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Oggi a Perugia |
Alcune delle promotrici dell’iniziativa hanno poi oggi partecipato alla marcia Perugia-Assisi (qui notizie su Wikipedia).
(Questa Carta nasce dal confronto tra donne impegnate per la pace in molte città italiane. E’ una presa di posizione collettiva che raccoglie pratiche e pensieri femministi, strumenti per pensare il presente a partire da una politica del disarmo, della cura e della giustizia)
1. La guerra: forma estrema del patriarcato
Le guerre che devastano il mondo non sono un'anomalia, ma la conseguenza ultima di un sistema patriarcale che legittima la violenza come linguaggio e il dominio come unica forma di potere.
Ogni guerra devasta corpi, popoli, territori, animali e ambienti; non distrugge solo vite, ma la possibilità stessa della vita sulla Terra. In questi anni anche i soli conflitti a Gaza e in Ucraina hanno generato impatti ambientali devastanti: milioni di tonnellate di CO₂ emesse in pochi mesi, inquinamento persistente da esplosivi e macerie, distruzione di infrastrutture civili con conseguenze ecologiche a lungo termine. In entrambi i casi, il danno ambientale si somma al disastro umanitario, aggravando la crisi climatica globale.
Oggi il sistema patriarcale che per millenni ha realizzato il “progresso”, utilizzando anche i mezzi più brutali, sembra giunto al collasso e i dispositivi che gli uomini si sono dati per regolare, temperare la logica della forza, non reggono più.
La guerra non è inevitabile: sono i governi, gli eserciti, le industrie belliche a volerla. «Non è il destino o una legge naturale a condannarci alla guerra», scriveva Rosa Luxemburg dal carcere nel 1917, «sono i padroni della terra, i potenti che, per difendere i loro profitti e il loro dominio, mandano milioni al macello. Ma noi abbiamo la forza di opporci, se solo ci uniamo.»
2. La differenza femminista nella critica della guerra
La nostra critica non si limita alla condanna dei conflitti armati: * sottolineiamo la continuità tra patriarcato e guerra, visibile nella volontà di controllo e annientamento dell’altro e - in forma radicale - dell’altra, come testimoniano lo stupro praticato come arma e i regimi che fondano il proprio potere sul dominio dei corpi femminili, in Iran come in Afghanistan; * denunciamo la volontà di sopraffazione in tutte le sue forme e l’alleanza tra poteri armati ed economie predatrici; * smascheriamo la mascolinità militarizzata e l’uso della forza travestita da difesa.
Già Virginia Woolf, nel secolo scorso, aveva svelato il legame tra potere, privilegio maschile e violenza armata riconoscendo alle donne la capacità di immaginare civiltà fondate su altri valori.
Nel 2003, Leymah Gbowee (premio Nobel per la pace nel 2011) ha dato vita in Liberia a un movimento per la pace capace di unire donne cristiane e musulmane in una lotta nonviolenta: preghiera, sciopero del sesso, occupazione degli spazi pubblici. Un esempio potente di dissenso incarnato, attivo, collettivo, radicato nei corpi e nelle relazioni.
A partire dagli anni ’90 del XX secolo, gli studi di Heide Göttner-Abendroth sulle società matriarcali hanno mostrato che la guerra non è un destino inevitabile: comunità senza gerarchie né dominazioni di genere, basate su valori come il prendersi cura, il nutrimento, la mediazione, la nonviolenza - valori universali, per chi è madre e per chi non lo è, cioè per tutti gli esseri umani - costituiscono oggi un esempio concreto di convivenza pacifica e dimostrano come l’estraneità storica delle donne alla guerra possa diventare strumento di trasformazione e giustizia.
È a queste parole, pratiche e visioni che ci ispiriamo: forme di pensiero e immaginazione politica di donne che hanno saputo sottrarsi alle logiche della violenza, e che continuano a offrire orientamento e pensiero per percorsi di pace, giustizia e trasformazione.
3. Disarmare il sistema
L’industria bellica, l’export di armi e la militarizzazione dei territori costituiscono il cuore stesso di un’economia della distruzione. In questo sistema i corpi delle persone vengono ridotti a strumenti da sfruttare o sacrificare a fini economici e militari, i territori diventano scenari di occupazione, le vite semplici numeri calcolabili. A sostenerne la legittimità intervengono narrazioni distorte della sicurezza che normalizzano la violenza e occultano le responsabilità politiche. (continua qui)
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