A cento anni dalla nascita e a 25 dalla morte, Giuliana Saladino (1925-1999) – giornalista, scrittrice, impegnata nella società e in politica, prima nel ‘grande e glorioso’ partito comunista, poi da indipendente – ha ancora tante cose da dirci.
Ad esempio sull’America.
Qui stralci del suo articolo titolato Disperazione per una guerra evitabile, scritto nel febbraio 1991, in occasione della cosiddetta prima guerra del Golfo, per la rivista palermitana Segno.
“America. Una parola carica di segno positivo, specie in Sicilia, dove «Trovasti l’America?» vuol dire trovasti ricchezza, abbondanza, benessere. La mia generazione, di chi aveva vent’anni nel ’45, ama l’America. E non solo per i ricordi ‘fisici’ e profondi come il profumo delle prime Camel, il primo pane bianco, le prime notti senza bombardamenti, ma per quell’orizzonte che si squarciò e di cui non sapevamo niente, o ben poco, libertà di associazione, di stampa, di parola, Faulkner, il cinema, il jazz, insomma tutti i crismi di un grande amore che ha resistito al tempo e alle delusioni. Hanno massacrato gli indiani, sì, ma hanno scritto ben prima della rivoluzione francese la Dichiarazione d’indipendenza del 4 luglio 1776; hanno il Klu Klux Klan, la sedia elettrica, il Bornx-Zen, la corruzione e l’arroganza, certo, ma rimane pur sempre un grande paese libero, sede di tutto il male e di tutto il bene dei tempi moderni. (…)
Ma ora stiamo diventando tutti antiamericani. Nessuno, se onesto, può credere che davvero il piano Iraq-Gorbaciov fosse da buttare all’aria in fretta, per passare allo scontro. Personalmente, la famosa notte del 16 gennaio mi rifiutavo di credere che l’America avrebbe attaccato per prima. (…)
A chi gli ha chiesto la scorsa settimana per che cosa dovrebbero combattere gli americani, il segretario di stato ha parlato poco di principi. Non ha parlato di alleati. Ha parlato invece di vitali questioni economiche. “Se volete che riassuma in una parola, ha detto Baker, sono affari (it’s jobs). (…)
La notte dal 16 al 17 gennaio ha cambiato molte cose intorno a noi e dentro di noi. (…) Dentro: una tremante confusa disperazione, un non sapere che fare, che dire, che credere, un assurdo rimpianto dell’89, di un mondo idilliaco mai esistito, tutto inventato da noi, milioni di cretini, che vedevamo cadere il muro di Berlino senza uno sparo, senza un graffio, non siamo in piazza Tien An Men, siamo in Europa, e l’Europa la lezione della storia l’ha appresa e digerita. Ma dove? (…) Ci baloccavamo col mondo nuovo. Quella notte di gennaio sembra lontanissima. (…) Baghdad, il cui solo nome evoca voluttà orientali e ghirigori e mille e una notte era tutta verde marcio, ripresa agli infrarossi, tutta luci vaganti di contraerea, tutta sbuffi di fumo di esplosioni. Non credevamo ai nostri occhi, e nemmeno alle nostre orecchie che registravano boati e tonfi su un brontolio di tuono che non cessava e che non è ancora cessato fino ad oggi 24 febbraio mentre scriviamo…”
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