Ecco, in questo scampolo di quarantena, la mia provvisoria top/ten di libri necessari, che include anche testi di saggistica:
1.Le memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar
2.Caduto fuori dal tempo di David Grossman (qui la recensione)
3.Le città invisibili di Italo Calvino
4.Se questo è un uomo e I sommersi e i salvati di Primo Levi
5.Lessico familiare e Le piccole virtù di Natalia Ginzburg
6.Amico, nemico, amante di Alice Munro (qui la recensione)
7.Romanzo civile di Giuliana Saladino
8.Mosaici di saggezze di Augusto Cavadi (qui la recensione)
9.Sulla felicità e dintorni di Giovanni Salonia (qui la recensione)
10.Conflittualità nonviolenta di Andrea Cozzo
Palermo – Correva l’anno 2017. Allora il coronavirus non c’era e, dall’asilo alle superiori, ogni mattina tutti i ragazzi andavano a scuola.
Tra loro, i ventidue alunni di una classe vispa e gagliarda: la terza N di una scuola media palermitana. Si era già a marzo e i ragazzi sapevano tutto dell’ascesa del fascismo in Italia, della presa del potere di Hitler in Germania e della sua politica aggressiva. Insomma, lo studio della seconda guerra mondiale era alle porte. Alla loro insegnante venne un’idea: “C’è qualche nonno, zio, nonna che ha vissuto durante la seconda guerra mondiale e verrebbe a raccontarci la sua esperienza?”. Dopo qualche istante di silenzio, Elide alzò la mano e: “Prof., posso chiedere a mio nonno: a me ha raccontato già un po' di cose …”
Qualche giorno dopo, in cattedra c’era nonno Cosimo, accompagnato dalla moglie Grazia. Così, Gaia, Giovanni, Laura, Elide, Domenico, Mirko, Claudia e gli altri compagni hanno assistito alla più avvincente lezione della loro vita scolastica.
Nonno Cosimo è stato capace infatti di far sentire il respiro della Storia partendo dalla Catania degli anni ’30, dove era nato il 21 febbraio del 1935, in una famiglia felice, da Stella Agatina Grasso e da Alfio Costa.
Papà Alfio era un uomo dal carattere allegro, capace di suonare fisarmonica e mandolino, ed era impiegato presso la Società Catanese di Elettricità - la più grande delle imprese elettriche siciliane del tempo - come addetto alla guida e alla riparazione di autocarri.
C’era però un problema: papà aborriva la violenza del regime fascista e non aveva preso la tessera del partito. E pagò a caro prezzo purtroppo la sua scelta coraggiosa: fu licenziato. Dopo aver cercato con ogni mezzo un altro lavoro, fu costretto dal partito fascista ad andare addirittura in Eritrea, in Africa Orientale, dove fu assegnato alla guida di autocarri per trasporti fra Asmara e Massaua, con uno stipendio che gli consentiva di mandare qualche risparmio alla famiglia.
Ma in Africa papà Alfio si ammalò ripetutamente di quella che era chiamata “febbre tropicale”. Si trattava in realtà di una “pleurite secca” consistente nella progressiva riduzione del liquido tra la pleura e i polmoni, a causa delle repentine variazioni climatiche. Nonostante la sua grinta e la sua voglia di vivere, morì in Africa il 24 ottobre 1939.
Mamma Agatina si trovò sola, senza alcun sussidio, a dovere sfamare cinque figli: Titina, Maria, Santo, Cosimo e la piccola Concetta. Ebbe una forza straordinaria nell’adattarsi a fare la lavandaia, la stiratrice e persino a lavorare in una fabbrica di conserve, mescolando per ore, con un cucchiaio di legno alto più di due metri, la passata di pomodoro bollente.
I due figli maschi intanto, Santo e Cosimo - nel 1940, rispettivamente di 10 e 5 anni – furono collocati in due diverse colonie fasciste, in paesini dell’entroterra catanese. Ecco, dal racconto di nonno Cosimo, qualche particolare di quell’esperienza: “Le colonie erano state create apparentemente per soccorrere le famiglie più bisognose, ma, nei fatti, servivano ad allevare una classe di futuri soldati prelevati dalle famiglie più povere da mandare al macello in tutte le guerre che il regime prevedeva di scatenare, inculcando loro sin da piccoli tre parole: “Credere, Obbedire e Combattere” ed altri slogan subliminali come “Voi siete l'aurora della vita, voi siete la speranza della Patria, voi siete soprattutto l'esercito di domani”, oppure ancora: “Libro e moschetto, fascista perfetto”.
