mercoledì 27 febbraio 2013

Stasera do i numeri


     Ogni tanto, nostra Signora, si faceva dei conti un po’ strani: “Quante volte mi farò ancora la manicure?” Circa 1400 volte, considerata una manicure a settimana, su eventuali 25 anni ancora di vita … “Quante volte abbasserò la serranda della camera da letto, prima di cambiare casa? Quante volte laverò la tenda arancio della cucina prima che cada a pezzi? Quante volte avvierò la lavatrice prima di comprarne una nuova?” E lì si perdeva, perché le variabili erano troppe e incontrollabili …
    A volte, nostra Signora pensava anche a faccende meno private. Quanti soldi l’erario dovrebbe sborsare per restituire l’IMU per la prima casa? Circa 4 miliardi di euro. Quante le entrate totali al fisco per l’IMU? 20 miliardi di euro. In tutto, quanti soldi ha incassato lo Stato italiano di tasse? 400 miliardi di euro. A quanto ammonterebbero le mancate entrate per evasione fiscale?  A 145 miliardi di euro.
    Ecco, che cosa vuole nostra Signora: che siano restituiti agli italiani questi, grassi, sostanziosi e tondi 145 miliardi di euro. Non quei quattro soldi di IMU. 
    Così, magari gliela daranno, un giorno, una bella pensione. E comprerà delle nuove tende, se necessario.  E magari uno smalto trasparente, al mercato. 

martedì 26 febbraio 2013

L'analfabeta politico


(Condivido dal blog: Il sale della terra )

Bertold Brecht

Il peggior analfabeta
è l’analfabeta politico.
Egli non sente, non parla,
né s’interessa degli avvenimenti politici.

Egli non sa che il costo della vita,
il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina,
dell’affitto, delle scarpe e delle medicine
dipendono dalle decisioni politiche.

L’analfabeta politico è così somaro
che si vanta e si gonfia il petto
dicendo che odia la politica.

Non sa l’imbecille che dalla sua
ignoranza politica nasce la prostituta,
il bambino abbandonato,
l’assaltante e il peggiore di tutti i banditi,
che è il politico imbroglione,
il mafioso, il corrotto,
il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali.
(Bertold Brecht)


lunedì 25 febbraio 2013

Paradisi invisibili e inferno a portata di mano

      Forse ci salverà la bellezza, come scrive la blogger/traduttrice Silvia Pareschi.  Forse la letteratura. Forse non ci salverà niente.

“L'inferno dei viventi non è qualcosa che sara’; se ce n'e’ uno, e’ quello che e’ gia’ qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo piu’. Il secondo e’ rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all'inferno, non e’ inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”

Italo Calvino,  Le città invisibili, 1972, Einaudi, Torino

domenica 24 febbraio 2013

Preghiera degli elettori e delle elettrici

Giorgio La Pira: "La politica è la più alta forma di amore per il prossimo"
(condivido una preghiera laica letta nel web: sconosco l'autore/autrice)

Signore,
dammi la forza per non cedere alla tentazione dell’assenza
nella Babele di questo tempo donami la virtù del Discernimento
accompagna le mie scelte con la virtù del Consiglio
metti l’altro, la sua vita, i suoi bisogni al centro della mia mente e del mio cuore
ridesta in me il senso dell’appartenenza ad una società in difficoltà
fa che le mie scelte guardino con carità alle giovani generazioni
riempimi d’affetto, di stima e di fiducia per questa mia bella nazione
dammi il coraggio di credere che ci può essere chi vuole governare con lealtà
infondimi la speranza di tempi migliori per tutti 
infondimi la gioia di pensare di aver contribuito a generarli
liberami dall’egoismo di pensare solo al mio interesse immediato
Tu che mi hai donato l’intelligenza
muovi i miei passi nel giardino della Sapienza. Amen

