lunedì 14 luglio 2014

Intervista a Pino Manzella

(Ecco la mia intervista al pittore Pino Manzella, pubblicata su "Centonove" dell'11.7.2014 pagg.30,31)

Pino Manzella 
Pino Manzella: siciliano di Cinisi, professore di Lingua Francese, viaggiatore per passione: a 16 anni va a Parigi, poi a Vienna, Praga, Berlino, Atene, Istanbul, New York, Philadelphia, Washington. Scrittore mancato (a uno zio che a 5 anni gli chiedeva cosa volesse fare da grande, rispose senza esitare: voglio scrivere), ma con un talento speciale per la pittura: sue “personali” si sono tenute anche a Bari, Venezia, Bad Bevensen, Hannover, Lehrte, List, Giessen. A vent’anni – sono parole sue -  “facevo parte di quel gruppetto di marziani riunito attorno a Peppino Impastato, e disegnavo manifesti, vignette, copertine per giornaletti ciclostilati, le pareti del Circolo Musica e Cultura e i manifesti dei film che davamo al Circolo”.
Tu e Peppino: nel 1978, quando fu ammazzato, Peppino aveva 30 anni e tu 27. C’è qualcosa della tua amicizia con Peppino che va ancora raccontato?
Premetto che quando mi “chiamano” come amico di Peppino provo una sorta di disagio, quasi volessi appropriarmi di uno “status”: credo infatti che, negli ultimi anni, Peppino sia diventato il faro da cui troppa gente si vuole fare illuminare … Ho conosciuto Peppino intorno al ’68, quando la rivolta si respirava nell’aria. E’ difficile raccontare un’amicizia tra militanti impegnati insieme ogni giorno per tanti anni. Peppino nel ’68 aveva vent’anni, io diciassette. Era già impegnato in politica, nell’area dell’allora PSIUP (Partito socialista di Unità Proletaria). Lui era bravo con le parole, faceva comizi, scriveva poesie (ma questo lo scoprirò anni dopo), però non sapeva disegnare. Così quando c’era qualcosa da illustrare, ci pensavo io: vignette che facevano incazzare i fascisti, manifesti che talvolta ci portavano davanti ad un magistrato, una ventina di manifesti disegnati a mano, una mostra dei PID (“Proletari in divisa”), che fece il girò di mezza Sicilia. E poi c’era la vita quotidiana: le discussioni politiche interminabili, le giornate al mare, i libri che ci scambiavamo; Peppino amava i saggi di politica e società, io preferivo romanzi e poesia. Con Peppino, andai a Roma per una manifestazione; andammo insieme a Marsala, per il primo concerto di Fabrizio De André in Sicilia. Allora non c’era ancora l’autostrada e al ritorno sbagliammo un incrocio: arrivammo a casa l’indomani mattina! Ma erano sempre attività di gruppo, non c’erano né amici più cari né bracci destri particolari: tutto si faceva insieme. Peppino aveva un giro di compagni e amici che cambiava nelle varie fasi della sua vita.

Di Peppino sappiamo del rapporto speciale con sua madre, Felicia Bartolotta Impastato. Ma  poco o niente della sua vita sentimentale: Peppino è mai stato innamorato? Che posto avevano i sentimenti nella sua vita così piena di impegno civile?

Dici bene: la vita di Peppino era fatta soprattutto di impegno civile e politica. La sua vita sentimentale è stata sempre un mistero anche per noi suoi amici. Dai suoi pochi appunti autobiografici e dalle poesie abbiamo saputo di qualche suo innamoramento, ma era come se relegasse l’aspetto affettivo della sua vita in una zona inaccessibile e apparentemente ininfluente. Come d’altronde aveva fatto per le lacerazioni degli affetti familiari, che all’apparenza poco influenzavano il suo impegno politico. Oggi sappiamo che non era così.

Fa impressione vedere nel video della canzone “I Cento passi” dei Modena City Ramblers il funerale “cinematografico” di Peppino: tu sei in prima fila, con il pugno alzato. La domanda è forse banale: cosa si prova quando uno dei tuoi più cari amici viene ammazzato dalla mafia?