Allora: “Dal 1940 al 1943, dai cinque agli otto anni, fui sottoposto, assieme ai miei sventurati coetanei, ad una rigorosa educazione fascista. Ogni mattina, dopo la colazione, tutti i bambini in divisa di “Figli della Lupa” dovevano assistere impalati alla cerimonia dell’alzabandiera. Poi si andava in classe.” In colonia, la solitudine affettiva di Cosimo fu alleviata dall’amicizia calda e tenace con un bambino coetaneo, Egidio Pirrotta, che purtroppo non riuscì più a ritrovare alla fine di quell’esperienza.
Perché dalla colonia, nonno Cosimo, allora bambino di 8 anni, scappò con Egidio, dopo uno spaventoso bombardamento nell’estate 1943. Dopo aver percorso a piedi i paesi di Zafferana Etnea, Trecastagni, Viagrande, San Giovanni La Punta, Sant’Agata Li Battiati, ed essere passato accanto a voragini scavate dalle bombe, cadaveri di civili e di militari in divisa, si ritrovò infine a Catania.
Dove ritrovò la sua famiglia e cominciò a lavorare, a soli nove anni, come apprendista sarto e poi come tagliatore di blocchi di ghiaccio in un’enoteca e garzone presso un fruttivendolo.
Intanto, tredici giorni prima dell’atroce eccidio delle Fosse ardeatine, l’11 marzo 1944 nasceva a Roma, in un’aula scolastica, nonna Grazia, perché suo padre – il maresciallo dei Vigili del Fuoco Federico Blanda – era stato comandato a trasferirsi lì durante la guerra.
Questa la breve sintesi del racconto ben più ricco di particolari, intenso, emozionante e toccante che il professor Cosimo Costa – laureatosi poi in matematica a pieni voti e divenuto Coordinatore capo del centro di Calcolo dell’ENEL di Palermo - ha regalato agli alunni della III N, interessati, sorpresi e commossi dalla sua testimonianza.
Alunni che hanno avuto un’opportunità rara: quella di sperimentare che la Storia non è la pagina noiosa e asettica di un libro: non è una data da imparare a memoria o un fatterello da ripetere senza comprenderne cause ed effetti. La Storia, nel bene o nel male, nasce dalle idee, dai progetti di un partito politico, dal risultato di una consultazione elettorale, da una legge, giusta o sommamente ingiusta, di un governo. La Storia la facciamo tutti, con le nostre scelte e le nostre azioni. La Storia allora è vita, passione, impegno, lotta, sconfitte, gioie e dolori. La Storia siamo noi, insomma.
Un grazie speciale a nonno Cosimo per avercelo così efficacemente ricordato.
Palermo - Angel Kalela Bipendu Nama. Chi è mai costei? Ce lo chiediamo, parafrasando il nostro caro Alessandro Manzoni. Il nome evoca un’origine africana: e in effetti Angel è una suora cattolica, della congregazione Discepole del Redentore, arrivata in Sicilia dalla Repubblica Democratica del Congo sedici anni fa, con tanta voglia di rendersi utile al prossimo.
E quale mezzo migliore per aiutare gli altri della professione medica? (continua su: il Punto Quotidiano)
Disobbedienti
ai decreti vigenti,
sono tornate, allegre
le rondini:
volano garrule a coppie,
fregandosene del distanziamento sociale,
incuranti delle previste sanzioni.
Sotto casa,
del tutto privi di autocertificazione,
sono spuntati
i fiori agli ibiscus
e tenere foglie verdi ai bagolari.
Nel terrazzo poi,
visibili a occhio nudo,
si osservano
interminabili assembramenti di formiche,
senza alcun dispositivo di protezione individuale.
Da scrivana diligente,
non mi resta che segnalare
alle Autorità competenti
cotanta incontrollabile, gagliarda anarchia.
Nel tempo sospeso che scorre lento tra le mura di casa, il balcone, per chi ce l’ha, diventa una sorta di osservatorio privilegiato sul microcosmo fisico a portata di sguardo.
Da lì, ti contagia il tono allegro della vicina del piano di sopra, che al telefono coccola le nipotine o racconta all’amica i prodigi della tintura fai da te; ti intristisce la paura che trasuda da occhi e parole della signora della porta accanto, e senti che neppure il sole più caldo e la luce intensa di primavera riusciranno a sciogliere il grumo incistato della sua ansia; ti rispecchi nella signora di fronte che batte i tappeti ogni giorno con furia sempre maggiore.
