Saluto con un abbraccio collettivo le amiche e gli amici del web, con i quali ho avuto la gioia di condividere il 2011 e con cui spero di condividere anche il 2012. Auguro pace, forza e gioia a tutti/e.
L'autrice di questo blog, Maria D'Asaro, vive in un'isola ed è affascinata dal mare: mari da sognare, mari da scoprire, mari da solcare...
sabato 31 dicembre 2011
venerdì 30 dicembre 2011
Nostra Signora e la Vigilia di Festa
A Nostra Signora, ogni vigilia, succedeva una
cosa strana: le si formava una caverna di vuoto, in mezzo al petto. Che
diventava sempre più grande, man mano che si avvicinava il dì di festa.
Perché, lei lo sapeva. Nostra Signora una
sola cosa avrebbe voluto dalla sua vita: una mano e un sorriso, un
caminetto con dei legni allegri.
E invece, al telefono con una delle 301 ziette
un po’ andate, le toccava persino fare l’attrice: - Va tutto bene: si, siamo
insieme. –
Ma c’era lei sola, in quella casa.
A dire il vero, anche due tartarughe. In letargo, però.
Solo per questo le aveva scordate.
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Quaderno blu
mercoledì 28 dicembre 2011
101 Storie: Senza occhi, ma ricca di sguardi interiori
L’ho
conosciuta a giugno, Cristina. Per lei, venire a scuola a settembre, sarebbe
stato un evento. La scuola primaria non l’aveva mai frequentata. Prima, era
troppo pericoloso uscire fuori di casa. Un banco di scuola e una compagna
accanto, un vero miraggio: per lei, attaccata spesso alla bomboletta di
ossigeno, con la sua cassa toracica così malformata. Così, niente scuola elementare, ma cinque anni di istruzione domiciliare, con la mamma, l’assistente sociale
e le maestre, a turno, vicine. I compagni conoscevano solo il
suo nome, nel registro di classe.
Ma Cristina non
si era mai scoraggiata. Le piaceva imparare. Lei, che era anche cieca; lei, che
per una gravissima patologia, sarebbe rimasta piccina piccina; lei, che non
riusciva a camminare da sola.
Quel giugno di
alcuni anni fa, mi chiama la Preside: - Vieni. Ti voglio presentare un’alunna
in ingresso. – La storia di Cristina mi era stata già raccontata dalla
psicopedagogista della scuola elementare. Ma conoscere la ragazzina è stata una
vera sorpresa.
Era lì, seduta compostamente in una delle due
sedie di fronte alla scrivania della Dirigente. Con i suoi occhi spenti, ma
pieni di una luce invisibile che si riversava all’esterno. Con la testolina un
po’ reclinata da un lato. Con i capelli castani ben pettinati, adorni di un
fiocchetto vezzoso.
Attentissima
alle parole che l’assistente sociale, sua madre, la Preside e io ci stavamo
scambiando. – Sono contenta di venire a scuola … non mi pare l’ora che sia
settembre … ciao, professoressa … mi ricorderò la tua voce …. – Mentre parlava,
con una sonorità e un’ampiezza di toni impensabili in quel corpicino, le sue
manine sottili leggevano il contenuto di un portamatite che c’era sulla
scrivania: - Che bel pupazzo … deve essere rosso … un tagliacarte … questo
potrebbe fare un po’ male … quante matite bene appuntite … e quante penne! –
A settembre,
finalmente, il suo vero, primo giorno di scuola. Nessun problema di
integrazione. Cristina divenne ben presto la mascotte di quella classe.
Quell’anno,
frequentava la prima media anche il mio figlio più piccolo. Protagonista,
insieme a lei, di una performance teatrale. Qualcuno le disse che ero la madre
del suo compagno. E lei trovò un motivo in più per salutarmi affettuosamente e
sorridermi, se mi incontrava nel corridoio o se andavo a controllare la frequenza degli alunni, nella sua classe: - Ciao, professoressa … ma tu sei anche la madre
di Luciano … sei tutte e due le cose! -
I tre anni di
scuola media sono stati proficui e sereni, per la nostra Cristina. Che è stato
un faro, una risorsa tangibile per tutti
i compagni.
