Chi mi legge sa che, a differenza di chi si definisce "credente, ma non praticante", io sono credente a zig/zag, ma praticante.
Ecco, sia audio che trascritta, l'omelia ascoltata domenica scorsa nella chiesa di san Francesco Saverio, a Palermo. Autore: don Cosimo Scordato.
C’era una
piccola cooperativa costituita da Zebedeo, Giacomo, Giovanni e Pietro. Erano
soci, lavoravano insieme sulle rive del lago Genesaret. Lago molto pescoso e su
questo lago c’è anche la città di Betsaida, da dove proviene Pietro. Betsaida significa casa della pesca perché erano tutti pescatori e vivevano di pesca.
Attenzione a questa narrazione del Vangelo perché la nostra attenzione potrebbe
essere richiamata, forse erroneamente, su questa pesca straordinaria: andò male
la pesca quella notte, poi riprovano e questa volta la pesca va bene. La nostra
attenzione potrebbe fermarsi a questo bel risultato raggiunto: avevano pescato
molti pesci, quasi che si risolve in questo modo il problema… qualche volta non
funziona e qualche volta funziona in maniera meravigliosa. Gesù avrebbe fato
una pesca miracolosa, avrebbe dato una soluzione per tre quattro giorni.
Il brano del
Vangelo non ha intenzione di spostare la nostra attenzione o di bloccare la
nostra attenzione sulla pesca miracolosa,
su questo avvenimento che per la cooperativa di Pietro poteva essere un buon
risultato. Tant’è vero che il Vangelo si chiude non andando a vendere il pesce,
il Vangelo si chiude dicendo “lasciarono
le reti, tutto e lo seguirono”.
Il Vangelo
comincia dove a noi sembrava che stesse terminando perché Gesù è preso da un’altra
questione: intanto quella di rapportarsi in maniera frontale con i pescatori e
quando Pietro sprofonda dinnanzi a lui in ginocchio per dire: non sono degno, Gesù non solo lo
risolleva ma addirittura gli dice “Pietro
non mi trattare così, non creare distanza fra me e te, facciamo cose più belle
semmai, facciamo insieme cose più belle.” E cosa sono le cose belle?
L’immagine del
mare dove rischiamo di galleggiare un po’ tutti, dove rischiamo di morire un
po’ tutti in un modo o nell’altro, in questa condizione di grande pericolo con
la quale confiniamo continuamente e molta parte della nostra umanità è proprio lì
a boccheggiare in tutti i sensi, non solo per le difficoltà economiche, ma
boccheggiamo, abbiamo difficoltà a vivere, sopravviviamo a noi stessi, non
abbiamo voglia, sembra quasi che stiamo per soccombere, per annegare.
E Gesù ci dice..
vai, non ci accorgiamo che dobbiamo mettere
da parte i pesci, cioè qualcosa da conservare e vendere, per dare più importanza
alle persone? Non notiamo che abbiamo bisogno di aiutarci a vicenda, di
tirarci fuori da questa situazione di galleggiamento, da questa situazione di confine
fra la vita e la morte, una morte in tutti i sensi, morte nel cuore, morte perché
abbiamo rinunciato a resistere, lottare, a restare in piedi, morte perché
abbiamo rinunciato ad andare avanti, morte perché abbiamo messo da parte anche
i progetti belli della nostra vita.
Il punto più delicato
del Vangelo è proprio qui: rischiamo di soccombere a migliaia, a milioni. Vi farò pescatori di uomini. Riportiamo
l’attenzione agli uomini, non dice di Dio, ma di uomini. Stiamo annegando in un
modo nell’altro, sul luogo della disperazione,
angoscia, stanchezza, rinuncia … ma prendiamoci cura degli uomini.
Il Vangelo ci
inviata a prenderci cura degli uomini, a tirarci in salvo, ad aiutarci a
vicenda anche se tante volte non sappiamo cosa fare. E qui c’è la sfida del
vangelo di oggi che ci dice: non ti preoccupare, fai quello che puoi, provaci con
la parola, tanto per cominciare. Il tema della parola dalla prima lettura, alla
seconda e poi al Vangelo… che strumento ha avuto Gesù? Ha avuto organizzazioni
alle spalle? Ha avuto apparati alle spalle? Ha avuto uffici? Competenze
particolari? Gesù non ha avuto niente: l’unico strumento la parola, la sua
parola e le sue mani. Sempre la parola, qualche volta anche toccare con le mani,
accompagnare con il gesto.
La parola, quella
di Dio che ci è stata data, la nostra parola è quella che ci proviene da Dio perché
noi somigliamo a Dio quando parliamo e se questa parola è creativa, se questa
parola è ricreativa allora somigliamo per davvero a Dio. Se invece la usiamo per
farci del male, per distruggerci allora è parola che muore, che porta alla
morte. È importante questo fatto che al centro del Vangelo non ci sono
strutture, non ci sono – ripeto – organizzazioni ma la forza della parola. Gesù
disse a quelle persone: riprovateci di
nuovo, non vi preoccupate, questa volta non siete soli, ci sono anche io con
voi.
Ritorniamo dove
abbiamo tolto le speranze, dove abbiamo chiuso o ci siamo chiusi. La parola
stessa è già il contenuto della nostra salvezza: dire ad una persona: ti voglio bene già significa salvarla, non dobbiamo produrre
chissà quale effetto quasi che la parola magicamente debba fare chissà che
cosa.
La parola che vuole
bene, la parola che si mette accanto, la parola che costruisce insieme con gli
altri, questa è parola di Dio. La parola del Vangelo che fruttifica anche attraverso
la pochezza della nostra persona. Ma guardate che la parola è immensa, è
immensa. La parola si attinge a Dio che ce la ispira perché sia espressione di amore,
di servizio, di vicinanza, di
liberazione da questo affogamento in cui rischiamo tutti di galleggiare, perché
in qualche modo ci risucchiamo tutti a vicenda. Non è questione di sapere
nuotare, siamo a mare tutti.. come diciamo noi.
E Gesù dice: Fatevi pescatori di uomini. Facciamoci,
non solo Pietro, tutti pescatori di uomini, tutti. Tutti coloro che sanno fare
qualcosa di buono per gli altri, facciamolo! Non c’è bisogno di Pietro, non c’è
bisogno di autorità, se sappiamo fare qualcosa di buono tiriamoci fuori dalle
secche di questa società che ci obnubila, che ci addormenta, che ci affoga e ci
sta facendo affogare.
Siamo chiamati
ad un’esperienza di libertà, finalmente fuori dalle acque insidiose, pericolose,
soffocanti per respirare e tirare fuori altri. E questo è quello che ci viene
annunciato dal Vangelo. I pesci non sappiamo che fine hanno fatto: una volta
pescati qualcuno li avrà mangiati, ma non se ne parla più. Quello che invece ci
viene detto è lascia stare i pesci, non
sii muto come un pesce, parla. Dì la tua parola, non è detto che il
silenzio è d’oro. Qualche volta il silenzio è d’oro, ma la parola è chiamata ad
essere d’oro, quella giusta al momento giusto, espressione di amore, di affetto,
di vicinanza, di condivisione, di reciproca appartenenza.
(il testo
non è stato rivisto dall'autore, don Cosimo Scordato: pertanto eventuali errori
o omissioni sono della scrivente, Ornella Giambalvo, che si assume la
responsabilità delle eventuali imprecisioni e manchevolezze della trascrizione)