Si prova rabbia, una rabbia immensa e impotente. Una rabbia che ti porti dentro e ti avvelena il sangue perché con gli anni diventa astio verso quella parte dei tuoi compaesani che allora, per quieto vivere e per viltà, fecero finta di credere ai carabinieri ed ai mafiosi. E che anche oggi, come alibi a quella viltà, continuano a trasmettere ai loro figli la memoria falsa di un Peppino pazzoide e poco di buono che “se l’era cercata”. Come se fosse normale accettare tutte le illegalità e le schifezze che imponevano i mafiosi e l’anomalia fosse Peppino che le denunciava. E poi c’è la rabbia verso quegli uomini delle istituzioni preposte alle indagini che invece depistano e fanno carriera. Ma, lo diceva Sciascia, lo Stato non può processare sé stesso.

A interpretare Peppino, nel film “I Cento passi”, il regista Andrea Giordana ha voluto il palermitano Luigi Lo Cascio. E’stata una scelta azzeccata? In generale, come giudichi “I Cento passi”? In che rapporto sono stati, dentro di te, il  vero Peppino e quello del film?

Luigi Lo Cascio nella parte di Peppino è stata un’ottima scelta perché Luigi è un attore bravissimo, si è calato nel personaggio in modo totale, anima e corpo. Curava anche i minimi dettagli: una sera, durante le riprese del film, mi telefonò per chiedermi del modo di camminare di Peppino. Gli dissi che, quando saliva per il corso principale di Cinisi, camminava radente al muro, guardando per terra. E quando gli raccontai di quella volta che aveva sbattuto la testa su una persiana aperta, scoppiammo a ridere. Sono certo che aver impersonato Peppino abbia influenzato, in qualche modo, la sua vita privata: e non parlo del successo e di quelle cose lì, credo che Luigi abbia anche interiorizzato la carica umana e l’impegno civile e politico di Peppino.

“I cento passi” ha certamente avuto il merito di far conoscere la storia di Peppino a livello nazionale e forse anche internazionale. Ma nel film si racconta un dramma familiare con parecchie invenzioni e con alcune deformazioni. Nell’estate del ’99, prima che iniziassero le riprese, ci avevano detto che volevano sentire le testimonianze degli amici, ma non se ne fece niente: solo Giovanni, il fratello di Peppino, e un amico, Salvo Vitale, lessero la sceneggiatura. Così un’esperienza unica e intensa come quella del Circolo Musica e Cultura viene liquidata con una scenetta dove il Circolo diventa un posto dove si vede qualche film e dove si balla. In realtà vi si ballò una sola volta, nel carnevale del 1977. Il Circolo invece svolse un’intensa attività culturale, quasi giornaliera, fatta di cinema, dibattiti, spettacoli teatrali e musicali, mostre fotografiche e di pittura. Si riuscì persino a organizzare un festival alla spiaggia Magaggiari, il raduno “Nuove Tendenze”. Salvo Vitale, che fu vicino a Peppino solo nella fase finale, ai tempi di Radio Aut (prima insegnava in Sardegna), viene presentato quasi come “braccio destro” di Peppino. Invece, non c’era nessun braccio destro, ma c’erano tanti amici e compagni: Agostino Vitale, che collaborò  con Peppino ai tempi del giornale “L’idea socialista”, Vito La Duca, Guido Orlando …  Era nella logica degli anni ’70 fare le cose insieme, allora non c’erano personalismi, c’era la logica del collettivo. Un’altra inesattezza del film è l’enfatizzazione del rapporto col pittore Stefano Venuti e col Partito comunista: in realtà Peppino e tutti noi eravamo “movimentisti”, più libertari, non “ingabbiati” nel PCI ma più vicini a gruppi come Lotta Continua prima e Democrazia Proletaria dopo.

