime e risolte con maestria, figure e caratteri disegnati con evidenza e precisione, documentazione impeccabile di città e paesi, e, di tanto in tanto, un tono, un accento che denotano lo scrittore di razza”.
Ecco, la scrivente non avrebbe saputo esprimere meglio quanto ha scritto molto tempo fa  Savinio, pittore, compositore musicale e scrittore. 
      Simenon, ne Il porto delle nebbie, con la sua narrazione semplice e potente, ci catapulta ad esempio nella cittadina francese di Ouistreham, porto della Normandia, dove “l’atmosfera non si può definire sinistra, è un’altra cosa, una vaga inquietudine, un’angoscia, un’oppressione, la sensazione di un mondo sconosciuto al quale si è estranei…”.  Quell’atmosfera cupa e nebbiosa ci cattura e ci tiene col fiato sospeso sino all’ultimo rigo, presi come siamo dall’intricata vicenda del capitano Joris.
     Come ci coinvolge la vicenda complicata de Il corpo senza testa, dove Maigret, verso una certa signora Calas, prova uno strano sentimento: “Non era irritazione che il commissario provava per la donna, ma curiosità come da tempo nessun essere umano gli aveva suscitato. 
Bisogna sapere che quando Maigret era giovane aveva sognato una professione che, purtroppo, non esisteva nella realtà. Non l’aveva mai confessato a nessuno e non aveva mai pronunciato quelle quattro parole ad alta voce, nemmeno quand’era solo: nella vita avrebbe voluto fare ‘l’aggiustatore di destini’. Cosa strana, nella sua carriera di poliziotto, gli era poi capitato abbastanza spesso di rimettere al posto giusto alcune persone che i casi della vita avevano portato su strade sbagliate.”
    Ebbene sì, la scrivente è a suo modo innamorata del commissario Maigret: del suo fare pensoso e sornione, del rapporto paterno con i suoi sottoposti, Janvier, Lemaire, il giovane Lapointe… 
E ancora dei bicchierini di calvados, pernod, armagnac e dei liquorini che il poliziotto si concede nelle sue lunghe giornate di lavoro, riuscendo comunque, non si sa come, a rimanere lucido e padrone di sé; delle continue tirate di fumo a una delle sue tante pipe; dell’atmosfera che regna alla Brasserie Dauphine mentre, nel corso di un’inchiesta, consuma un pasto veloce annaffiato dalla birra…
Nel ritorno di fiamma per i gialli di Simenon, non è forse estraneo il ricordo del Maigret televisivo impersonato magistralmente da Gino Cervi. 
   E che dire poi del rapporto tenero e speciale con la signora Maigret, impersonata in Tv da una magnifica Andreina Pagnani? Certo, una donna fuori dal tempo, che gli apre premurosamente la porta quando gli sente salire gli scalini che portano al loro appartamento in Boulevard Richard-Lenoir, uno dei tanti viali alberati di Parigi… contenta di vivere devotamente per lui, preparandogli i manicaretti di cui è ghiotto.
    Del commissario, Alberto Savinio scriveva ancora: “Quanto al commissario Maigret… esso è un borghese grasso e bonario, una specie di papà senza figli, un moralista pagnottone, che fuma tabacco popolare, porta le scarpe con l’elastico, si sente a disagio negli ambienti di lusso, si porta dietro un paracqua, odia il cosmopolitismo, compie il suo lavoro di ricerca più per dovere di funzionario che per diletto di investigatore e se affretta la conclusione dell’inchiesta lo fa soprattutto perché la cucina dei ‘palaces’ non gli conviene affatto, e gli preme di tornare ai piatti casalinghi  che gli prepara la moglie.”
      Ecco allora che entrare nell’universo della fantasia letteraria, dove un commissario è sempre capace di sbrogliare la matassa di un delitto e trovare l’assassino, per poi rientrare a casa dalla moglie amata e condurla sottobraccio al cinema… è davvero una dimensione rassicurante che, per qualche istante, ci distrae e ci consola.

Maria D'Asaro, 14 settembre 2025, il Punto Quotidiano

George Simenon

Andreina Pagnani e Gino Cervi: Signora Maigret e Commissario Maigret

Boulevard Richard-Lenoir

La Senna


sabato 13 settembre 2025

13 settembre...

Joaquìn Sorolla: Passeggiata in riva al mare



Certo,

si vive

anche da soli.

Un poco peggio però…

Sorellina.                                         











mercoledì 10 settembre 2025

Isole da a-mare: Favignana (con la Flotilla nel cuore...)