venerdì 22 febbraio 2013

Non sono tutti uguali


     In questi giorni di campagna elettorale, al lavoro, sull’autobus, in panificio, capita di sentire le opinioni dei palermitani sull’appuntamento politico a cui saremo chiamati domenica prossima. Purtroppo, la frase più ricorrente è : - Tanto, qualsiasi partito voti, non cambia niente: sono tutti uguali. - 
     A me quest’affermazione fa ribollire il sangue. Mi pare davvero che evidenzi il sonno della ragione e il trionfo assoluto del qualunquismo. Se è vero infatti che i truffaldini di tutte le risme sono, ahimè, distribuiti a destra, centro e sinistra, è comunque innegabile una maggiore presenza di idee nefaste e di comportamenti negativi  in alcuni gruppi parlamentari piuttosto che in altri. La sigla di Tunnel, gloriosa trasmissione di satira di qualche anno fa, recitava: Sciogliamo le camere per un mondo migliore. Ora, sappiamo bene che il mondo non lo cambiano solo i Parlamenti: ma al cittadino consapevole rimane l’arduo compito di scegliere il meno peggio.     
Maria D’Asaro (“Centonove”, 22.02.2013)




mercoledì 20 febbraio 2013

Se la mafia sparisce dai comizi


     Pubblico, quasi integralmente, una riflessione dell’amico Francesco Palazzo, apparsa ieri 19 febbraio su l’edizione di Palermo de “La Repubblica”.
     Perché, cari miei leggenti della penisola, bisogna viverci, a Palermo, per capire Cosa nostra.
Ho pianto per l’assassinio di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, che ho avuto la fortuna di conoscere. Un mio alunno di 23 anni è stato ammazzato con un proiettile alla testa e i piedi conficcati nella calce. Un prete meraviglioso, a un chilometro da casa mia, è stato ucciso dai mafiosi perché voleva coniugare il Vangelo e la promozione umana: contro Cosa nostra, aveva fondato il centro sociale Padre nostro.
    Bisogna viverci a Palermo per sapere che musica sia, per i mafiosi, sentire che i magistrati sarebbero tutti venduti ai comunisti e che la cosa più importante da fare è il ponte sullo stretto.

     Ma insomma, se una forza politica, in questo caso Futuro e Libertà, che domenica pomeriggio si è ritrovata in Via D'Amelio per una manifestazione, decide di fare un'iniziativa di questo tipo, si può sapere che male c'è? Subito sono scattati, come un sol uomo, i difensori non si capisce di che cosa. La motivazione della critica, che sembra nobile e invece non lo è affatto, è che siamo in piena campagna elettorale per le politiche. E allora? Non è forse in campagna elettorale che si devono lanciare messaggi forti e precisi all'elettorato? Cosa sono le campagne elettorali se non il momento in cui ciascuno si presenta con la propria identità, cercando il consenso, al cospetto del corpo elettorale. O è forse meglio i leader di partito comizino in luoghi neutri senza dire una sola volta la parola mafia e parlando di ponti sullo stretto e amenità varie? 
     No. Le critiche, piuttosto a chi va in certi posti della memoria, vanno rivolte a chi si tiene lontano da certi contesti e preferisce uscirsene pulito pulito. Perché in realtà, il tema della criminalità organizzata, che intanto è tornata platealmente a sparare in un quartiere in cui niente accadde per caso, e potrebbe farlo ancora, è il grande assente in questo mese di surreale propaganda politica in Sicilia. Sullo sfondo primeggia la vittoria al Senato in terra sicula, che pare sia il viatico più importante per avere la maggioranza in quel ramo del parlamento oppure impedirla comunque ai vincitori. E siccome ogni voto può essere utile e decisivo nella battaglia campale, non si butta via niente.  (…)
      Quanto stia costando, e costerà, tutto questo, proprio in termini di legalità e lotta alla mafia, lo sapremo molto presto. Non appena, dopo domenica e lunedì prossimi, si sarà depositata tutta la fitta nuvola di polvere di un confronto elettorale all'ultimo sangue. Sarebbe proprio questo il problema da porsi. Come si sta raccogliendo il consenso in Sicilia per arrivare vittoriosi alla conta del Senato? Quali e quanti patti a futura memoria si stanno facendo? E chi li pagherà? E quanto costeranno a tutti noi? Sono domandine, secondo me, di un certo rilievo. (…).
      Non si parla non soltanto di mafia e dei suoi legami ancora vivi e vegeti con la politica, ma neppure di uno solo dei tanti gravi e drammatici problemi che sta vivendo l'isola. Se questo è lo scenario, davvero si può pensare di alzare la polemica al vetriolo sull'innocente e persino troppo ingenuo comizio di Gianfranco Fini in via D'Amelio? Almeno quella è stata un'iniziativa elettorale chiara e ben leggibile da tutti. Uno afferra il microfono, dice delle cose e fa della lotta alla mafia la cifra del proprio impegno politico. E la cosa finisce lì. Almeno così potremo misurare parole e comportamenti futuri di quanti hanno parlato nel luogo dove morì Paolo Borsellino. Dovremmo preoccuparci, o almeno occuparci, invece, di quanto sta avvenendo, non nelle pubbliche piazze, in cui ciascuno può essere giudicato da tutti, ma nelle segrete stanze della politica siciliana in questi ultimi giorni che ci separano dall'ingresso nei seggi elettorali. Ma questa è una cosa più complicata e dunque su di essa si preferisce sorvolare.


