martedì 17 maggio 2011

101 STORIE: La morte, minuto per minuto...


     Non incontro solo ragazzi difficili.
Talvolta, anche i cosiddetti “normali”: quelli che vanno bene a scuola, quelli che non si assentano mai. Quelli che hanno solo un urgente bisogno di essere ascoltati.
    Una volta è venuta a trovarmi una ragazzina: voleva dirmi che non sapeva scegliere con chi fidanzarsi tra due pretendenti. Poco prima avevo salutato un’alunna a cui mancava tanto suo padre, in carcere da anni; dopo mi aspettava un laboratorio di recupero con ragazzini veramente “tosti”. Però, anche se in modo rapido e lieve, qualche istante ai precoci problemi di cuore dell’alunna l’ho dedicato.

    Un giorno, mi si presenta un ragazzino di prima media. Un alunno praticamente modello: frequenza regolare e profitto più che buono. Uno di quelli che, in genere, non ho la fortuna di conoscere. Davanti a me un volto da angioletto, punteggiato da efelidi gentili. Grandi occhi celesti, capelli biondi e tanti ricciolini, quasi da bambina. Un corpo paffutello, ancora cinto dalla pingue rotondità dell’infanzia.
Gli chiedo, con un sorriso, perché ha voluto incontrarmi. Mi dice che alcuni compagni fanno troppa confusione, in alcune ore di lezione. Lo lascio parlare. Intuisco che non è questo quello che vuole dirmi veramente. Non spingo però l’acceleratore sui suoi tempi. Mi saluta e mi chiede se potrà tornare. Guardo l’agenda e fisso un colloquio tra qualche giorno.
Torna, puntualissimo. Comincia con la solita solfa della confusione in classe. Lo ascolto. Poi, intervengo, quasi distrattamente: - Forse, però vuoi dirmi anche qualche altra cosa… -
Giorgio mi guarda.
Poi dice, senza veli: - Mio nonno sta male.- Comincia a raccontarmi dell’affetto che lo lega al nonno. Mi dice che siccome papà e mamma lavorano tutto il giorno, sia lui che la sorellina piccola abitano quasi sempre dai nonni. Ma ora, il nonno/quercia non respira bene. E’ in ospedale. – Gli hanno fatto le lastre. Ha un brutto male –
 Ecco che, accanto a noi, sta per prendere posto anche l’ombra di un’ospite ingombrante. Una che non vorremmo mai invitare ai nostri conviti. Una signora di cui Giorgio ha paura.

La mia stanzetta ha una finestra da cui si intravede un pezzo di un bel giardinetto. Nell’istante di silenzio tra le parole di Giorgio e le mie sono accarezzata dal cinguettio degli uccellini che visitano gli alberi del nostro giardino.
Prendo il respiro. Poi dico a Giorgio che capisco profondamente la sua ansia, la sua sofferenza. Spendo qualche parola sulla possibilità che il nonno possa essere curato, ma non lo illudo più di tanto. Gli dico di andarlo a trovare il più possibile, di essergli accanto, di farsi raccontare tutto quello che vorrebbe sentire da lui.
Finalmente Giorgio si libera. Mi dice: - Ho paura che mio nonno possa morire, professoressa. –
Vorrei abbracciarlo. So bene che non posso e non devo farlo.
Mi limito a dirgli, con la voce più dolce e affettuosa che ho, che la sua è la paura più umana che c’è. Che ogni essere umano, a un certo punto della sua vita, viene attraversato da questa paura e, prima o poi, dall’esperienza dolorosissima del distacco da un suo caro.
Gli dico che comunque le cose belle che ha vissuto e che ancora potrà vivere col nonno se le porterà nel cuore e gli faranno buona compagnia per tutta la vita. Nessun ladro potrà mai rubargliele.
Giorgio mi regala un sorriso fragile, appena accennato. Mi dice se può tornare, la prossima settimana. Siamo a metà aprile. Gli dico senz’altro di sì.

Giorgio mi verrà a trovare ogni settimana. Sino a giugno. Avrò notizie continue sull’ospedalizzazione del nonno. Sui suoi rientri a casa. Sul suo, illusorio, miglioramento. Sui pensieri tristi e arruffati che si intrecciano nella sua mente.
A giugno ci salutiamo.
Gli prometto che in estate gli sarò accanto col mio pensiero costante e affettuoso.

Rientriamo a scuola a metà settembre.
Mi viene a trovare il secondo giorno di scuola.
La sua espressione mi dice che il nonno è morto. – Il venticinque agosto, professoressa…–
Comincia a piangere. Una pioggia copiosa di lacrime calde bagna le sue efelidi chiare. Irrefrenabile. Lascio che questo liquido prezioso sciolga, almeno un pochino, il macigno che lo opprime, di dentro.
Lo accarezzo con la voce.
Gli dico che ha il diritto di piangere il nonno. Per tutto il tempo che vuole.
Gli confesso di capire bene cosa prova: quel senso di vuoto incolmabile, quella nera tristezza. Che ho provato anche io, quando ho perso mio nonno.
Giorgio si abbandona: alla sua pena, alla sua sofferenza acerba e durissima.
Gli porgo un fazzolettino. So che Giorgio e la sua famiglia sono cattolici: accenno alla possibilità che l’anima del nonno possa continuare misteriosamente a essergli accanto e a volergli bene.

Il ragazzo mi chiede se può tornare: gli dico ovviamente di sì.
Lo incontrerò per tutto l’anno scolastico: mi parlerà spesso del nonno, del dolore della nonna, di come è cambiata la vita, per lui e per tutti i suoi, adesso che il nonno non c’è.
Piano piano questo lutto lo elaboriamo insieme.
A fine anno lo vedo più grande, più distratto e sereno.

In terza media, non mi ha più cercata.

Qualche giorno fa, non vista, l’ho rivisto: ormai sedicenne dal corpo sfilato, col viso più asciutto e più duro: aveva accanto la sorellina, anche lei dai riccioli d’oro.
Chissà perché, ho sentito una zaffata di tristezza.
Forse anch’io ho bisogno, ogni tanto, di qualcuno che mi aiuti a elaborare i miei lutti …

2 commenti:

  1. Un primitivo istinto di sopravvivenza in qualche modo ci sostiene, ci dà la forza necessaria per non mollare la presa. Nè la ragione nè il sentimento, per quanto evoluti, sono capaci di tanto, così come non esiste un'età "giusta" per digerire i delitti della falce. Basti pensare che spesso anche gli animali ne soffrono.
    Una cosa è certa: non si dovrebbe essere da soli, in quei frangenti, nè mai.
    Complimenti, Maruzza, quest'onda è tra le più alte dei tuoi mari.

    RispondiElimina
  2. @dr.Peter: grazie....
    Il mio blog non sarebbe così azzurro senza i tuoi commenti, acuti e affettuosi insieme. Buona notte!

    RispondiElimina