Palermo - Che relazione può esserci tra la filosofia, il mare, la pizza e l’olio d’oliva? E tra la filosofia e le figure mitiche di Abramo e Ulisse? Augusto Cavadi, nel saggio Pensare sul mare tra-le-terre (Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2019, €10) constata innanzitutto che pizza e pensiero filosofico sono entrambi prodotti del mare Mediterraneo: a Napoli infatti è nata la pizza e sulle rive del Mediterraneo si sono affacciati e hanno argomentato Protagora, Socrate, Platone, Aristotele, Democrito, Epicuro, Pirrone. E poi Agostino, Tommaso Campanella, Gian Battista Vico. Seguiti, nel XX secolo, da maestri del pensiero del calibro di Antonio Gramsci e Luigi Pirandello.
L’autore, a sostegno della sua originale connessione, cita il sociologo Franco Cassano, che ha ipotizzato un nesso di natura geofisica tra mare e amore della sapienza: “Non è un caso che la filosofia sia nata sul mare, quando è venuta ad esistenza la parola ‘ente’, il suo ondeggiare tra l’essere e il niente, quando il divenire è diventato una parola dotata di senso cognitivo, mettendo in discussione le verità forti […] Il sapere si è sottratto alla sua forma oracolare e sacrale, è diventato opinabile, discutibile, occasione di contesa”. La filosofia inoltre - sospesa tra memoria e nostalgia di un’Itaca perduta e tensione progettuale creatrice, aperta alla speranza di nuove scoperte e più appaganti orizzonti – evoca sia Abramo, in cammino verso una sconosciuta meta promessa, sia l’inquieto Ulisse. Abramo e Ulisse sono allora definiti personaggi ‘ancore’ in quanto “come ogni filosofo, hanno sentito l’esigenza di radicarsi in una ‘patria’, solo dopo aver esercitato le capacità perlustrative”.
Cavadi sottolinea quindi la vocazione ‘marinara’ della filosofia: “Solo chi ha navigato molto […]può stabilirsi in un luogo senza farsi illusioni sulla precarietà ontologica dell’esistenza; dunque senza fossilizzarsi […] Non è così anche per la ricerca-della-saggezza? […] Essa non è inattingibile, ma la si può assaggiare solo dopo aver gettato molte ancore in molti porti.” “La filosofia sa dunque di mare e di sale”: infatti il sapere filosofico deve ‘salpare’ da ogni credenza acquisita per abitudine e tradizione per guadagnare un approdo più saldo e convincente di quello abbandonato. L’incessante navigazione della mente sarà allora il suo metodo specifico.
L’autore, a sostegno della sua originale connessione, cita il sociologo Franco Cassano, che ha ipotizzato un nesso di natura geofisica tra mare e amore della sapienza: “Non è un caso che la filosofia sia nata sul mare, quando è venuta ad esistenza la parola ‘ente’, il suo ondeggiare tra l’essere e il niente, quando il divenire è diventato una parola dotata di senso cognitivo, mettendo in discussione le verità forti […] Il sapere si è sottratto alla sua forma oracolare e sacrale, è diventato opinabile, discutibile, occasione di contesa”. La filosofia inoltre - sospesa tra memoria e nostalgia di un’Itaca perduta e tensione progettuale creatrice, aperta alla speranza di nuove scoperte e più appaganti orizzonti – evoca sia Abramo, in cammino verso una sconosciuta meta promessa, sia l’inquieto Ulisse. Abramo e Ulisse sono allora definiti personaggi ‘ancore’ in quanto “come ogni filosofo, hanno sentito l’esigenza di radicarsi in una ‘patria’, solo dopo aver esercitato le capacità perlustrative”.
Cavadi sottolinea quindi la vocazione ‘marinara’ della filosofia: “Solo chi ha navigato molto […]può stabilirsi in un luogo senza farsi illusioni sulla precarietà ontologica dell’esistenza; dunque senza fossilizzarsi […] Non è così anche per la ricerca-della-saggezza? […] Essa non è inattingibile, ma la si può assaggiare solo dopo aver gettato molte ancore in molti porti.” “La filosofia sa dunque di mare e di sale”: infatti il sapere filosofico deve ‘salpare’ da ogni credenza acquisita per abitudine e tradizione per guadagnare un approdo più saldo e convincente di quello abbandonato. L’incessante navigazione della mente sarà allora il suo metodo specifico.
Augusto Cavadi |
E come il Mediterraneo – è ancora Cassano a essere
citato - esalta il valore della
pluralità e favorisce scambi e amicizie tra le sue sponde, nonostante le
differenze tra popoli e culture, così la filosofia, in quanto “scuola di
laicità”, può lavorare nel disinnescare i tanti fondamentalismi che ammorbano
il nostro tempo: “Alla filosofia […] spetta
il compito, impegnativo ma entusiasmante, di favorire la conoscenza reciproca
delle ‘visioni del mondo’ in gioco, la cernita serena di ciò che vale e di ciò
che non vale nella tradizione sapienziale propria e altrui.”
Ma perché possa assolvere a questo e ad altri compiti
significativi, la filosofia ha bisogno, oggi più che mai, di superare le
vecchie contraddizioni tra “contemplazione
e azione; tra rigore logico e accessibilità comunicativa; tra gratuità della
ricerca e attenzione alle urgenze della storia.” E, soprattutto, deve
abbracciare quella che il filosofo siciliano Davide Miccione definisce la sua «svolta
pratica»: cioè “lo sciogliersi
dell’identità della filosofia nel concreto filosofare, nel suo venire
esercitata”. Tale dimensione pratica del filosofare, che è poi un ritorno
alla pratica filosofica socratica, comporta il porre in secondo piano le
accademie, le teorie asettiche e specialistiche lontane dalle esigenze delle
donne e degli uomini dei nostri giorni e, al contrario, posizionare al centro
delle pratiche di pensiero i non-filosofi, in quanto portatori di problemi
autentici e di esperienze significative. Così inteso, il filosofare comporta un
impegno costante per la crescita civile e politica del pianeta, in quanto
sollecita “governanti e governati ad
affrontare le sfide epocali con le armi dell’intelligenza e del confronto
razionale, temperando e orientando le pulsioni primordiali”.
Dunque, in quanto incessante ricerca del fondamento,
la filosofia “non può non mettere in
discussione i fondamenti dati per ovvi” per indagare il senso del mondo e
degli eventi storici. D’accordo con
Husserl che ha definito i filosofi ‘funzionari dell’umanità’, Cavadi
conclude affermando che essi non solo hanno la responsabilità di pensare anche
per chi pensa poco e male, ma anche di ricordare i tratti irrinunciabili dell’humanitas. E, in questo contesto, si apprezza
e commuove la dedica del testo “al
quattordicenne migrante del Mali, annegato nel Mediterraneo con la pagella scolastica
cucita nella tasca interna della sua giacca: simbolo di una strage attuale che
rende inquieti i sonni degli europei onesti e dovrebbe rendere insonni i loro
governanti”.
Maria D'Asaro, 17.11.19, il Punto Quotidiano
Interessante questo concetto di filosofia marinara, anche se io molto umilmente parlerei di "filosofia viaggiatrice" perché non solo per mare si viaggia, e quindi non solo avendo toccato molti porti si può crescere dentro. Certo è che chi ha viaggiato ha un arricchimento interiore molto più ampio e profondo.
RispondiElimina@Daniele: il prof.Cavadi in effetti - in un altro suo testo - ha definito la filosofia "callejera", cioè compagna di strada. Hai assolutamente ragione: la filosofia è compagna di viaggio, per terra o per mare che sia. Grazie della tua attenzione.
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