martedì 19 febbraio 2013

Un saluto a Methodi: A bocca chiusa.

      Di lui ho già parlato in questa rubrica: era uno dei questuanti che chiedevano qualche spicciolo al semaforo di via Oreto nuova. Col tempo, avevamo familiarizzato: sapevo che veniva dalla Bulgaria, che aveva una moglie e due figli, che si chiamava Methodi. Ormai mi fermavo lo stesso anche a semaforo verde: magari solo per scambiare qualche parola, oppure per lasciar scivolare nella sua mano un’offerta appena più consistente delle altre. Mesi fa, mi ha confessato che era in procinto di tornare in Bulgaria perché senza lavoro e senza permesso di soggiorno. Mi ha chiesto un’offerta più generosa. Gli ho dato una banconota di piccolo taglio, temendo però che volesse approfittare della mia buona fede. Invece Methodi se ne è andato davvero. Adesso mi manca: mi mancano le parole gentili con cui mi salutava e mi ringraziava. Che la sua terra possa offrirgli quello che Palermo non è riuscito a donargli.                                                                    
Maria D’Asaro (“Centonove”, 15.02.2013)

     
        Per molti, Daniele Silvestri con la sua  A bocca chiusa è il vincitore morale del 63° Festival.


domenica 17 febbraio 2013

Quando non sappiamo che pesci prendere

      Chi mi legge sa che, a differenza di chi si definisce "credente, ma non praticante", io sono credente a zig/zag, ma praticante.
Ecco, sia audio che trascritta, l'omelia ascoltata domenica scorsa  nella chiesa di san Francesco Saverio, a Palermo. Autore: don Cosimo Scordato.
(10.02.2013: 5° domenica del tempo ordinario. I lettura: Isaia 6,1-2.3-8; Salmo:137; II lettura:  Prima Lettera di s.Paolo apostolo ai Corinzi 15, 1-11; Vg.: Luca 5, 1-11)