In terza
media, quasi quasi non avremmo voluto lasciarla. La mamma ci chiese
esplicitamente di tenerla ancora un anno con noi. Con le dottoresse del gruppo
misto,[1]
decidemmo però che era giusto che Cristina frequentasse un Istituto superiore
per ciechi: imparare il Braille le avrebbe dischiuso universi infiniti.
Quando conosci
ragazzi come Cristina, allora pensi che l’anima esista davvero. E che, sebbene racchiusa in corpicini straziati, si mostri
talvolta in tutto il suo vivo splendore.
[1]Tale gruppo di lavoro è così denominato, perché al suo interno vi è più di una
componente operativa che, in modo sinergico, lavora per migliorare la qualità
dell’integrazione all’interno dell’Istituto. La sua sigla ufficiale è “GLHI”:
Gruppo di studio e di lavoro d’Istituto. Presso ogni scuola è istituito un GLHI, composto da insegnanti, operatori dei servizi e familiari dell'alunno in situazione di handicap. Il Gruppo ha il compito
di collaborare alle iniziative educative
e di integrazione predisposte dal Piano Educativo ( Legge 104/92, art. 5, comma
2)
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A scuola: per chi suona la campana?
venerdì 23 dicembre 2011
Uno sguardo diverso
Abito nello stesso quartiere da un quarto di secolo. Il calzolaio, nella putia sotto casa, c’è anche prima di me. Ha risuolato e riparato le scarpe a tutti gli abitanti della zona. Ovviamente, anche le mie. Qualche settimana fa, aggiusta un paio di scarpe di un mio familiare. – Quanto le devo? – gli chiedo. Mi congeda con un arrivederci condito da un sorriso e un lieve tocco al mio braccio proteso. Il giornalaio mi conosce da anni. Passo da lui, il venerdì, per Centonove. Un venerdì, quando gli passo le monete per il giornale, sente la mia mano gelata. “Sta bene signora?” In effetti, non stavo bene, quel giorno. Avevo comunque la macchina. Ero in grado di tornarmene a casa. Il calzolaio, l’edicolante: chissà se lo sanno che hanno scaldato, un istante, il mio cuore. Io continuo a sognarli, palermitani così. Con uno sguardo diverso.
Buon Natale, Palermo dal cuore gentile. (Maria D'Asaro, "Centonove", 23.12.2011)
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Palermo in 150 parole
martedì 20 dicembre 2011
Non importa che non ti abbia
Non importa che non ti abbia,
non importa che non ti veda.
Prima ti abbracciavo,
prima ti guardavo,
ti cercavo tutto,
ti desideravo intero.
Oggi non chiedo più
né alle mani, né agli occhi,
le ultime prove.
(...)
Quello che ti chiedo adesso
è di più, molto di più,
che bacio o sguardo:
è che tu stia più vicino
a me, dentro.
Come il vento è invisibile, pur dando
la sua vita alla candela.
Come la luce è
quieta, fissa, immobile,
fungendo da centro
che non vacilla mai
al tremulo corpo
di fiamma che trema.
Come è la stella,
presente e sicura,
senza voce e senza tatto,
nel cuore aperto,
sereno, del lago.
Quello che ti chiedo
è solo che tu sia
anima della mia anima,
sangue del mio sangue
dentro le vene.
Che tu stia in me
come il cuore
mio che mai
vedrò, toccherò
e i cui battiti
non si stancano mai
di darmi la mia vita
fino a quando morirò.
Come lo scheletro,
il segreto profondo
del mio essere, che solo
la terra vedrà,
però che in vita
è quello che si incarica
di sostenere il mio peso,
di carne e di sogno,
di gioia e di dolore
misteriosamente
senza che ci siano occhi
che mai lo vedano.
Quello che ti chiedo
è che la corporea
passeggera assenza,
non sia per noi dimenticanza,
né fuga, né mancanza:
ma che sia per me
possessione totale
dell'anima lontana,
eterna presenza. Pedro Salinas
non importa che non ti veda.
Prima ti abbracciavo,
prima ti guardavo,
ti cercavo tutto,
ti desideravo intero.
Oggi non chiedo più
né alle mani, né agli occhi,
le ultime prove.
(...)
