(la prima parte si trova qui)
(...) Poi ci fu la guerra d’Abissinia e io, che avevo dieci anni o quasi, feci domanda di volontario con il mio amico Benuzzu. A casa non ne dicemmo niente e per mesi non ricevemmo risposta.
Poi un giorno mio padre mi disse che il professor Pirandello voleva parlarmi. Sobbalzai, di colpo sudato.
“U scantusu? Il signor Luigino?”
“No, suo fratello”.
Innocenzo Pirandello, che insegnava presso le scuole commerciali, era il presidente locale dell’Opera nazionale balilla, alla quale appartenevo. Ma non l’avevo mai visto né alle adunate del sabato né alle grandi manifestazioni.
Mi ricevette a casa sua, non aveva niente di scantusu come suo fratello, anzi teneva uno scialletto sulle spalle e pareva preciso mio nonno (uno scialletto simile a quello che tanti anni dopo, a Roma, avrei visto sulle spalle di suo nipote Fausto, il pittore, che mi onorava di una silenziosa amicizia).
Mi consegnò una lettera firmata con la grande M di Mussolini: il duce mi elogiava per aver fatto domanda di volontario, diceva che per ora non aveva bisogno, che mi avrebbe utilizzato in futuro perché non sarebbe mancata occasione di servirsi di un picciotto coraggioso come me.
Quando un giorno mio padre portò a casa un giornale nel quale era scritto che Luigi Pirandello era morto e a mia nonna spuntavano le lacrime, io, lo confesso, ne provai un senso di sollievo, mai più sarebbe apparso di primo dopopranzo a farmi spavento.
É questa la ragione per cui, diventato regista, mi sono deciso a mettere in scena assai tardi le opere di Pirandello? Forse, ma il fatto è che, imbattutomi nella prima commedia, da allora mi invischiai nelle altre come mosca nella carta moschicida, e ci ragionai sopra giorno e notte, e ne scrissi, e ne parlai, e mi cimentai sul palcoscenico con alterna fortuna.
Nel 1979, in occasione mdi un mio spettacolo che comprendeva I giganti della montagna e La favola del figlio cambiato, il critico teatrale de Il Tempo, Giorgio Prosperi, scrisse: “Camilleri non solo è un esperto pirandelliano, ma è di Porto Empedocle, lo sbocco al mare di Agrigento. Come dire che lui con Pirandello è di casa, gli dà del tu, e può permettersi libertà del resto autorizzate da lunghissimo studio e frequentazione”.
È vero che con Pirandello almeno i miei sono stati di casa ed è anche vero che lungamente l’ho studiato e ‘frequentato’. Ma non mi sono mai preso nessuna libertà e non mi è mai passato per l’anticamera del cervello di dargli del tu. Mentre scrivo queste righe mi accorgo di avere quasi la stessa età che aveva quando lui venne a casa mia e io, bambino, andai ad aprirgli la porta: bene, ancora oggi, se a lui devo rivolgermi, gli do del ‘voscenza’, che significa vostra eccellenza”.
Andrea Camilleri, Il gioco della mosca, Sellerio, Palermo, 1999, pagg 73,74
Leggo con piacere Camilleri, come Verga e Pirandello.
RispondiEliminaCiao Maria.
@Gus: ti nutri di ottime letture! Buona domenica.
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