Dopo tutti quegli anni di isolamento (alle commemorazioni, il 9 maggio, eravamo 20, 30 persone al  massimo, senza nessun rappresentante delle Istituzioni), quando uscì il film, nel 2000, fummo contenti che la figura di Peppino venisse riconosciuta a livello nazionale e soprassedemmo su invenzioni e deformazioni. Per molti ormai Peppino è quello del film: magari diventa, di volta in volta, “giullare dell’antimafia”, “giornalista”, “poeta”, e ci si dimentica che era un militante politico rivoluzionario, come si diceva allora. E poi si utilizzano frasi del film come se le avesse dette veramente lui. Una precisazione, forse banale: se non ricordo male in quel famoso articolo la mafia per Peppino non era una montagna, ma una valanga di merda … Definizione forse più incisiva e travolgente. Dentro di me, per un po’, il Peppino cinematografico e quello vero hanno fatto a pugni. Ora riescono a convivere, ma io so chi è il vero Peppino.

La mafia e il controllo del territorio: cosa è cambiato, a tuo avviso, a Cinisi dalla fine degli anni ’70 ad oggi? Quali battaglie farebbe oggi Peppino in Sicilia e in Italia?

Negli anni ’70 si sapeva chi era il capomafia, chi gli girava attorno. La mafia oggi si mimetizza, non la vedi più come allora, ora è tutta economia. Ma di questo ormai so quello che leggo sui giornali. Certo in un piccolo centro è più facile vedere certe cose, ma puoi solo sospettare … E chi può dire come sarebbe evoluto il suo modo di guardare alla realtà siciliana? Certo, se penso ad una sua coerenza con quello che pensava allora, oggi lo vedrei a suo agio con i NO MUOS, con i NO TAV e in tutte le lotte in difesa dell’ambiente, a fianco dei precari, dalla parte dei più deboli. Sempre in prima fila contro arroganza e prepotenza.

Conosci bene i ragazzi perché hai insegnato Lingua Francese a Cinisi nella scuola media per tanti anni. Quale è, secondo te, la migliore didattica antimafia?

Bufalino diceva che contro la mafia bisogna schierare un esercito di maestri. Aveva ragione: soprattutto maestri, prima che professori. Quei cinque anni di Scuola Elementare sono fondamentali. E’ lì che bisogna lavorare, alla Scuola Media potrebbe essere già tardi. La nostra scuola ha in sé la capacità di formare degli ottimi cittadini, ma spesso abdica al suo ruolo, tralasciando certi argomenti come la mafia e affidandosi alla buona volontà di qualche insegnante, senza una coerente e globale didattica antimafia. Se insegni in un paese come Cinisi, hai un punto di osservazione privilegiato. Cinisi ha ancora solidissime radici mafiose e sicuramente la scuola che ho conosciuto io non faceva abbastanza. Ti racconto solo due particolari: nel 1995 abbiamo chiesto di intitolare a Peppino l’aula magna della scuola media: ci sono voluti più di dieci anni perché la richiesta fosse accettata. E poi a scuola, quando parlavo di antimafia poteva capitare qualcuno a ricordarmi, magari con il sorriso in bocca, che la mia materia era il Francese

Quando hai iniziato a dipingere? Quanto l’assassinio di Peppino ha influenzato la tua opera di pittore?

Mi pare di aver sempre dipinto, ma sicuramente con più continuità dall’adolescenza. L’assassinio di Peppino si inserisce in un contesto schiacciato tra chiesa, mafia e clientelismo democristiano. Mafiosi e amministratori corrotti con la benedizione della chiesa. Non è un caso che Leonardo Pandolfo e Gaetano Badalamenti facessero parte del Comitato per i festeggiamenti di Santa Fara … Per cui vedevo questa comunità immersa nell’egoismo e nell’ipocrisia. Tutto questo ha influenzato la mia vita e quindi anche il mio modo di guardare alla pittura. All’inizio il disegno non era solo disegno, ma il tentativo di raccontare un luogo dal mio punto di vista, il mio modo di interpretare e di capire la realtà in cui vivevo. Voleva essere uno sguardo critico, una denuncia della realtà così com’era, quasi una spinta a cambiarla. Perché quasi subito ho scoperto che c’erano troppe cose che non mi piacevano e cercare di cambiarle disegnando era la cosa più bella che mi potesse capitare.