C’era una piccola cooperativa costituita da Zebedeo, Giacomo, Giovanni e Pietro. Erano soci, lavoravano insieme sulle rive del lago Genesaret. Lago molto pescoso e su questo lago c’è anche la città di Betsaida, da dove proviene Pietro. Betsaida significa casa della pesca perché erano tutti pescatori e vivevano di pesca. Attenzione a questa narrazione del Vangelo perché la nostra attenzione potrebbe essere richiamata, forse erroneamente, su questa pesca straordinaria: andò male la pesca quella notte, poi riprovano e questa volta la pesca va bene. La nostra attenzione potrebbe fermarsi a questo bel risultato raggiunto: avevano pescato molti pesci, quasi che si risolve in questo modo il problema… qualche volta non funziona e qualche volta funziona in maniera meravigliosa. Gesù avrebbe fato una pesca miracolosa, avrebbe dato una soluzione per tre quattro giorni.
Il brano del Vangelo non ha intenzione di spostare la nostra attenzione o di bloccare la nostra attenzione  sulla pesca miracolosa, su questo avvenimento che per la cooperativa di Pietro poteva essere un buon risultato. Tant’è vero che il Vangelo si chiude non andando a vendere il pesce, il Vangelo si chiude dicendo “lasciarono le reti, tutto e lo seguirono”.
Il Vangelo comincia dove a noi sembrava che stesse terminando perché Gesù è preso da un’altra questione: intanto quella di rapportarsi in maniera frontale con i pescatori e quando Pietro sprofonda dinnanzi a lui in ginocchio per dire: non sono degno, Gesù non solo lo risolleva ma addirittura gli dice “Pietro non mi trattare così, non creare distanza fra me e te, facciamo cose più belle semmai, facciamo insieme cose più belle.” E cosa sono le cose belle?
L’immagine del mare dove rischiamo di galleggiare un po’ tutti, dove rischiamo di morire un po’ tutti in un modo o nell’altro, in questa condizione di grande pericolo con la quale confiniamo continuamente e molta parte della nostra umanità è proprio lì a boccheggiare in tutti i sensi, non solo per le difficoltà economiche, ma boccheggiamo, abbiamo difficoltà a vivere, sopravviviamo a noi stessi, non abbiamo voglia, sembra quasi che stiamo per soccombere, per annegare.
E Gesù ci dice.. vai, non ci accorgiamo che dobbiamo mettere da parte i pesci, cioè qualcosa da conservare e vendere, per dare più importanza alle persone? Non notiamo che abbiamo bisogno di aiutarci a vicenda, di tirarci fuori da questa situazione di galleggiamento, da questa situazione di confine fra la vita e la morte, una morte in tutti i sensi, morte nel cuore, morte perché abbiamo rinunciato a resistere, lottare, a restare in piedi, morte perché abbiamo rinunciato ad andare avanti, morte perché abbiamo messo da parte anche i progetti belli della nostra vita.
Il punto più delicato del Vangelo è proprio qui: rischiamo di soccombere a migliaia, a milioni. Vi farò pescatori di uomini. Riportiamo l’attenzione agli uomini, non dice di Dio, ma di uomini. Stiamo annegando in un modo nell’altro,  sul luogo della disperazione, angoscia, stanchezza, rinuncia … ma prendiamoci cura degli uomini.
Il Vangelo ci inviata a prenderci cura degli uomini, a tirarci in salvo, ad aiutarci a vicenda anche se tante volte non sappiamo cosa fare. E qui c’è la sfida del vangelo di oggi che ci dice: non ti preoccupare, fai quello che puoi, provaci con la parola, tanto per cominciare. Il tema della parola dalla prima lettura, alla seconda e poi al Vangelo… che strumento ha avuto Gesù? Ha avuto organizzazioni alle spalle? Ha avuto apparati alle spalle? Ha avuto uffici? Competenze particolari? Gesù non ha avuto niente: l’unico strumento la parola, la sua parola e le sue mani. Sempre la parola, qualche volta anche toccare con le mani, accompagnare con il gesto.
La parola, quella di Dio che ci è stata data, la nostra parola è quella che ci proviene da Dio perché noi somigliamo a Dio quando parliamo e se questa parola è creativa, se questa parola è ricreativa allora somigliamo per davvero a Dio. Se invece la usiamo per farci del male, per distruggerci allora è parola che muore, che porta alla morte. È importante questo fatto che al centro del Vangelo non ci sono strutture, non ci sono – ripeto – organizzazioni ma la forza della parola. Gesù disse a quelle persone: riprovateci di nuovo, non vi preoccupate, questa volta non siete soli, ci sono anche io con voi.
Ritorniamo dove abbiamo tolto le speranze, dove abbiamo chiuso o ci siamo chiusi. La parola stessa è già il contenuto della nostra salvezza: dire ad una persona: ti voglio bene  già significa salvarla, non dobbiamo produrre chissà quale effetto quasi che la parola magicamente debba fare chissà che cosa.
La parola che vuole bene, la parola che si mette accanto, la parola che costruisce insieme con gli altri, questa è parola di Dio. La parola del Vangelo che fruttifica anche attraverso la pochezza della nostra persona. Ma guardate che la parola è immensa, è immensa. La parola si attinge a Dio che ce la ispira perché sia espressione di amore, di  servizio, di vicinanza, di liberazione da questo affogamento in cui rischiamo tutti di galleggiare, perché in qualche modo ci risucchiamo tutti a vicenda. Non è questione di sapere nuotare, siamo a mare tutti.. come diciamo noi.
E Gesù dice: Fatevi pescatori di uomini. Facciamoci, non solo Pietro, tutti pescatori di uomini, tutti. Tutti coloro che sanno fare qualcosa di buono per gli altri, facciamolo! Non c’è bisogno di Pietro, non c’è bisogno di autorità, se sappiamo fare qualcosa di buono tiriamoci fuori dalle secche di questa società che ci obnubila, che ci addormenta, che ci affoga e ci sta facendo affogare.
Siamo chiamati ad un’esperienza di libertà, finalmente fuori dalle acque insidiose, pericolose, soffocanti per respirare e tirare fuori altri. E questo è quello che ci viene annunciato dal Vangelo. I pesci non sappiamo che fine hanno fatto: una volta pescati qualcuno li avrà mangiati, ma non se ne parla più. Quello che invece ci viene detto è lascia stare i pesci, non sii muto come un pesce, parla. Dì la tua parola, non è detto che il silenzio è d’oro. Qualche volta il silenzio è d’oro, ma la parola è chiamata ad essere d’oro, quella giusta al momento giusto, espressione di amore, di affetto, di vicinanza, di condivisione, di reciproca appartenenza.

