Palermo – Quasi tutti i centri urbani italiani, dagli anni ’50 in poi, sono stati riedificati e progettati a misura di automobile. Da alcuni anni, piene di cemento e di asfalto e povere di spazi verdi, le nostre città sono state però messe in crisi dai cambiamenti climatici che hanno causato, soprattutto a nord, un considerevole aumento di allagamenti, nubifragi e bombe d’acqua, mentre il sud ha sofferto per le ondate di calore estivo e per la siccità.
Oggi uno degli obiettivi dell’ingegneria naturalistica è quello di rendere le città più resilienti e meglio attrezzate ad affrontare il cambiamento del clima, come le piogge sempre più violente e abbondanti. Già nel 2021 l’architetto Flora Vallone, vice presidente dell’AIPIN (Associazione Italiana Per l’Ingegneria Naturalistica) scriveva: “In pieno Antropocene, tra pandemie globali e cambiamento climatico, e in corsa verso la transizione ecologica, si moltiplicano idee e progetti green, spesso più mediatici che sostenibili. Certo non è facile mutare radicalmente i paradigmi culturali che per decenni hanno sostenuto una colonizzazione antropica indifferente ai luoghi, alle impronte ecologiche, ai costi-benefici che invece avremmo ben dovuto valutare. (…) Il paesaggio è sistema vivente che deve poter esprimere i servizi ecosistemici che gli sono propri e che sono fondamentali, oltre che gratuiti, anche per l’uomo.”
A Busto Arsizio - l’operosa cittadina lombarda di quasi 85.000 abitanti in provincia di Varese - è stato attuato un progetto di rigenerazione urbana finalizzato a togliere un po’ di asfalto per introdurre materiali drenanti e aree verdi: il centro storico è stato riqualificato attraverso il depaving, vale a dire la pratica della de-impermeabilizzazione del suolo che si effettua con la rimozione dello strato superficiale in asfalto o cemento che non consente all’acqua di infiltrarsi nel terreno.
“È come se le città togliessero l’impermeabile per diventare delle città-spugna” – ha sottolineato Giorgio Giglioli, il giornalista del TG scientifico Leonardo, autore del servizio che ha illustrato il progetto di ingegneria naturalistica realizzato nella città lombarda.
La professoressa Flora Vallone, che ha coordinato il progetto, ha evidenziato come la creazione di superfici in grado di filtrare e assorbire le acque piovane ravvivi le falde acquifere e “ricrei quelle condizioni di umidità che sono proprie del sottosuolo, cosa che appunto l’asfalto nega. Si gestiscono così le acque che, anche quando sono copiose, possono infiltrarsi e quindi non allagare le strade e la città.”
Una vasta area della città è diventata molto più verde, a prova di pioggia: infatti, sebbene ci siano stati tanti episodi di bombe d’acqua, l’acqua scompare immediatamente grazie ai materiali filtranti e all’utilizzo di tecniche di ingegneria naturalistica che hanno riportato un po’ di natura in città.
Al giornalista Giglioli che ha chiesto quali tipi di piante siano più adatte per proteggere il suolo urbano, la professoressa Vallone ha risposto: “Devono essere piante non troppo esigenti dal punto di vista dell’acqua: che non soffrano quindi né le temperature troppo alte e né soprattutto i periodi di siccità, ma neppure l’eccesso di acqua. Vanno bene le piante che attirano gli insetti impollinatori, le farfalle: ad esempio paenisetum, imperata, allium. Piante che col tempo cresceranno e, oltre a catturare l’acqua, porteranno natura e colore a Busto Arsizio”.
L’auspicio è che le città italiane prendano esempio da queste buone pratiche…
Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 23.3.25
Vero nelle nostre città c'è troppo cemento.Ben vengano i progetti come quello di Busto Arsizio. Non ti vedo fra i miei follower.Buona domenica
RispondiEliminaBen venga il verde nelle città.
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