"Non tutte le gemme che da mesi si sono preparate si aprono in primavera. Alcune restano in sonno, forse per un lungo periodo, forse per sempre – nelle piante più longeve, come la quercia e il faggio rosso, anche cent’anni.
Queste gemme, dette dormienti, germogliano solo se e quando la salute o la crescita dell’albero lo richiede, quando per esempio il fusto principale viene privato dell’apice vegetativo (l’organo che promuove il suo sviluppo ascensionale) a causa di un fulmine o di un incidente. Allora la gemma dormiente, chiamata a farsi fusto apicale dalla necessità dell’organismo, risponde. Si sveglia. Si può quasi dire: «Si alza». Qualunque sia la posizione in cui è collocata sul ramo, si attiva e dà origine a un nuovo ramo ramo-fusto che senza esitazione punta verso l’alto. L’albero riprende il suo sviluppo, che non sarà quello originariamente programmato e avrà un percorso inconsueto, ma la cui direzione sarà sempre e solo una: l’alto.
Se singolare è l’accadimento che arresta lo sviluppo dell’albero, ancora più notevole è la possibilità che esso si riattivi: non casualmente, non magicamente, ma grazie a una potenzialità che era già presente, insita nell’organismo (…).Di straordinaria rilevanza mi sembra l’analogia fra ciò che si verifica nella vita degli alberi e, su piani diversi, ciò che avviene a noi umani. Quando nella nostra vita ‘cadono fulmini’ e tutto sembra fermarsi. (…)
Tutti hanno raccontato il loro ricominciamento ‘dopo l’incidente’, cioè dopo una vicenda che ha inciso in profondità sulla loro esistenza e ne aveva cambiato il corso. Con il tempo si comprende che la vita ci dà – forse – opportunamente questi colpi, questi impedimenti a proseguire sull’unica via che avevamo pensata come adeguata a noi. Una mutilazione fisica, un dissesto economico, un licenziamento, una separazione, la morte della persona cara: abbiamo la sensazione di essere finiti. La sofferenza c’è e non può essere elusa.
Ma quando la si regge – la si porta sino in fondo, si sta di fronte alle domande esistenziali che essa inevitabilmente pone – se ne esce rinnovati. Elaborare il proprio stato di crisi vuol dire rendersi consapevoli della compresenza del pericolo e dell’opportunità (come riconoscono i cinesi, nella cui lingua la parola wei-ji è composta dai caratteri di entrambi) e risvegliare le forze in sé dormienti. Il dolore, che sembrava solo poterci immiserire, sfocia invece nella pienezza di una tramutazione interiore.
Adriana Bonavia Giorgetti: Meditare dentro un platano, Salani, Milano, 2016
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