(il testo non è stato rivisto dall'autore, don Cosimo Scordato: pertanto eventuali errori o omissioni sono della scrivente, Ornella Giambalvo, che si assume la responsabilità delle eventuali imprecisioni e manchevolezze della trascrizione)

venerdì 15 febbraio 2013

Nostra Signora e il Moto perpetuo


Il fatto è che lei vorrebbe riposare un po’ prima: da viva. 
Non ha mai tollerato l’augurio di “eterno riposo” per i defunti: cosa vuoi che faccia un cadavere se non riposare, ha sempre, con irriverenza, pensato.
E invece la sua vita, da ovunque lei possa squadrarla, è sempre stata un grande cantiere, con pochi lavoratori all’attivo. E davvero non sa con chi prendersela, per le troppe commesse: se col Padreterno, col destino, col caso. O con se stessa: che accetta gli straordinari e non chiude nessuna bottega. E pretende persino di far le cose per bene, come le ha insegnato, in un tempo remoto, papà.
Con papà, Maruzza imbronciata dopo la varicella

 (Io la preghiera per i morti la formulerei così:
La vita eterna dona loro, Signore.
E splenda ad essi la luce perenne.
Che siano in pace e letizia,
Amen.)

giovedì 14 febbraio 2013

Balla senza lupi

Oggi alle 16.00 sarò a lavorare a scuola...
Aderisco idealmente all'iniziativa:

ONE BILLION RISING
tutti in piazza a ballare contro la violenza sulle donne!


