Notre Dame de Paris: gargoyle |
Mt 25,35-40
Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.
(…)
La parola accoglienza è composta dalle particelle a, co e dal verbo lègere (raccogliere, mettere insieme). La particella a implica la vicinanza, il movimento verso l’altro, non solo e non necessariamente in senso fisico, ma per condividere qualcosa (l’abitazione, il tempo, lo spazio, il denaro, il lavoro, ecc.); e, facendo questo, (con) legarsi accorciando le distanze, mettendosi accanto con pari dignità con chi ti sta vicino e davanti. Non c’è accoglienza quindi senza relazione con l’altro e senza apertura all’altro. L’accoglienza è altro ed è più dell’ospitalità, presuppone l’ospitalità, ma non si riduce a essa. L’accoglienza mi spinge a farmi carico del mondo dell’altro: cultura, religione, appartenenza, storia… mettendolo in condizione di conoscere ed accogliere la mia cultura, religione, appartenenza e storia. Sta qui la fatica dell’accoglienza: è la reciprocità che non è mai un soave duetto; esige mettersi in gioco e mettere in gioco le proprie certezze e comodità. Vuol dire abbracciare le incertezze e le scomodità dell’altro. Accoglienza vuol dire, in una parola, costruire ponti per mettere in comunicazione due sponde, due persone o due gruppi che potrebbero avere posizioni opposte su questioni importanti. Ponti sufficientemente alti e solidi per non essere travolti ed abbattuti dalle valanghe dei pregiudizi e delle falsità. L’accoglienza è fatica se è intesa come accompagnamento paziente, tutela delle fragilità più o meno vistose e promozione di percorsi di reciprocità attraverso la conoscenza e l’assunzione di responsabilità. Chi decide di accogliere decide di andare oltre i confini delle proprie conoscenze e delle consuete sensibilità. Decidere di aprire cuore e intelligenza prima che le proprie braccia all’altro e al diverso. Non si improvvisa e non si può imporre. La si può però testimoniare. Accogliere responsabilmente è ginnastica quotidiana che aiuta a trasformare la mancanza in presenza, la lontananza in prossimità e la fatica in gioia condivisa.
(Don Nunzio Galantino)
“Ciò che conta non è fare molto, ma mettere molto amore in ciò che si fa”
Madre Teresa di Calcutta
“Prima di pensare a cambiare il mondo, fare le rivoluzioni, meditare nuove costituzioni, stabilire un nuovo ordine, scendete prima di tutto nel vostro cuore, fatevi regnare l’ordine, l’armonia e la pace. Soltanto dopo, cercate delle anime che vi assomigliano e passate all’azione”.
Platone
“Il fatto che l’uomo sia capace d’azione significa che da lui ci si può attendere l’inatteso, che è in grado di compiere ciò che è infinitamente improbabile”.
Hanna Arendt
“Se ognuno fa qualcosa si può fare molto”. p. Pino Puglisi
“Trovo che se sto pensando ai miei problemi e al fatto che a volte le cose non sono come desidero che siano, non faccio alcun progresso. Ma se mi guardo attorno e vedo cosa posso fare, e lo faccio io progredisco”.
Rosa Parks
“Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”.
San Francesco d’Assisi
“È sempre il momento giusto per fare quello che è giusto”. Martin Luther King
Dio di misericordia, Ti preghiamo per tutti gli uomini, le donne e i bambini, che sono morti dopo aver lasciato le loro terre in cerca di una vita migliore. Benché molte delle loro tombe non abbiano nome, da Te ognuno è conosciuto, amato e prediletto. Che mai siano da noi dimenticati, ma che possiamo onorare il loro sacrificio con le opere più che con le parole.
Ti affidiamo tutti coloro che hanno compiuto questo viaggio, sopportando paura, incertezza e umiliazione, al fine di raggiungere un luogo di sicurezza e di speranza. Come Tu non hai abbandonato il tuo Figlio quando fu condotto in un luogo sicuro da Maria e Giuseppe, così ora sii vicino a questi tuoi figli e figlie attraverso la nostra tenerezza e protezione.
Fa' che, prendendoci cura di loro, possiamo promuovere un mondo dove nessuno sia costretto a lasciare la propria casa e dove tutti possano vivere in libertà, dignità e pace. Dio di misericordia e Padre di tutti, destaci dal sonno dell'indifferenza, apri i nostri occhi alle loro sofferenze e liberaci dall'insensibilità, frutto del benessere mondano e del ripiegamento su se stessi. Ispira tutti noi, nazioni, comunità e singoli individui a riconoscere che quanti raggiungono le nostre coste sono nostri fratelli e sorelle.
Aiutaci a condividere con loro le benedizioni che abbiamo ricevuto dalle tue mani e riconoscere che insieme, come un'unica famiglia umana, siamo tutti migranti, viaggiatori di speranza verso di Te, che sei la nostra vera casa, là dove ogni lacrima sarà tersa, dove saremo nella pace, al sicuro nel tuo abbraccio.
(Papa Francesco)
Ho letto che i gargoyle avevano molte funzioni simboliche (come sempre nel Medioevo) tra le quali quella di proteggere le chiese. In questa prospettiva l'immagine del gargoyle - dopo l'incendio spaventoso e doloroso di Notre Dame - e i piccoli gesti che ognuno di noi può fare per salvare una piccola porzione di mondo, si accordano e si sostengono a vicenda.
RispondiEliminaUn grande abbraccio da parte mia e di mio marito. Buona Settimana santa e buona Pasqua.
@Rossana: ricambio di cuore gli auguri di Buona Pasqua! Un abbraccio cordiale.
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