E guardi con tenerezza la casetta che Carmen e suo marito hanno allestito nel terrazzino per i loro bimbi: ne scruti battute, sorrisi, giochi, tentativi di canestro. Esistono, sono veri. Così anche tu ti senti più viva.
Palermo – Questo tempo così difficile per l’Italia e per il mondo si sta dimostrando una cartina di tornasole per verificare lo spessore e la credibilità di uomini, idee e istituzioni. Di fronte alla pandemia, molte convinzioni si sono liquefatte come neve al sole; alcuni politici, nostrani ed esteri, i cui approcci sono apparsi insufficienti o inadeguati per la gestione della nuova sconvolgente realtà, si sono purtroppo rivelati giganti dai piedi d’argilla.
Nello scenario inedito di questa primavera 2020, chi non ha deluso è stato papa Francesco, guida e pastore della Chiesa cattolica. Mai come in questi giorni, i gesti e i discorsi di Francesco sono stati tanto ‘cattolici’, nel senso etimologico del termine, cioè universali.
Al di là dei dogmi e del particolare credo religioso che rappresenta, Papa Francesco è riuscito infatti a pronunciare parole vere, dirette al cuore di tutti, credenti o non credenti. Perché, come affermava il compianto cardinale Carlo Maria Martini, (continua su: il Punto Quotidiano)
IPSS Enog.. e Osp. Albergh. "Pietro Piazza" - Palermo
"È evidente che l’emergenza del Coronavirus – Covid-19 sta cambiando profondamente le nostre vite, mettendoci in una condizione che sicuramente ci servirà da lezione per il futuro. Mentre ci mobilitiamo perché questa fase non diventi un’occasione di ulteriore isolamento ed emarginazione reciproca – in particolare per i più poveri e dimenticati – è importante trarre dalla vicenda che stiamo vivendo qualche motivo di riflessione ripensando al valore delle cose che fondano il nostro stare al mondo. Elementi essenziali che, a seconda degli individui, possono riguardare le relazioni dirette con le persone, la cura dei pensieri o dell'interiorità.
Per questo motivo, da venerdì pomeriggio, 3 aprile, fino a tutta la domenica 19 aprile, la nostra comunità scolastica osserverà un periodo di pausa della didattica a distanza. I nostri ragazzi e le nostre ragazze, ma anche i/le docenti, avranno modo di dedicarsi agli affetti familiari. Ma questa pausa non vuole essere un periodo di distanziamento dalla Scuola, che come ho già avuto modo di dire, conferma, ora più che mai, il suo ruolo sociale.
Ecco perché, ragazze e ragazzi, abbiamo pensato di fornirvi dei suggerimenti affinché le vostre giornate non siano vuote, ma anzi si riempiano del vostro spirito creativo che potrà sempre essere condiviso con noi, anche attraverso la pagina facebook “Piazza a distanza” che è stata creata per voi. Potrete realizzare dei disegni, con slogan positivi, a mano o in digitale; scrivere brevi poesie e racconti, ma anche canzoni, o semplici pensieri, una pagina di diario; creare, per chi volesse, dei biglietti di auguri pasquali; creare dei tutorial su come gestire una situazione di emergenza, proposte per trascorrere il tempo a casa con semplici lavori manuali, utilizzando materiale da riciclare; potete continuare a regalarci simpatici video sulla vostra formazione professionale: brevi ricette, preparazione di cocktail, presentazione di un itinerario in città.
Ritrovate il piacere di leggere e, volendo, comunicate il vostro pensiero su ciò che avete letto. Riscoprite i giochi di società. Utilizzate i mezzi di comunicazione, radio e tv, in maniera attiva: guardate dei bei film, ascoltate buona musica, “partecipate” a qualche spettacolo teatrale o a un concerto. Non perdete di vista le informazioni quotidiane, augurandoci che acquisiscano sempre di più dei toni meno tristi e ci rivelino una vera primavera di rinascita. Chi volesse e potesse, utilizzi al meglio questo sito di risorse in rete gratuite https://sites.google.com/view/iorestoacasa/.
Il Dirigente scolastico prof. Vito Pecoraro
I ragazzi e le ragazze di quinto anno, in virtù del raggiungimento del loro obiettivo a medio termine, sono invitate/i a recuperare qualche argomento tralasciato, per prepararsi agli Esami di Stato. Troviamo anche il tempo per ricordarci di chi vive ai margini, che non è mai lontano da noi e che oggi, più che mai, è messo ulteriormente alla prova, a causa di questi eventi.