        Ma come ti 'spercia' di pubblicare le foto di Favignana? – esclamerebbe qualche mia conterranea che, in questo momento, fa in città il presidio di solidarietà per la Global Sumud Flotilla, dalle 19 alle 20, in via Ruggero Settimo… E continuerà a farlo sino a lunedì 15 settembre.
      E avrebbe pure ragione.
Ma la scrivente è così scoraggiata che ha bisogno di un po’ di azzurro per respirare. Perché in questo mondo disumano si sente davvero male… E si aggrappa al ricordo del mare e alla bellezza della natura.









Qui Levanzo, Marettimo e un articolo sulle Egadi.

lunedì 8 settembre 2025

Indicibile...




Solo
la luna
e le stelle
contemplano il nostro dolore…
Indicibile.                                             

domenica 7 settembre 2025

Le parole di padre David Maria Turoldo contro la guerra

    Propongo oggi l'articolo della collega Francesca Sammarco:

RIETI – “Ama,/saluta la gente,/dona, perdona,/ama ancora e saluta/(nessuno saluta nel condominio, ma neppure per via)./Dai la mano, /aiuta, comprendi, /dimentica/e ricorda solo il bene./E del bene degli altri/godi e fai godere./Godi del nulla che hai,/del poco che basta/giorno dopo giorno:/e pure quel poco/ – se necessario -/dividi./E vai, /leggero dietro il vento e il sole/e canta./Vai di paese in paese/e saluta, /saluta tutti:/il nero, l’olivastro e perfino il bianco./Canta il sogno del mondo:/che tutti i paesi si contendano d’averti generato”. Queste parole semplici, che sanno di umanità, sono di Padre David Maria Turoldo (1916-1992). E’ stato teologo, filosofo, poeta, spirito irrequieto e innovatore, faceva parte della Chiesa “ribelle” del Novecento, quella scomoda, insieme a don Lorenzo Milani e Giorgio La Pira, l’Abate Giovanni Franzoni, don Andrea Gallo.
    Molte sue omelie domenicali pronunciate a Sant’Egidio tra il 1989 e il 1990, registrate dall’amico Salvatore della Monica, sono raccolte nel libro “Il fuoco di Elia Profeta” (Piemme 1993). Scritti e saggi “O sensi miei” poesie dal 1948 al 1988 (Rizzoli 1990), “Canti ultimi” (Garzanti 1991), “Anche Dio è infelice, neanche Dio può stare solo” (Piemme 1991). Anticipatore del Concilio, partecipò alla Resistenza nel gruppo de “L’uomo”, fu predicatore nel Duomo di Milano, sempre schierato dalla parte dei più deboli. “Gli ultimi” fu anche il titolo di un film di cui curò la regia, collaborò con giornali, riviste e televisione. Fu amico delle migliori menti libere del secolo scorso, da Alda Merini a Pier Paolo Pasolini, da padre Ernesto Balducci a Carlo Maria Martini.
      Uomo di fede e di poesia, parlava a tutti, credenti e non. Nel 1991 lanciò l’appello ai giovani “Senza conversione non c’è pace”, in piena guerra del Golfo, quando il 2 agosto 1990 il presidente iracheno Saddam Hussein invase il Kuwait. Contro l’Iraq si formò una coalizione di 35 Stati sotto l’egida dell’Onu, guidata dagli Stati Uniti. 
      In questa cornice storica va letto il discorso sulla pace rivolto ai giovani, che fece a Pordenone nel gennaio 1991: "Giovani, non percorrete le strade che abbiamo percorso noi. Io non faccio che vergognarmi di essere stato in guerra, anche se ho combattuto solo nella Resistenza, cioè per l’umano contro il disumano. Ma ha ragione il Papa: con la guerra tutto è perduto, con la pace tutto si acquista! Fare la guerra è come suicidarsi. Giovani, pregate per la pace; ma ricordate che pregare vuol dire sempre prendere coscienza; perché se tutta la preghiera non si trasforma in vita, se la lex orandi non diventa la lex vivendi, noi stiamo prendendo in giro Dio e noi stessi”.
       E ancora: “Magari cominciasse con voi giovani questa nuova cultura della pace, come fosse una nuova aurora. Perché oggi la terra è una cosa sola, una nave sulla quale siamo tutti imbarcati e non possiamo permetterci che affondi, perché non ci sarà più un’altra arca di Noè a salvarci. Il mondo è uno, la terra è una; e tutti insieme ci salveremo o tutti insieme ci perderemo. Deve scomparire il concetto di nemico perché una civiltà fondata sul concetto di nemico non è una civiltà, ma una barbarie. La civiltà è solo quella della pace. Il discorso della pace è il più difficile di tutti, perché rivoluzionario non è il discorso sulla guerra… Finora abbiamo sempre fatto la guerra e non abbiamo mai fatto la pace. E quella che noi chiamiamo pace, non è che una tregua tra una guerra e l’altra; fino al punto che la guerra in realtà è la politica che cambia metodo. E invece la guerra è la sconfitta e la fine della politica. Per costruire la pace bisogna cambiare cultura: (da qui)

