(Ecco cosa ha scritto il mio amico Augusto Cavadi su "La Repubblica" edizione di Palermo, di ieri. Parole che, purtroppo, mi sento di condividere)
Il diciottesimo anniversario dell´assassinio di don Pino Puglisi, compiuto il 15 settembre 1993, sarà celebrato con una serie di manifestazioni religiose, civili e culturali di qui alla fine del mese. Buon segno: a differenza di altri casi, a questo testimone di giustizia in terra di mafia è stato risparmiato il seppellimento nell´oblio. Sarebbe però triste se l´anniversario fosse occasione soltanto di encomi più o meno retorici, non anche di approfondimento della vicenda del parroco-professore palermitano.
Il dato oggettivo da cui partire è che la causa di beatificazione del parroco di Brancaccio è bloccata negli uffici romani della Congregazione dei Santi. Per certi versi, nulla di straordinario: i tempi della Chiesa cattolica non sono misurabili con gli orologi della storia profana. Ma, per altri versi, questa lentezza - in epoche di "santi subito" - è preoccupantemente significativa. Secondo indiscrezioni attendibilissime, infatti, i vertici della Santa Sede temono ciò che tanti cattolici di base sperano: che una canonizzazione di don Pino Puglisi trasformi il suo atteggiamento nei riguardi dei mafiosi da opzione individuale e opinabile in modello normativo per tutti i fedeli (sacerdoti o laici che siano).
Insomma: che il ripudio esplicito, concreto, effettivo, quotidiano del sistema mafioso entri ufficialmente nella lista dei doveri morali del cristiano in quanto tale (e non soltanto in quanto cittadino). Se riflettiamo sulle ragioni di questa resistenza culturale a proclamare "martire cristiano" una vittima di mafia, dobbiamo riconoscere che non sono ragioni deboli e che solo a una lettura superficiale possono risultare da azzeccagarbugli. Infatti - per dirla telegraficamente - i responsabili della Congregazione vaticana sono troppo acuti per non vedere che l´eventuale inserimento di questo prete di periferia nel calendario dei santi martiri da venerare potrebbe innescare un sommovimento a valanga sia dal punto di vista teologico che dal punto di vista etico.
Dal punto di vista teologico, infatti, si rischierebbe di mettere in crisi la figura del cristiano come passeggero occasionale in questo mondo e di rivalutare la sua responsabilità evangelica nei confronti delle ingiustizie sociali, delle strutture oppressive e di ogni situazione di violenza sistematica. Si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione culturale: liberare la mentalità cattolica dal platonismo e restituirla alla mondanità, alla storicità dell´ebraismo (di cui Gesù è stato figlio esemplare). Sarebbe molto più radicale che chiedere ai vari Mastella, Casini, Romano di sostituire la propria concezione di politica - come calcolo degli interessi clientelari e tattica elettorale - con la concezione di cattolici democratici quali Sturzo, La Pira, Dossetti.
Anche dal punto di vista etico - o come si voglia denominare il piano degli atteggiamenti quotidiani, dei comportamenti pratici - un´eventuale canonizzazione di don Pino Puglisi potrebbe scardinare un secolare orientamento della Chiesa cattolica nei confronti di organizzazioni criminali o politiche avverse: l´orientamento, intendo, a condannarne i princìpi e a stigmatizzarne le manifestazioni eclatanti, ma a cercare dei compromessi che rendano possibile la convivenza. È avvenuto con il fascismo, con il nazismo, con il franchismo, con tante dittature latino-americane; sta avvenendo con il berlusconismo e con il leghismo. Anche con il sistema di potere mafioso è avvenuto qualcosa di simile: condanne sempre più dure della mafia che spara, che uccide, che sequestra bambini, che fa esplodere le bombe; rapporti sempre meno conflittuali con la mafia che corrompe le coscienze, distribuisce favori, compra le preferenze elettorali, ricicla denaro sporco, si appropria delle risorse finanziarie pubbliche, deturpa le coste, inquina le acque.
Don Pino Puglisi non si limitava a partecipare, con i suoi ragazzi, ai cortei di protesta per le stragi di Capaci e di via D´Amelio, ma affrontava a muso duro i politici democristiani che si materializzavano in parrocchia quando c´era da distribuire regalucci ai bambini, soprattutto in periodi di elezioni, chiedendo loro pubblicamente di fare invece il loro mestiere di politici, attivandosi perché Brancaccio avesse una scuola, un centro sportivo, una biblioteca e perché ai fedeli dei Graviano fossero sottratti i magazzini - abusivamente occupati - di via Hazon.
Che questa antimafia praticata nei giorni feriali, più che proclamata dai pulpiti domenicali, non piaccia alle gerarchie cattoliche, non mi sembra poi così incomprensibile. Don Puglisi sarà mai un santo martire "ufficiale"? Non lo sappiamo. Forse, come in altri casi della storia bimillenaria della Chiesa cattolica, le perplessità nei piani alti potranno essere vinte dalla spinta popolare: quando per i cattolici palermitani don Pino diventerà di fatto, senza attendere incoronazioni solenni, un modello di cristiano da venerare. E, soprattutto, da imitare.
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