La tua è una tecnica particolare: spesso disegni con china acquerellata su vecchi fogli di archivi destinati al macero. Un critico d’arte, Claudio Alessandri, scriveva che “Gli antichi documenti vergati con calligrafia minuta ed ordinata richiamano dalle ombre un passato nebuloso, ma abbastanza visibile per accostarlo alla storia recente. Un unico filo collega due mondi temporalmente lontani, ma emotivamente attuali. Manzella scrive con le sue opere la storia recente lasciando agli antichi documenti, supporto delle sue opere, il compito di far rivivere il passato.”: ti riconosci in questa definizione?

Si, abbastanza: il mio amico Claudio Alessandri, purtroppo scomparso qualche anno fa, conosceva bene il mio percorso artistico, per cui quello che scriveva sulla mia pittura era sempre molto pertinente.

Sul tuo percorso artistico, scrive anche il presidente del Centro di documentazione Peppino Impastato, Umberto Santino, che ha fatto tanto perché fosse riconosciuta la verità storico-giudiziaria su Peppino. Umberto scrive Tu, come un antico miniaturista, animi di colori vecchi manoscritti finiti al mercato delle pulci, atti notarili che registrano nozze e compravendite su svolazzi d’inchiostro ancora leggibili …

Nei miei disegni cerco di rappresentare la Storia e la società, specie quella siciliana. Alcuni miei dipinti vogliono essere un omaggio alla letteratura. Ad esempio, i ritratti di Consolo, Sciascia, Bufalino, Borges sono concepiti dopo una full-immersion nelle loro opere. Dipingere è per me riflettere graficamente sulle tensioni, sui drammi, sugli eroi e sulle vittime della nostra isola. Senza dimenticare la luce abbagliante della nostra isola.

Cosa conterrà e dove sarà la tua prossima mostra?

Con il murale “Il filo rosso della memoria” fatto all’interno della Casa Museo “Felicia e Peppino Impastato” ho iniziato un nuovo ciclo in cui la Memoria diventa l’elemento da salvaguardare, in quest’epoca smemorata dove si vive solo al presente e non c’è né il passato né il futuro. Questo ciclo è diventato mostra itinerante all’interno di varie scuole e Comuni non solo siciliani (ultimamente Salerno, Roma e Macomer nell’ambito del Festival della Legalità “Conta e cammina”). Nel futuro prossimo, c’è la mia partecipazione, con due opere de “Il filo rosso della memoria”, a una “collettiva” a Berlino, organizzata da RicercArte di Naire Feo e Bartolo Conciauro. Mentre in Sicilia, ad Alcamo, in questi giorni c’è stata un’altra collettiva dal titolo “Aspetti architettonici e paesaggistici siciliani”, organizzata dalla Galleria d’Arte Studio 71 di Francesco Scorsone e da EMIRO ARTE di Sebastiano Caracozzo, mostra che poi andrà in giro in diverse città siciliane e dal 19 luglio sarà al Museo degli Angeli di Sant’Angelo di Brolo, in provincia di Messina.

Ancora Santino, in una recensione delle tue opere, scrive: “Il tema è ancora la Sicilia, o meglio le Sicilie, con tutte le sue contraddizioni, con i suoi miti e i suoi stereotipi, ma pure con le sue semplici, quotidiane, umili e preziose, speranze-certezze.” Quali sono i tuoi progetti artistici futuri? Cosa vuoi dipingere ancora?

Senza trascurare i paesaggi naturali e notturni, altra cifra espressiva a cui sono legato, continuerò a dipingere opere legate alla nostra Storia, privilegiando il filo rosso della memoria e del ricordo. Continuerò a mettere assieme letteratura, impegno e pittura, perché sono dimensioni inscindibili dentro di me. Affiancherò ai ritratti di scrittori famosi anche quelli di gente comune e sconosciuta, perché ognuno di noi ha la dignità di soggetto storico.

Maria D’Asaro (“Centonove” n. 27 dell’11.7.2014, pagg. 30,31)

  

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4 commenti:

  1. Che personaggio affascinante. Grazie di avercelo fatto conoscere!

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  2. @Silvia: grazie dell'attenzione e dell'apprezzamento! Pino (e Peppino ...) meritano davvero.

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  3. Non é più possibile leggere intero articolo perché continua su google drive e non da autorizzazione

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    1. Gent. Anonimo, grazie della segnalazione. Ho provveduto a riportare nel blog il testo integrale dell'intervista. Saluti cordiali.

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