“Il 14 febbraio tutto il mondo vedrà innumerevoli esseri umani manifestare in modo nonviolento contro la violenza sulle donne. Questa mobilitazione nonviolenta globale coglie la questione politica decisiva che l'umanità ha di fronte: far cessare la violenza maschilista.
Enunciamo ancora una volta questa semplice verità di cui ogni persona dovrebbe essere consapevole: solo se si riuscirà a contrastare ed abolire la violenza maschilista e femminicida sarà possibile riuscire ad abolire le guerre, impedire la devastazione della biosfera, difendere e promuovere i diritti umani di tutti gli esseri umani, ottenere dignità e giustizia per tutti gli esseri umani, rispetto e protezione per l'intero mondo vivente.
Viviamo in un mondo in cui, come recita l'incipit del motto dell'iniziativa del 14 febbraio, "Una donna su tre nel corso della propria vita subisce violenza": sono un miliardo di donne. Che un miliardo di donne, e con loro tutti gli uomini che non vogliono più essere complici della violenza maschilista e che all'ascolto e a sostegno del movimento delle donne hanno deciso di collocarsi, il 14 febbraio scendano in strada in tutte le città del mondo ad affermare la propria e comune umanità; l'opposizione alla violenza, al maschilismo e al patriarcato; la scelta nonviolenta della solidarietà, della responsabilità, della liberazione di tutti gli esseri umani.”

(dal quotidiano telematico "Non violenza in cammino" del 13.2.2013)

martedì 12 febbraio 2013

S'i fossi Eulalia ...

Maruzza a un anno, lei nonviolenta vestita da cow/baby!

Mamma ogni tanto lo ripeteva, a nostra Bimbetta: ti avremmo chiamata Bernadette[1], se tu fossi nata il giorno prima. Da piccina educata, lei non reagiva: ma quel nome così lungo, davvero non le piaceva.
Quell’altro, invece, la affascinava. Sarebbe stata la cosa più semplice: chiamarla come la martire venerata nel suo giorno di nascita. Ma il conflitto di interessi era troppo forte: pur se santa di tutto rispetto[2], non poteva competere con l’appellativo della Vergine Madre e l’Antonietta della nonnina dagli occhi cerulei.
Però, di quel nome vergato il dodici sul calendario,  nostra figliola amava il suono - la E iniziale, flessuosa e gentile, nel regno della liquida Elle, sovrana assoluta tra le vocali - ed il senso, che da una lingua antica le si era nel tempo svelato: Colei che parla bene.
Nostra Signora, intanto cresciuta, se una cosa aveva imparato, era a farle danzare con brio, le benedette parole. Che non si stancava di usare e, soprattutto, di scrivere: a dritto e a rovescio. Prima e dopo i pasti. Al lavoro e a casa. Al giornale e nel blog. Con tono deciso o sussurrate appena appena.
Così, alla girandola dei suoi tanti nomi, le piacerebbe aggiungere: Eulalia.

(Anche se non ci azzecca con la santa di Barcellona, vi propongo Eulalia Torricelli da Forlì, con la voce intensa di Gabriella Ferri)




[1] L’11 febbraio si ricorda l’apparizione della Madonna a Lourdes  a Bernadette Soubirous, mentre la ragazzina pascolava le pecore.
[2] Sant’Eulalia di Barcellona (290-303), che subì il martirio a 13 anni sotto l’imperatore Diocleziano. Il martirologio romano la venera il 12 febbraio.

domenica 10 febbraio 2013

Oro blu

       Metti che una famiglia media utilizzi la lavatrice un giorno sì e uno no. Metti che ogni ciclo preveda almeno due o tre risciacqui. Metti che l’acqua degli ultimi due risciacqui, abbastanza pulita e magari profumata con l’ammorbidente, venga raccolta in un apposito recipiente, trasportata nel bagno e poi utilizzata come acqua di scarico per il w.c. 
        E’ vero: l’operazione comporta un po’ di fatica: ma è alla portata delle casalinghe volenterose, nelle cui case la lavatrice è, in genere, assai vicina al bagno, se non accanto ad esso. E allora ho un sogno ecologico: che gli abitanti della mia Palermo si convertano al riuso delle acque di risciacquo della lavatrice per la pulizia del water. Che la mia città, nel futuro prossimo, possa salire agli onori della cronaca perché sarà la prima città italiana a non sprecare preziosa acqua pulita per accompagnare la pipì nel suo viaggio alla fogna.