Quello che ti chiedo adesso
è di più, molto di più,
che bacio o sguardo:
è che tu stia più vicino
a me, dentro.
Come il vento è invisibile, pur dando
la sua vita alla candela.
Come la luce è
quieta, fissa, immobile,
fungendo da centro
che non vacilla mai
al tremulo corpo
di fiamma che trema.
Come è la stella,
presente e sicura,
senza voce e senza tatto,
nel cuore aperto,
sereno, del lago.
Quello che ti chiedo
è solo che tu sia
anima della mia anima,
sangue del mio sangue
dentro le vene.
Che tu stia in me
come il cuore
mio che mai
vedrò, toccherò
e i cui battiti
non si stancano mai
di darmi la mia vita
fino a quando morirò.
Come lo scheletro,
il segreto profondo
del mio essere, che solo
la terra vedrà,
però che in vita
è quello che si incarica
di sostenere il mio peso,
di carne e di sogno,
di gioia e di dolore
misteriosamente
senza che ci siano occhi
che mai lo vedano.
Quello che ti chiedo
è che la corporea
passeggera assenza,
non sia per noi dimenticanza,
né fuga, né mancanza:
ma che sia per me
possessione totale
dell'anima lontana,
eterna presenza. Pedro Salinas
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Mari di poesia
domenica 18 dicembre 2011
Wangari Maathai: guarire la terra, guarire noi stessi
(Un ricordo di WANGARI
MAATHAI a cura di Pietro Veronesi, su "La Repubblica" del 27
settembre 2011 col titolo "Addio Maathai, regina degli alberi")
Durante i trent'anni e piu' che ho passato come ambientalista e attivista per i diritti democratici, la gente mi ha spesso chiesto se la spiritualita', differenti tradizioni religiose e la Bibbia in particolare mi avessero ispirato, ed avessero influenzato il mio impegno o il lavoro con il Green Belt Movement.
Wangari Maathai nasce in Kenya,
il primo aprile del 1940, e si era distinta per lo straordinario successo negli studi,
diventando la prima donna in tutta l' Africa centro-orientale a conseguire un
dottorato. (…) Di qui il titolo accademico che le sarebbe rimasto attaccato per
il resto della vita: "the Professor".
Alla fine di quello stesso
decennio, mossa da una passione ambientalista all'epoca ancora profetica non
solo per l'Africa ma per il mondo intero, scese in campo contro la
deforestazione selvaggia che affliggeva il Kenya cosi' come buona parte del
continente.
L'idea meravigliosa di
Wangari Maathai non fu tanto quella di fondare un movimento che aveva il
semplice scopo di ripiantare alberi, il Green Belt Movement; ma di renderne
protagoniste le donne. Sono loro, ovunque in Africa, costrette a cercar legna,
l'unico combustibile facilmente reperibile in natura, sempre piu' lontano dalla
capanna e dal villaggio; loro le autentiche custodi della vita, della
tradizione e del futuro; loro, nell'intenzione del futuro premio Nobel, il
soggetto della conservazione ambientale e del cambiamento.
Di qui il carattere unico
del Green Belt Movement: verde e al tempo stesso femminista; ecologista ed
emancipatorio. Il movimento si scontro' quasi subito con le autorita', specie
quando si oppose alla svendita a speculatori privati di foreste del demanio
ancora intatte e soprattutto nella celebre battaglia (vinta) contro l'edificazione
di una mega-sede dell'allora partito unico nel solo parco verde di Nairobi.
Wangari Maathai subi' diversi arresti, fu picchiata, additata come nemico
pubblico dall'allora presidente-padrone del Kenya Daniel Arap Moi, insultata,
minacciata di morte. Lei tenne duro; e quando il tempo di Moi fini', sembro'
incominciare il suo.
Il Kenya conobbe una breve
stagione di rinnovamento e nel 2002 la Maathai fu eletta trionfalmente al
Parlamento e nominata sottosegretaria all' Ambiente. Nel 2004 la consacrazione
mondiale: il premio Nobel per la Pace, prima donna africana.
Questa donna stupenda lascia tre figli,
una nipote, milioni di alberi piantati in Kenya su sua istigazione e
un'eredita' di speranza alle donne povere del mondo.
