La memoria ha finalmente quel che cercava.
Si è trovata mia madre, mi è apparso mio padre.
Ho sognato per loro un tavolo, due sedie. Si sono seduti.
Erano di nuovo miei e per me di nuovo vivi.
Sono balenati con le due lampade del viso
all’imbrunire, come a Rembrandt.
Solo ora posso dire
In quanti sogni hanno vagato, in quante resse
li tiravo fuori da sotto le ruote,
in quante agonie da quante mani mi scivolavano.
Recisi – ricrescevano di traverso.
L’assurdità li costringeva alle mascherate.
Che importa se non potevano soffrirne fuori di me,
se ne soffrivano in me.
La turba sognata mi ha sentito chiamare “mamma”
qualcosa che saltellava pigolando su un ramo.
E si è riso del fiocco sulla testa di mio padre.
Mi risvegliavo con vergogna.
E infine,
una notte normale,
da un venerdì qualsiasi a un sabato,
mi sono arrivati così come li volevo.
Mi apparivano in sogno, ma come liberi da sogni,
obbedienti solo a sé stessi e a null’altro.
Nel fondo del quadro si erano spente tutte le possibilità,
ai casi è mancata la forma necessaria.
Solo loro splendevano belli, perché somiglianti.
Mi apparivano a lungo, a lungo e felicemente..
Mi sono svegliata. Ho aperto gli occhi.
Ho toccato il mondo come una cornice intagliata.
Poesia più delicata non potevi dedicarla.. un abbraccio!
RispondiElimina@Franco: è bello trovare la domenica questo tuo commento e l'abbraccio, che ricambio! (l'altro tuo commento non mi appare nel blog, ma solo come notifica nella mail: lo riporterò io...)
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