E continuiamo a ringraziare chi è parte attiva nella lotta contro questo nemico: operatori sanitari, protezione civile, Croce rossa, volontari, operatori dei settori alimentari e farmaceutici, autotrasportatori, forze dell’ordine.
Siamo vicini al nostro Governo e alle istituzioni, evitando facili critiche su come ci si dovrebbe comportare, considerando che non abbiamo a portata di mano un libro di ricette da seguire su come combattere il virus e gestire questa situazione emergenziale. Piuttosto, osserviamo diligentemente le restrizioni, restiamo a casa, per poterci abbracciare appena possibile."
IL DIRIGENTE SCOLASTICO, Prof. Vito Pecoraro (da qui)
Palermo – Con la pandemia da Covid 19, l’orologio della Storia ha battuto un brutto colpo di sorpresa, ha paralizzato il mondo e ha reso spettrali tutti i luoghi simbolo delle metropoli mondiali: la Fifth Avenue a New York, il viale Unter den Linden a Berlino, la nostra splendida piazza san Pietro a Roma. Anche senza essere storici di professione, sappiamo che il 2020 passerà tristemente alla Storia. E che dopo niente sarà più come prima.
Illuminanti a questo proposito – pubblicate dal quotidiano “La Sicilia” del 17 marzo scorso - le riflessioni del professor Giovanni Salonia, frate cappuccino e psicoterapeuta, professore di Psicologia sociale e direttore scientifico dell’Istituto di Gestalt Therapy Kairòs. Eccone una sintesi:
“Ad un tratto la società perde la definizione ormai pluriennale di ‘società liquida’ (che dobbiamo a Bauman) per ritrovare un Noi collettivo, che ci fa ritrovare tutti connessi dal tessuto della paura e dalla voglia di vivere. Ed ecco il ritorno degli eroi. Nei tempi normali viene chiesto agli umani di essere giusti, ma nei tempi di pericolo abbiamo bisogno di eroi. E anche questa volta ne troviamo tanti: donne e uomini che rischiano la vita per proteggere la vita degli altri. Pochi o tanti che siano i limiti della sanità, oggi dobbiamo riconoscere che l’Italia ha personale ospedaliero di eccellenza (…).
Prof. Giovanni Salonia
Una prima riflessione. Già nel secolo scorso alcune malattie hanno fatto crollare l’iniziale illimitata fiducia nelle scoperte della medicina. Adesso il coronavirus distrugge anche la speranza illusoria che sia sufficiente il contenimento dei conflitti internazionali ad evitare catastrofi simili a quelle di una guerra. Dalle varie ipotesi causali (…) emerge comunque una certezza: siamo sempre ‘gettati nella vita’. Non potremo mai essere noi a donarcela e non ne saremo mai i dominatori assoluti. Gettati nella vita ma anche gettati nella morte, in questo indissolubile connubio tra eros e thanatos.
E, ironia della sorte: questo virus uccide solo gli umani. Dopo il primo passo – accettare di essere mortali, indagare con rigore sulle cause immediate del virus e sulle eventuali insufficienze nel combatterlo –, il secondo passo che ci viene chiesto riguarda proprio il “come” vivere questo attraversamento, questi coronavirus/day.
Punto di partenza è ricordarsi che quando diciamo che la realtà è ‘plastica’ intendiamo affermare che la realtà non è un’entità rigida, ma prende forma dal modo in cui noi la viviamo, dal significato in cui la inscriviamo e dall’energia con la quale l’affrontiamo. Ecco perché si rende necessario non solo avere informazioni tecniche, ma anche possedere una sorta di know/how antropologico per trasformare il dato di realtà in esperienza umana.
Da qui, una seconda riflessione. Il coronavirus ci chiede di cambiare in modo radicale i nostri stili personali e relazionali.
Il compianto prof. Zygmunt Bauman
Da una società (…) fatta di legami liquidi, nella quale il modello relazionale era paritario, il coronavirus day ci ha riportati ad una società in cui vige un modello relazionale Noi, che emerge a causa di un pericolo collettivo e quindi alla necessità di un assetto sociale verticistico. Nel coronavirus-day si ha bisogno di direttive univoche e chiare: anche i governanti devono tener conto, in modo determinante, non delle appartenenze partitiche ma del parere dei tecnici per salvare ogni uomo. E devono comunicare in modo efficace. A questo punto si inserisce un’emergenza educativa: far comprendere ai nostri giovani che ciò che abbiamo con loro vissuto e a loro insegnato (il dialogo, l’ascolto di ogni parere, l’esprimere se stessi) è adeguato ad un tempo di non-emergenza, ma diventa dannoso in tempo di pericolo, quando abbiamo invece bisogno di un capo esperto che sappia come tirarci fuori dal pericolo. Maturità in questo tempo è tornare ad essere ‘ubbidienti’. (…) Ogni emergenza ci ridà il Noi. Ma è necessario sottolineare che questo non è il Noi della reciprocità (l’andare all’altro quando si sta bene). Nel Noi creato dalla paura e dalla ricerca di sicurezze emergono barriere e non matura un vero interesse per l’altro, anzi talvolta si sviluppano appartenenze-contro (si può cantare ‘Fratelli d’Italia’ per separarsi dagli altri fratelli).