WANGARI MAATHAI: GUARIRE LA
TERRA, GUARIRE NOI STESSI
[Ecco anche sue considerazioni riprese da dal
libro "Replenishing the Earth: Spiritual Values for Healing Ourselves and
the World"]
Durante i trent'anni e piu' che ho passato come ambientalista e attivista per i diritti democratici, la gente mi ha spesso chiesto se la spiritualita', differenti tradizioni religiose e la Bibbia in particolare mi avessero ispirato, ed avessero influenzato il mio impegno o il lavoro con il Green Belt Movement.
Quando iniziai questo lavoro nel 1977 non ero motivata
dalla mia fede o dalla religione in generale. Stavo invece letteralmente e
praticamente pensando a come risolvere problemi concreti. Volevo aiutare le
popolazioni rurali, in special modo le donne, a soddisfare le necessita' di
base che mi descrivevano durante i miei seminari e laboratori. Mi dicevano che
avevano bisogno di acqua pulita, potabile; di cibo nutriente in quantita'
adeguata; di reddito; di energia per cucinare e riscaldare.
Percio' quando mi facevano
le domande sulla spiritualita', all'inizio, io rispondevo che non pensavo allo
scavare buche ed al mobilitare le comunita' affinche' difendessero o curassero
gli alberi, le foreste, le fonti d'acqua e il suolo, l'habitat delle specie
selvatiche, come a un lavoro spirituale. Inoltre, non ho mai differenziato le
attivita' "spirituali" e quelle "laiche".
Dopo qualche anno, sono
arrivata a riconoscere che i nostri sforzi non erano limitati al piantare
alberi, ma che stavamo anche piantando semi di un tipo diverso, quelli
necessari per dare alle comunita' la fiducia in se stesse e la conoscenza
necessarie a riscoprire la loro vera voce ed a rivendicare i loro diritti
(umani, ambientali, civili e politici).
Il nostro scopo divenne
espandere quello che chiamiamo "spazio democratico", uno spazio in
cui cittadini comuni possono prendere decisioni per se stessi a beneficio
proprio, della propria comunita', del proprio paese e dell'ambiente che li
sostiene. (…)
Capii che il lavoro del
Green Belt Movement era guidato da alcuni valori intangibili. Essi erano: amore
per l'ambiente, gratitudine e rispetto per le risorse della Terra, capacita' di
darsi potere e di migliorare se stessi, spirito di servizio e volontariato. (…)
Naturalmente, so bene che
tali valori non sono appannaggio del Green Belt Movement. Essi sono universali.
Non possono essere toccati o visti. Non possiamo dar loro un valore monetario:
in effetti, sono impagabili. Questi valori non sono contenuti in specifiche
tradizioni religiose, ne' uno deve far professione di fede per essere guidato
da essi. Sembrano piuttosto essere parte della nostra natura umana, ed io sono
convinta che siamo persone migliori perche' li abbiamo, e che l'umanita' e'
migliore avendoli piuttosto che non avendoli. Dove questi valori sono ignorati,
li rimpiazzano dei vizi come l'egoismo, la corruzione, l'avidita' e lo
sfruttamento.
Nel processo in cui aiutiamo
la Terra a guarire, aiutiamo noi stessi.
Per quel che posso dire
attraverso le mie esperienze e le mie osservazioni, credo che la distruzione
fisica della Terra si estenda anche a noi. Se viviamo in un ambiente ferito,
dove l'acqua e' inquinata, il cibo e' contaminato da metalli pesanti e residui
plastici, e il suolo e' praticamente immondizia, cio' ci affligge, influisce
sulla nostra salute e crea ferite a livello fisico, psicologico ed
esistenziale.
Degradando l'ambiente
degradiamo sempre noi stessi.
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Genere femminile numero plurale
venerdì 16 dicembre 2011
Nonviolenza è ...
La nonviolenza e' la lotta contro la violenza, al di fuori di questa lotta nonviolenza non si da'. La nonviolenza si fonda sul rispetto di se' come essere umano: essa e' dunque difesa attiva della propria integrita'.
