Palermo – Sull’epilogo inevitabile, più
o meno lontano, dell’esistenza umana di ciascuno ricordiamo il contributo del filosofo Augusto
Cavadi, col suo “Andarsene”, testo intrigante e poliedrico.
Ecco ora le riflessioni illuminanti di
due psicoterapeuti, esponenti italiani della Gestalt Therapy: il professor
Giovanni Salonia e la dott.ssa Paola Argentino. Il primo, nel testo “Devo
sapere subito se sono vivo” ci ricorda la differenza sostanziale tra
tristezza e depressione: “Anche se la
tristezza infinita di fronte alle perdite (separazioni, morte, malattia)
confina con la depressione, non deve essere trattata come tale. […] Attraversare
le sane depressioni dovute ai limiti anche tragici dell’esistenza fa crescere
nella pienezza dell’essere umani. Quando la depressione è reazione
all’infelicità costitutiva dell’esistenza (e non si somma ad
altre gestalt aperte, non elaborate), infatti, compiuto il tempo
necessario per l’elaborazione del lutto, si apre e si trasforma in ‘saggezza
triste’ che permette di incontrare l’Altro nella concretezza dell’esistenza
senza fughe nell’euforia. Viceversa, negare la tristezza delle perdite può, a
sua volta, produrre depressione ‘patologica’. Nella postmodernità molte depressioni
derivano proprio dal rifiuto della morte e dal vivere come umiliante sconfitta
ogni situazione limite.”
Ed ecco cosa scrive la dottoressa Paola
Argentino, in un opuscolo dell’Istituto di Neuroscienze e Gestalt Therapy “Nino
Trapani” di Siracusa, di cui è direttore scientifico: “A partire dalle idee del matematico Renè Thom, la scienza ha cercato di
indagare la genesi e l’evoluzione (mutamento o permanenza) di strutture o
forme, animate e inanimate, materiali ed astratte con l’elaborazione della “teoria delle catastrofi”: una teoria
morfogenetica che tenta di spiegare le forme naturali individuando il punto
critico del conflitto a cui la ‘forma’ deve la sua
origine. Ad esempio, in campo fisico, 100 gradi centigradi rappresentano il
punto di catastrofe per cui l’acqua muta la sua forma da liquida a gassosa.
Questa teoria è stata applicata in vari campi […] contrariamente alla teoria
del caos tenta di spiegare il mondo e i suoi oggetti come “strutture
razionali”, che si succedono secondo leggi morfogenetiche. […] Aristotele,
nella Poetica, per primo usa il termine “catastrofe” con una connotazione
tecnica, per indicare il punto critico della tragedia, quando tutti i nodi si
sciolgono e piccoli cambiamenti portano alla rivelazione finale.”
Allora, conclude la dottoressa Paola
Argentino: “Se applicassimo questa teoria
al dominio del metafisico, così come lo stesso Thom ipotizza – visto che si
tratta di cogliere non solo strutture superficiali, ma anche dinamismi profondi
– la morte biologica potrebbe essere il punto critico, il luogo di catastrofe
del passaggio da una struttura morfologica ad un’altra?”.
Chi lo sa … Ne era certo san Francesco,
che è stato persino capace di appellare la morte fisica come sorella. Per chi
si colloca nella tradizione religiosa cristiana, come san Francesco, non ci sono dubbi sulla vita eterna custodita da Dio.
Per chi è più dubbioso, citiamo
la
tradizione buddista, che - pur non ipotizzando una Trascendenza, raccomanda di
vivere praticando la giustizia, la gioia, la compassione e la misericordia. Non
a caso, alla domanda di un discepolo: “Ma
la vita dopo la morte c’è o no?” un saggio avrebbe risposto: “C’è la vita prima della morte? E’ questa la
questione!”.
Maria
D’Asaro, il Punto Quotidiano, 03.11.19
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