Maria D’Asaro ,“Centonove”, pubblicato l'8.02.2013

venerdì 8 febbraio 2013

Se una sera d'inverno, dopo gli scrutini ...


.... torni a casa, sotto un cielo avaro di stelle,  e a un tratto ripensi a tuo padre. Lo vorresti  di nuovo con te, aperta la porta. Chissà invece che cosa ne è stato, del tuo papà. Ma non puoi tenerlo in prigione, nella tua mente. Ti balena l’idea che papà era anche un bambino, un sarto, un marito, un politico, che amava la lirica e i libri. Non puoi confinarlo nel ruolo di padre, dovunque egli sia.
Non incontri nessuno per strada. Neppure il ladro temuto dalle colleghe. Prima hai chiuso la scuola, con Caterina. Ti manca la preside: un freddo incredibile, il lavoro senza di lei. Il freddo c’è anche per strada. Non ti dispiace: ti senti viva. Ora fai il solito gioco di chiudere gli occhi e camminare: stasera non ti riesce, c’è troppo buio. Ti vergogni un pochino perché pensi all’amica che gli occhi chiusi ora li tiene per forza. Il blog, Pippi, Silvia, che sta a san Francisco e traduce. Ogni lingua è un’anima, all'università ti ha detto una volta qualcuno. Lo farai, prima o poi, il post su Marguerite e le sue memorie.
 “Solo due ciabattine”, al panificio. Un messaggino ti dice che lassù va tutto bene: sorridi. A casa, il pigiama felpato è sicuro conforto. Tuo figlio ti guarda,  sghignazza e fa un verso da matto.
Così, tra queste amenità, spumeggia il pensier tuo.
E scribacchiar t’è dolce, in questi mari.

giovedì 7 febbraio 2013

Pronto soccorso on the road


Nello stato di dissesto delle strade cittadine, anche a piedi ci si muove a fatica. Può capitare allora che, in questa Palermo che è tutto un cantiere mal governato, una domenica sera tu inciampi in una recinzione mal sistemata. Rovini per terra: borsa e occhiali schizzano via. Fatichi a rialzarti. Per fortuna, da un furgone che vende pane per strada, ti vengono incontro tre premurose figure: un ragazzo, un bambino, un uomo fatto. Quest’ultimo ti chiede con tono gentile: Si è fatta male? Ce la fa a camminare? S’avissiru a denunciari chiddi chi lassano i cantieri così.  Intanto il ragazzo raccoglie le tue cose sparse per strada. Il bambino ti guarda con un dispiacere che sa di famiglia. Ti rialzi. Non hai niente di rotto e ti avvii zoppicando a casa tua. Ringrazi ancora i tre sconosciuti: neanche i tuoi figli ti avrebbero trattata con tanto riguardo.
Maria D'Asaro ("Centonove", 1.2.2013)

lunedì 4 febbraio 2013

La felicità della poesia

Matisse: La gioia di vivere
Tra le cose che migliorano la nostra vit, c'è la poesia.
Ecco alcune riflessioni sul valore della poesia, riprese dal blog dell'amica Louise.