La nonviolenza si fonda sulla consapevolezza che vi e' una sola umanita', e un'unica biosfera: essa e' dunque responsabilita' per l'altro ed empatia in azione. La nonviolenza ti chiede di prendere sul serio la tua propria dignita', ergo di pensare seriamente le tue proprie idee e le tue proprie azioni; di approfondirle e rigorizzarle: e laddove esse ledano la tua o l'altrui dignita', di mutarle.
La nonviolenza e' sempre dalla parte delle vittime. La nonviolenza e' sempre impegnata a salvare le vite.
La nonviolenza e' fallibilista: proprio perche' non possiamo essere certi di avere ragione facciamo in modo che la nostra azione non provochi del male a chicchessia.
La nonviolenza e' componibile con tradizioni culturali diverse, poiche' essa e' lo sforzo di cogliere il bene che unisce e che salva. La nonviolenza e' pluridimensionale, complessa, contestuale, dialogica e dialettica, concreta. Non e' riducibile ad una delle sue dimensioni; non e' data e fissata, ma aperta e creativa.
Essa afferma la coerenza tra i mezzi e i fini: il fine non giustifica i mezzi, i mezzi pregiudicano il fine.
Essa e' opposizione alla violenza, lotta comunicativa, gestione costruttiva del conflitto, riparazione di cio' che e' rotto, coinvolgimento nel percepire e realizzare relazioni armoniche, uguaglianza di diritti nel rispetto delle differenze, riconoscimento di dignita', non nuocere, equilibrio: ahimsa.
Essa e' afferramento al bene, persistere nel giusto, forza della verita', ricerca condivisa ed autenticita' relazionale: satyagraha.
(Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino": numero 472 del 15 dicembre 2011, editoriale di Peppe Sini)
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Ecologia e filosofia di strada
martedì 13 dicembre 2011
101 Storie: Il professore che vedeva lontano
(Nel giorno dedicato a santa Lucia, una storia che ha come co-protagonista un docente con un'ottima vista interiore)
Me lo ricordo
ancora, quel Consiglio di classe straordinario convocato d’urgenza, alle ore
14, nella sala dei professori: con una schiera di colleghi furenti, perché
quella volta, Michele, in aula informatica, il segno lo aveva passato … - Almeno cinque
giorni di sospensione dalle lezioni …
non può essere ammesso agli esami … il ragazzo non merita niente … -
Michele.
Qualche anno prima avevamo avuto Nicola, uno dei tre fratelli maggiori. Ma
Nicola era passato senza colpo ferire, un alunno tranquillo, di quelli che si
ricordano appena.
Michele,
invece, sin dalla prima media, si era proposto in tutta la sua vistosa e
inquieta irruenza: uscite dall’aula senza permesso, girovagare durante le
lezioni disturbando i compagni, studiare poco e in modo svogliato, interloquire
a tu per tu con i docenti senza ritegno.
Si convocava spesso
sua madre. Perché il papà, lui non ce l’aveva. Un incidente sul lavoro. Una
scarica elettrica, durante uno straordinario perché la famiglia era già
numerosa e la moglie aspettava il quinto, di figlio.
Era in
seconda elementare, Michele, quando aveva perduto il papà. Ma la mamma aveva fatto di
tutto per portare avanti la sua bella famiglia: per farli studiare, i suoi
figli, per dare loro tutto l’affetto e il sostegno di cui bisognavano.
In terza
elementare, Michele era stato bocciato. – Non me la meritavo quella bocciatura,
professorè… io piangevo perché era morto papà e volevo stare con mamma … e le
maestre mi hanno bocciato. – Così ora Michele era quasi due anni più grande dei
suoi compagni.
E sua madre,
alla quale mi inchinai quasi subito per la tranquilla forza interiore di cui
era capace, mi supplicava, dopo l’ennesima convocazione per le birichinate del
figlio: - Professoressa, mi creda, non è per difenderlo … non lo dico perché è
mio figlio … Michele è vivace, ma è buono, vi chiedo solo di avere pazienza. E
di non bocciarlo, che gli fate male. –
Le parole e il
tono di mamma coraggio mi avevano presto convinta. Anche perché un pochino
Michele, con qualche colloquio, avevo imparato a conoscerlo anch’io. Mi diceva
che proprio non ci riusciva, a stare fermo. Che si dispiaceva di fare
sconquasso. Che lui ci provava a stare più buono. Che ci riusciva, una volta si
e quattro no. A volte mi chiamava persino l’insegnante di religione, col velo
storto: - Non so come fare, con quel ragazzo … -
Per fortuna,
Michele, su questa terra, oltre sua madre e i quattro fratelli, un aiuto
speciale l’aveva trovato. Il suo insegnante di Lettere.