(…) Ancora, il coronavirus, come ogni emergenza, ci impone un riposizionamento della nostra intima gerarchia di valori. Riaffiorano con sfumature diverse o con valenze significative valori che abbiamo trascurato. Si impone quindi la necessità di ritrovare noi stessi, di tornare a noi stessi, di fermarsi in attesa che ‘arrivi l’anima’. (…) Il corpo corre, l’anima va lenta. Adesso ridiamo spazio all’anima, e cioè alle nostre emozioni, al nostro mondo interiore, alle poesie, alla musica, all’arte, a tutto ciò che ci fa abitare il nostro mondo.
Dobbiamo abitare – suggerirebbe Paul Ricoeur – le parti di noi che abbiamo trascurato (lo straniero che a volte siamo a noi stessi). Tornare a casa e tornare a sé stessi sono eventi intimamente connessi. (…) Sarà impegnativo in alcune situazioni sentirsi costretti in spazi ridottissimi, stare tanto tempo gomito a gomito anche con persone care, rischiare di perdere il senso della libertà. Quante battute virali sottolineano lo stress a cui si può essere sottoposti non avendo una ‘uscita di sicurezza’ da casa e dai legami!
Forse sarà necessario chiedere aiuto. Forse potremo anche qui inventare strade in cui interiorità e incontro circolano in modo condiviso, rasserenante e arricchente. Un’attenzione speciale va data ai bambini. Riprendere a raccontare storie e favole, a giocare con loro, in modo che sperimentino (loro ma anche noi) come una conversazione o una condivisione di esperienza hanno un calore e una forza mai immaginati.
Infine, siamo chiamati a vincere la spinta a chiuderci tipica della paura (ci salviamo solo io e i miei) e a restare aperti ai bisogni dei più deboli: gli anziani, gli immunodepressi, chi non ha casa, chi rischia il lavoro, chi è sull’orlo del precipizio. Una società costruisce un vero Noi se si prende cura dei più deboli. (…).
Forse per ognuno di noi il coronavirus segna il tempo in cui scoprire la nostra chiamata a diventare ‘eroi’, artisti della nostra vita, come canta Emily Dickinson: “Non conosciamo mai la nostra altezza finché non siamo chiamati ad alzarci”.
"Addio, addio e un bicchiere levato al cielo d'Irlanda e alle nuvole gonfie
Un nodo alla gola ed un ultimo sguardo alla vecchia Liffey e alle strade del porto
Un sorso di birra per le verdi brughiere e un altro ai mocciosi coperti di fango
E un brindisi anche agli gnomi a alle fate, ai folletti che corrono sulle tue strade
Hai i fianchi robusti di una vecchia signora e i modi un po' rudi della gente di mare
Ti trascini tra fango, sudore e risate e la puzza di alcool nelle notti d'estate
Un vecchio compagno ti segue paziente, il mare si sdraia fedele ai tuoi piedi
Ti culla leggero nelle sere d'inverno, ti riporta le voci degli amanti di ieri
È in un giorno di pioggia che ti ho conosciuta
Il vento dell'ovest rideva gentile
E in un giorno di pioggia ho imparato ad amarti
Mi hai preso per mano portandomi via
Hai occhi di ghiaccio ed un cuore di terra, hai il passo pesante di un vecchio ubriacone
Ti chiudi a sognare nelle notti d'inverno e ti copri di rosso e fiorisci d'estate
I tuoi esuli parlano lingue straniere, si addormentano soli sognando i tuoi cieli
Si ritrovano persi in paesi lontani a cantare una terra di profughi e santi
È in un giorno di pioggia che ti ho conosciuta
Il vento dell'ovest rideva gentile
E in un giorno di pioggia ho imparato ad amarti
Mi hai preso per mano portandomi via
E in un giorno di pioggia ti rivedrò ancora
E potrò consolare i tuoi occhi bagnati
In un giorno di pioggia saremo vicini
Balleremo leggeri sull'aria di un Reel"