   "Quando sento dire che la poesia è un lusso, o un'opzione, un prodotto riservato alla classe media colta, che non dovrebbe essere letta a scuola perché non è essenziale, tutte le cose stupide e bizzarre che si dicono sulla poesia e sul posto che occupa nelle nostre vite, mi viene il sospetto che la gente che parla così abbia avuto la vita facile. Una vita dura ha bisogno di una lingua dura perché duro è il linguaggio della poesia. Ecco cosa ci offre la letteratura: una lingua che ha il potere di dire le cose come stanno. Non è un luogo dove nascondersi. E' un luogo dove ritrovarsi.  (...) 
      Credo nei racconti e nel potere delle storie perché ci permettono di parlare una lingua sconosciuta. Non veniamo ridotti al silenzio. Tutti noi, quando subiamo un trauma, ci ritroviamo a esitare, a balbettare; ci sono lunghe pause nel nostro discorso. Ci è impossibili esprimere quel che abbiamo dentro. E possiamo reimpossessarci della nostra lingua solo attraverso la lingua degli altri. Possiamo rivolgerci alla poesia. Possiamo aprire il libro. Qualcuno è stato lì per noi e ha scandagliato le parole."  (J.Winterson2012. Perchè essere felice quando puoi essere normale, Mondadori, pp.18,44) 
    Perché, come afferma Gaston Bachelard: La poesia contiene una felicità che gli è propria, qualunque sia il dramma che essa debba illuminare (La poetica dello spazio, 1957

sabato 2 febbraio 2013

S.E.D.: Serve Empatia (ben) Dosata



In prima media quest’anno è venuta Marianna: corpicino da scricciolo, capelli neri dal taglio ancora da bimba; occhi grandi da cerbiatto spaventato, sempre pronti a un pianto senza un’apparente ragione. Marianna, che sa leggere appena appena e sa fare solo calcoli semplici, ha una docente di sostegno. La ragazzina è stata accolta con sincero affetto da insegnanti e compagni. A differenza del passato, viene a scuola volentieri e, superato l’impatto con la nuova classe e i nuovi insegnanti, ormai i suoi occhi, anziché alle lacrime, si schiudono a qualche sorriso.
Qualche settimana fa, l’equipe di neuropsichiatria infantile che segue l’alunna ha proposto alla famiglia l’aiuto di un’educatrice domiciliare pagata dal Comune.
Ma: - Mio marito non è d’accordo … - confessa la madre di Marianna alla psicopedagogista di scuola. E aggiunge che era contrario anche al riconoscimento ufficiale della disabilità della figlia. – Perché mio marito è duro, è testardo … A casa non c’è mai, perché fa il camionista. Torna, quando torna, anche alle nove di sera … Però vuole comandare lui.
- Possiamo provare a parlarne insieme? – chiede la psicopedagogista.
Così, un sabato mattina, si presentano entrambi. Lei è un donnone dal viso enorme e dagli occhi sbarrati, che parlano anche se la bocca sta zitta. Lui è alto e magro, con un orecchino alla moda all’orecchio sinistro. - Perchè non vuole l’educatrice domiciliare? – chiede l’operatrice scolastica. – Posso assicurarle che dal Comune invieranno una donna, che avrà il massimo rispetto della sua casa e della sua famiglia. I modi e gli orari della sua presenza saranno concordati con sua moglie. Marianna sarà aiutata nel fare i compiti, a leggere meglio, a essere più serena e sicura … -
Il papà guarda la psico-pedagogista. Si scioglie in quattro e quattr’otto: racconta delle sue bocciature, della sua non volontà di studiare, dei suoi problemi a scuola: - Mia figlia è uguale a me … a che le serve avere un aiuto? - La psico-psico lo esorta a pensare a una figlia più brava e capace, che sappia arrangiarsi da sola a fare la spesa, che sappia contare i soldi di resto, che in futuro riesca a seguire un pochino i figli che forse avrà pure lei. Il papà sembra persuaso. – Allora la chiami tu, lunedì, la dottoressa dell’ASL? – conclude rivolto alla moglie.
E quindi, per Marianna via libera al Servizio Educativo Domiciliare.
Serviva solo un po’ di empatia ben dosata, perchè dicesse di sì quell’uomo tutto d’un pezzo che è suo papà.