Che ha votato per la sua promozione, ogni anno. Che
aveva trovato la chiave, per quel ragazzo ribelle col cuore buono. Gli parlava
con un tono di voce normale. Se veniva punito, il giorno dopo si ricominciava: Michele
era accolto con un sorriso. E il professore gli faceva recuperare la prova di
storia e quella di geografia.
Il Consiglio
di classe straordinario fu convocato quando Michele era in terza media. La sua
ammissione agli esami sembrava ormai compromessa. Quando sia io che il docente
di Lettere abbiamo esposto le ragioni per la sua promozione, siamo stati
guardati come degli alieni.
Ma il
professore, nonostante inforchi occhiali spessi così, vedeva veramente lontano.
La fiducia
paziente e affettuosa che il docente è stato capace di dare a Michele è stato
un volano per la sua vita: la scuola superiore è andata alla grande, il ragazzo
ha superato, in questi tempi di magra, un importante concorso pubblico.
A volte,
Michele a scuola ritorna. Per salutare il suo professore. Per abbracciare anche
me, con l’occasione.. Adesso, ama scrivere, a tempo perso. E vuole che, oltre
al suo amato prof, anch’io legga i suoi scritti.
Mi ha chiesto
se sono su Facebook. Gli ho risposto di si. Per una sorta di netiquette
preventiva, non sono amica di nessun alunno, sul social network. Ma, se me lo
chiede, cliccherò su “conferma” per il
suo contatto.
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A scuola: per chi suona la campana?
lunedì 12 dicembre 2011
Maestri di utopie
A
Palermo, ci vivo a due passi, dal fiume Oreto.
Mi
chiedo spesso perché questo fiume non sia pulito come quelli dell’Alto Adige.
Lo immagino, l’Oreto bonificato: senza rifiuti, affiancato da panchine e aiuole
fiorite.
Prima di
me, alla sua rinascita, ci ha creduto Antonio Presti: “un catalizzatore che si
lascia attraversare dalle utopie (…) la sua missione è quella di dare corpo ai
sogni, smentendo la maledizione del non si può fare (…) E’ la sorgente dell’Oreto
il suo obiettivo: vuole comprarla e donarla a una comunità di 150 scuole,
spingendo gli amministratori a creare il parco che servirebbe alla
preservazione dell’ambiente naturale.” Così Roberto Alajmo, ne “L’arte di
annacarsi”.
Grazie,
Antonio. Grazie a Roberto che ci presta le parole giuste per definirti: “Un
siciliano capace di tirare la corda pazza senza strapparla, intrecciandola anzi
con quella civile fino a farne una gomena a cui ancorare le proprie utopie.”
Maria D’Asaro (Pubblicato su “Centonove” 9.12.2011)
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Palermo in 150 parole
martedì 6 dicembre 2011
Come un romanzo
Daniel Pennac Come un romanzo Feltrinelli, Milano, 2003
"Il
tempo per leggere è sempre tempo rubato. Come il tempo per scrivere,
d'altronde, o il tempo per amare."
Fu
un amore a prima vista, quello letterario con Daniel Pennac. Il suo decalogo
per il/la leggente è un cult che voglio riportare:
1
|
Il diritto di non leggere
|
2
|
Il diritto di saltare le pagine
|
3
|
Il diritto di non finire il libro
|
4
|
Il diritto di rileggere
|
5
|
Il diritto di leggere qualsiasi cosa
|
6
|
Il diritto di leggere senza regole
|
7
|
Il diritto di leggere ovunque
|
8
|
Il diritto di spizzicare
|
9
|
Il diritto di leggere ad alta voce
|
10
|
Il diritto di tacere
|
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In punta di mouse: cinema e libri
lunedì 5 dicembre 2011
Gattino che vieni, canuzzo che vai ...
Era il 5 dicembre dell’anno 2000.
