Qualche post fa, scrivevo che, a mio avviso, siamo stati troppo frettolosi nell’abbandonare, assieme al fardello forzato di catechismi spesso oscuri e incompresi, anche la riflessione teorica, etico/filosofica insieme, su vizi e virtù. Dopo aver dedicato uno spazio alle 4 virtù cardinali - Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza – ecco il primo, in ordine alfabetico, dei sette vizi capitali: Accidia, Avarizia, Gola, Invidia, Ira, Lussuria, Superbia.
L'accidia o acedia è l'avversione all'operare, mista a noia e indifferenza. L'etimologia classica fa derivare il termine dal greco ἀ(alfa privativo = senza) + κῆδος (= cura), sinonimo di indolenza, per il tramite del latino tardo acedia. Nell'antica Grecia il termine acedia (ἀκηδία) indicava lo stato inerte della mancanza di dolore e cura, l'indifferenza e quindi la tristezza e la malinconia. Il termine fu ripreso in età medievale, quale concetto della teologia morale, a indicare il torpore malinconico e l'inerzia che prendeva coloro che erano dediti a vita contemplativa. Nel cattolicesimo l'accidia è uno dei sette vizi capitali ed è costituito dall'indolenza nell'operare il bene, da una mancata motivazione ad agire, da una sorta di “pigrizia dell’anima”.
Albrecht Dürer: Melencolia (1) |
Dante ci ha tramandato una ferma condanna degli individui che non prendono posizione: gli “ignavi”, individui che “mai non fur vivi”, da lui collocati nel III canto dell’Inferno, sono costretti a correre nudi per l’eternità, inseguendo un’insegna che “corre velocissima e gira su se stessa”, punti e feriti da vespe e mosconi. Sugli accidiosi o “ignavi”, il poeta scrive: “misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam di loro, ma guarda e passa" (Inferno, III, 50,51)
Nel lessico contemporaneo il lemma accidia/accidioso: è usato come sinonimo di noia e vita depressa; indica lo scoraggiamento, l'abbattimento e la stanchezza, persino la mediocrità e il moderatismo; oggi la parola rinvia, più che a questioni etiche, a questioni psicologiche, indicanti un'anomalia della volontà, piuttosto che un peccato, un sintomo di depressione. Banalizzato, accidioso indica anche semplicemente una personalità particolarmente incline all'ozio.
(Fonti: Wikipedia; Cem Mondialità, n.3/2014)
Confesso di avere una certa tendenza all’accidia, soprattutto relativamente alla risoluzione di questioni davvero importanti: tanto più pericolosa in quanto sotterranea e strisciante, mascherata da un attivismo talvolta smodato. Forse il segreto per combattere l’accidia è trovare il giusto equilibrio tra azione e contemplazione; tra eccessivo entusiasmo e ragionata melanconia; tra interventismo e indifferenza; tra la troppa empatia e l'incuria malcelata. Spero allora che la ponderazione non degeneri nella procrastinazione; la contemplazione non si traduca in immobilismo; lo sguardo disincantato e a volte amaro verso la realtà non tinga di cupo la mia anima.
Ammiro la mia amica Ornella che mi ha insegnato, con la sua energia combattiva e il suo dinamismo efficace e puntuale, a dare un corpo agli impegni e ad arrivare in tempo agli appuntamenti importanti che la vita propone.
Perché l’accidioso rischia soprattutto, con la sua sonnolenta indolenza, di perdere le occasioni che ha davanti; di non sapere cogliere il kairòs, il momento opportuno, il momento di grazia per agire. Peccato, davvero peccato …
(1)L'opera rappresenta simbolicamente le difficoltà che si incontrano nel tentativo di tramutare il piombo (anime delle tenebre) in oro (anime che risplendono).
Mah, io questi peccati credo di commetterli un po' tutti, dipende dai momenti...
RispondiElimina@Silvia: anch'io ...
RispondiEliminaMolto bello questo post sull’accidia, molto “vera” la personalizzazione della parte finale. Grazie, anche noi condividiamo lo spirito di “comunione”. La consapevolezza dell’accidia è espressa magistralmente da Eugenio Montale in una poesia che io amo molto. La riporto qui:
RispondiEliminaPer finire.
Raccomando ai miei posteri
(se ne saranno) in sede letteraria,
il che resta improbabile, di fare
un bel falò di tutto che riguardi
la mia vita, i miei fatti, i miei nonfatti.
Non sono un Leopardi, lascio poco da ardere
ed è già troppo vivere in percentuale.
Vissi al cinque per cento, non aumentate
la dose. Troppo spesso invece piove
sul bagnato.
(Eugenio Montale, L’opera in versi, Diario del 71 e del 72, Einaudi, Torino 1980, p. 508).
Buona serata.
@Rossana Rolando: grazie per l'apprezzamento e per la condivisione dei pensieri poetico/esistenziali del grande Montale. Buona serata anche a voi!
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