Che strano questo primo maggio silenzioso, senza manifestazioni e concerto ‘live’...
Si discute tanto di reddito di cittadinanza. So che tanti laverebbero qualsiasi scala o scaricherebbero qualsiasi cassetta di frutta al mercato se qualcuno li assumesse. E desse loro un compenso dignitoso per consentire di mantenere la famiglia, pagando affitto e bollette.
Ascoltando le confidenze di genitori e alunni, nella mia città, ho capito che il reddito di cittadinanza ha consentito ad alcuni nuclei familiari finalmente di arrivare a fine mese con la pancia piena, l’affitto pagato e una minima serenità esistenziale, assente da anni.
Oggi poi la disoccupazione da pandemia rilancia in modo ineludibile la questione.
Mi chiedo allora: visti i meccanismi perversi che regolano il mercato, non sarebbe forse il caso di sganciare il reddito minimo di sopravvivenza dal lavoro?
Dovremmo forse considerare le persone che abitano nel mondo come una grande unica famiglia: se una famiglia è composta da papà, mamma, tre figli e una zia anziana, tutti hanno il diritto di mangiare, anche se il reddito è prodotto solo da due componenti della famiglia.
Cosi nel nostro pianeta: siamo circa 7,7 miliardi di persone ed è giusto che tutti abbiano accesso alle condizioni minime di sussistenza, visto che, grazie al cielo, nella Terra ci sono risorse per far vivere circa 10 miliardi di persone.
Certo, poi ogni comunità dovrebbe “pretendere” che gli individui adulti diano il proprio contributo lavorativo per il buon funzionamento della società, commisurando anche redditi diversi e aggiuntivi per le diverse mansioni (e qui sogno che un calciatore non sia pagato più di un infermiere e un medico …).
La pensano così anche l’ex presidente dell’Uruguay Josè Mujica, imprigionato per 15 anni in una cella di isolamento come oppositore alla dittatura vigente nel suo paese negli anni ‘70:
"In prigione ho pensato che le cose hanno un inizio e una fine. Ciò che ha un inizio e una fine è semplicemente la vita. Il resto è solo di passaggio. La vita è questo, un minuto e se ne va. Abbiamo a disposizione l’eternità per non essere e solo un minuto per essere.
Per questo, ciò che più mi offende oggi è la poca importanza che diamo al fatto di essere vivi. (…)
Seneca affermava che non è povero chi ha poco, ma chi desidera molto”. (...)
Io lotto contro l’idea che la felicità stia nella capacità di comprare cose nuove. Non siamo venuti al mondo solo per lavorare e per comprare e accumulare ricchezze; siamo nati per vivere. La vita è un miracolo; la vita è un regalo. E ne abbiamo solo una.” (da
qui)
La pensa così anche papa Francesco, che – il 12 aprile scorso - scrive queste parole ai Fratelli e alle Sorelle dei movimenti popolari latino-americani che lottano per terra, casa e lavoro
(ringrazio Augusto Cavadi per avere pubblicato
qui integralmente la lettera)-
"(…)So che siete stati esclusi dai benefici della globalizzazione. Non godete di quei piaceri superficiali che anestetizzano tante coscienze, eppure siete costretti a subirne i danni. I mali che affliggono tutti vi colpiscono doppiamente. Molti di voi vivono giorno per giorno senza alcuna garanzia legale che li protegga: venditori ambulanti, raccoglitori, giostrai, piccoli contadini, muratori, sarti, quanti svolgono diversi compiti assistenziali.
Voi, lavoratori precari, indipendenti, del settore informale o dell’economia popolare, non avete uno stipendio stabile per resistere a questo momento... e la quarantena vi risulta insopportabile. Forse è giunto il momento di pensare a una forma di retribuzione universale di base che riconosca e dia dignità ai nobili e insostituibili compiti che svolgete; un salario che sia in grado di garantire e realizzare quello slogan così umano e cristiano: nessun lavoratore senza diritti.
Vorrei inoltre invitarvi a pensare al "dopo", perché questa tempesta finirà e le sue gravi conseguenze si stanno già facendo sentire. Voi non siete dilettanti allo sbaraglio, avete una cultura, una metodologia, ma soprattutto quella saggezza che cresce grazie a un lievito particolare, la capacità di sentire come proprio il dolore dell'altro.
Voglio che pensiamo al progetto di sviluppo umano integrale a cui aneliamo, che si fonda sul protagonismo dei popoli in tutta la loro diversità, e sull'accesso universale a quelle tre T per cui lottate: “tierra, techo y trabajo” (terra – compresi i suoi frutti, cioè il cibo –, casa e lavoro). Spero che questo momento di pericolo ci faccia riprendere il controllo della nostra vita, scuota le nostre coscienze addormentate e produca una conversione umana ed ecologica che ponga fine all'idolatria del denaro e metta al centro la dignità e la vita.
La nostra civiltà, così competitiva e individualista, con i suoi frenetici ritmi di produzione e di consumo, i suoi lussi eccessivi e gli smisurati profitti per pochi, ha bisogno di un cambiamento, di un ripensamento, di una rigenerazione (…)."