Quasi un secolo fa. I figli di Nostra Signora erano
ancora dei pargoletti: 14, 10, 4 … Billy, la cagnetta di Enzo e Maria, aveva
partorito dei cuccioli. Bisognava accudirli.
Così Nostra Signora si offrì di tenere il maschietto,
facendo felice la sua tribù. E maledicendo per mesi il suo assenso, per tutti
gli LP rosicchiati, le porte graffiate, le cacche pipì sparse per casa.
Ma quel cuccioletto ci voleva davvero: le insegnava
cosa vuol dire giocare, cosa vuol dire sacrificare un pochino se stessi per una
creatura. E Dipsy, la contraccambiava con mari di affetto.
Adesso Dipsy scodinzola nei prati celesti.
Ma un’altra creatura sta ora allietando la vita di tre persone: Kobe, un trovatello felino.
Pietosamente prelevato sotto un’automobile dai due splendidi figli del mio amico/collega dalle tante consonanti. Ripulito, rifocillato, vaccinato.
Ora sta bene e diverte se stesso e chi gli sta vicino.
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Quaderno blu
domenica 4 dicembre 2011
La storia dell'acqua in bottiglia
Forse Anna Leonard fa dei passaggi affrettati, comunque penso che, dopo la visione del video, qualcuno potrà interrogarsi sul senso di "acquistare" l'acqua in bottiglia...
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Ecologia e filosofia di strada
sabato 3 dicembre 2011
Apecar
A proposito di rifiuti e riciclaggio, una canzone dei Mercanti di Liquore:
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Ecologia e filosofia di strada
venerdì 2 dicembre 2011
Pronto Soccorso
130 chili
di carne, la signora di grigio vestita: al suo fianco, la figlia pietosa.
L’altra, che di grigio ha la pelle del viso, sta con la testa appoggiata al
marito affettuoso, che le tiene la mano. Un signore con la pelle scura: aspetta
con antica pazienza il suo turno. La vecchietta svanita, che qui viene ogni
giorno, perché dice che nessuno la cura. Ma che viene accudita dalla guardia
giurata, che dice al dottore di darle le benedette goccine.
La
signora curata, coi capelli perfetti: tra persone malate e discinte, lei fuori
posto lo è veramente. L’uomo pestato, dai lunghi capelli, che nessuno sa dire
dov’è. L’infermiera che piange a dirotto. E non si capisce perché.
Palermo, policlinico “Paolo Giaccone”: Pronto Soccorso.
Palermo, policlinico “Paolo Giaccone”: Pronto Soccorso.
Obbligatorio andarci, ogni
tanto. Magari da visitatori esterni, non da ammalati.
Per capire che, in fondo, potremmo vivere in un Paradiso, fuori da questo girone di pena.
Maria D’Asaro (“Centonove”, 2.12.2011)Per capire che, in fondo, potremmo vivere in un Paradiso, fuori da questo girone di pena.
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Palermo in 150 parole
giovedì 1 dicembre 2011
Nostra signora del Cyberspazio
(Tre candeline,
ieri, sulla torta del mio blog)
Che glielo avrebbe mai detto a nostra signora, tre anni addietro …
Che, sulle strade infinite del web, avrebbe
trovato siffatta brigata: un gattonero,
triste e gentile, un variopinto calzino, felicemente appaiato, un amico
senza vocali ma con un intelletto così, un capitano siculo e la sua dolce
compagna, un uomo nero, vele e uno gnomo del rosmarino che colorano allegramente
la vita, un astronauta e uno squiliber, una mdfex veramente preziosa, mgg del
64, pippicalzelunghe, una turista per caso, una luce sepolta che continua a
brillare, costantino, luigi, sara e niccolò, cristina, mirella e raffaella, valerio
da rimini e la stanza in fondo agli occhi, aris, un bimbo verde e una
pupottina, gocce d’aurora e un’onda marina, una veronica e una gabriella così
speciali, dr.Peter e Mr. Hook, felice intesa rinata in un DOC di origine
controllata.
Nostra signora, non sempre trovava la bussola che le indicasse
la via. Ma navigava lo stesso. Nei mari da solcare, che il cyberspazio e la
vita terrena continuavano a offrirle.
Ai miei carissimi followers due canzoni di
Guccini:
Odisseo:
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