Francesca Sammarco, 7.9.25, il Punto Quotidiano

giovedì 4 settembre 2025

Perchè votiamo certe persone? Un'analisi di Michele Serra

A Palermo oggi solidarietà a Gaza e alla Global Sumud  Flottilla
           “Voi vorreste essere amici di un maschio anziano molto ricco che vi dice: Mettetevi tutti in fila per baciarmi il culo? Oppure vi dice: Il modo migliore per prendersi una donna è metterle una mano tra le gambe? E questa battuta fa ridere di meno, già… 
       E vorreste essere amici di una signora che ha sparato al suo cane perché non era abbastanza bravo nella caccia, e poi si è fatto un selfie davanti a una grande gabbia piena di uomini seminudi, stipati come immondizia da smaltire, e dice con un sorriso di trionfo: Questa è la fine che fanno i nostri nemici?
No, sono sicuro che non vorreste essere amici di persone così.
     Qualunque siano le vostre idee politiche – sinistra, destra, non pervenute… - sono sicuro che gli arroganti e i violenti sono le persone che, nella vita quotidiana, preferite non frequentare.
Perfino negli ambienti della malavita, perfino nelle carceri, valgono delle regole non scritte, antiche come le società umane, che concedono onere ai giusti e disonore agli ingiusti.
     C’è un solo ambito nella società nel quale, da qualche anno, questa regola sembra non contare più niente, e i bulli vengono onorati e applauditi: quest’ambito è la politica.
E la grande domanda alla quale siamo chiamati a rispondere è diventata questa: ma perché così tanta gente vota per i mascalzoni? 
Perché così tanta gente manda nei palazzi di governo così tanta gente che non inviterebbe a casa propria? E li vota e li manda al governo per le stesse ragioni per cui non li invita a casa propria: cioè perché sono dei prepotenti.
    Una teoria abbastanza diffusa dice che ognuno ha i governanti che si merita: la gente vota per i prevaricatori perché vorrebbe prevaricare, vota per i razzisti perché è razzista, vota per gli odiatori perché odia.
Questa è stata più o meno la mia tesi sino a poco tempo fa… Ma negli ultimamente mi è venuto qualche dubbio, perché molti governanti mi sembrano talmente ignobili, talmente inverosimili che temo siano peggiori di chi li elegge: quella che spara al suo cane... Quello che urla ‘baciatemi il culo’… quello che urla con la motosega in mano… non sono uguali a chi li vota, sono il lato peggiore di chi li vota.
     Ognuno di noi, con poche eccezioni, ha in corpo la violenza e la sopraffazione e ha in corpo la gentilezza e la socialità. Il bene e il male non sono fuori di noi: il bene e il male siamo noi.
La vera domanda da farsi, allora, è un’altra: perché solo la prepotenza riesce a dare a sè stessa una forma politica? Perché la prepotenza riesce a organizzarsi e a vincere e perché la gentilezza rimane muta e annichilita? 
    E’ possibile che il pensiero, la riflessione, il rispetto per gli altri, la cultura, il senso dell’uguaglianza, il sentimento della giustizia… non siano più valori spendibili in politica? Nella vita quotidiana sì e in politica no? 
Chi troverà una risposta a questa domanda, salverà il mondo. 
    In attesa di quel momento, l’unico consiglio che mi sento di dare a noi stessi è che la parte gentile non deve spaventarsi. Non deve avere paura della parte bulla. Perché la parte bulla, molto spesso, è più stupida e impotente di quello che fa finta di essere. Non deve atterrirci. Soprattutto, non deve zittirci. Per esempio, a Trump bisogna rispondere, con un sorriso gentile: guardi, il culo se lo baci da solo, che noi abbiamo cose più importanti da fare. E soprattutto, molto più piacevoli. 
E un istante dopo farla, una cosa più piacevole, e possibilmente farla in tanti." 

Michele Serra, intervento a Che tempo che fa, aprile 2025
(grazie di cuore ad Augusto che ha postato il video nella sua bacheca FB)