martedì 30 gennaio 2024

Stupore

Perché mai a tal punto singolare?
Questa e non quella? E qui che ci sto a fare?
Di martedì? In una casa e non nel nido?
Pelle e non squame? Non foglia, ma viso?
Perché di persona una volta soltanto?
E sulla terra? Con una stella accanto?
Dopo tante ere di non presenza?
Per tutti i tempi e tutti gli ioni?
Per i vibrioni e le costellazioni?
E proprio adesso? Fino all’essenza?
Sola da me e con me? Perché mi chiedo,
non a lato, né a miglia di distanza,
non ieri, né cent’anni addietro, siedo
e guardo un angolo buio della stanza
- come, rizzato il capo, sta a guardare
la cosa ringhiante che chiamano cane?

Wislawa Szymborska: La gioia di scrivere, tutte le poesie (1945-2009), 
a cura di Pietro Marchesani, pag. 307, Adelphi, Milano

domenica 28 gennaio 2024

Roberto Alajmo, laurea honoris causa per la sicilitudine

       Palermo – Autore di una quarantina di libri tra romanzi, saggistica e opere teatrali, apprezzato sia in Italia che all’estero, lo scrittore e giornalista Roberto Alajmo, nato a Palermo nel 1959, iscrittosi dopo la maturità alla Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, non si era poi laureato. 
     Come ha confessato egli stesso, aveva infatti abbandonato l’Università dopo la bocciatura in una prova scritta, un tema su Pirandello. Bocciatura peraltro meritata perché: “Sicuro di sapere scrivere, affrontai il tema con una tracotanza, una strafottenza tale che di Pirandello non parlai quasi per niente…”.      
    Quarant’anni dopo, il cerchio si è chiuso: il 15 gennaio scorso, il professore Massimo Midiri, Rettore dell’Università degli Studi di Palermo, ha conferito allo scrittore la laurea magistrale honoris causa in Italianistica. 
     In sintesi, questa la motivazione, espressa dalla professoressa Luisa Amenta, prorettrice e coordinatrice del Corso di Studi in Italianistica: “Roberto Alajmo ha saputo rappresentare la vitalità e la contraddittorietà di Palermo e della Sicilia tra luce e ombra, arricchendo con voci nuove e originali una narrazione polifonica dei luoghi e dell’esperienza del vivere. 
La sua scrittura dal ritmo veloce, su cui si innesta il gusto del paradosso e del grottesco, prende le mosse dalla sua pratica giornalistica, dando vita sin dal suo esordio, alla fine degli anni ’80, a narrazioni analitiche e taglienti che procedono in un crescendo di tensione, intrecciando l’ironia a uno spasimo dolente.
La scrittura inventiva di Alajmo si alimenta della cronaca privata e pubblica, predilige le microstorie della nostra contemporaneità e le disarticola da angolazioni minime, rivelando risvolti tragicamente surreali, provocatoriamente estranianti. 
Roberto Alajmo infatti, nei suoi libri si è sempre dimostrato esegeta ironico e attento di una realtà al limite della follia e del paradosso. Nelle sue pagine si manifesta come una specie di Pirandello metropolitano, in grado di isolare il bagliore di un evento, lo scintillio momentaneo di un dettaglio per poi immergerlo o nell’umorismo più amaro e nero o in una abbacinante comicità. Uno sguardo in forza del quale anche le stramberie più peregrine e bizzarre diventano le assurde tessere di un mosaico che solo lo scrittore può ricomporre: un mosaico che, sulla Sicilia e soprattutto sulla città di Palermo, ci dice di più di tante inchieste e delle analisi di giornalisti e antropologi, tese ad afferrare una realtà sfuggente da tutti i lati.
L’Università degli Studi di Palermo, riconoscendo l’apporto dato dallo scrittore alla cultura letteraria, ha proposto la laurea honoris causa in Italianistica per aver saputo raccontare nei suoi romanzi e nei suoi racconti la città di Palermo, con una narrazione che illumina zone inesplorate del nostro presente, interpretando al meglio la missione formativa del corso di studio magistrale in Italianistica”.
     La scrivente, appassionata lettrice dei testi di Alajmo, non può che sottoscrivere queste parole. 
E proporre ai potenziali lettori, che non lo conoscono ancora, almeno un’imperdibile cinquina di suoi libri: Repertorio dei pazzi della città di Palermo (meglio se nell’edizione del 1993); Notizia del disastro (2001), dove si narra l’incidente aereo a Punta Raisi, aeroporto di Palermo, nel dicembre 1978: tragedia che, come scrive l’autore nel risvolto di copertina “non ha come scenario un attentato o un complotto. Semplicemente il destino. Collettivo e grandioso. Crudelissimo e ingiusto: ma solo destino”; il romanzo noir Cuore di madre, finalista al Premio Strega nel 2003. 
E ancora i saggi: Arriva la fine del mondo (e ancora non sai cosa mettere), del 2012: testo che è anche un buon saggio di sociologia, di psicologia sociale divulgativa, in cui lo scrittore squaderna un’ampia carrellata delle possibili geo-catastrofi in arrivo, senza rinunciare alla sua vena surreale e grottesca, che rende meno indigesto il lugubre repertorio. Alla domanda di fondo: Come reagirebbe il cittadino medio all’eventualità di una imminente apocalissi? Alajmo snocciola una serie di considerazioni imperdibili e intriganti. 
E poi L’arte di annacarsi (2010), il libro che la sottoscritta avrebbe voluto scrivere lei… Non certo, per carità, perché lo avrebbe scritto meglio di Alajmo, che armonizza con talento la prima mano di colore del giornalista e la seconda di precisione dello scrittore. La sottoscritta avrebbe voluto scriverlo lei, questo libro, perché le radici e il viaggio - reale e metaforico – nei luoghi della sicilitudine visitati da Alajmo, lo ha fatto e lo condivide appieno.
   Infine, oltre la citata cinquina, la scrivente consiglia anche L’estate del ’78, dove l’autore introduce i lettori nel cerchio degli smottamenti che fanno franare per sempre il mondo magico e dorato dell’infanzia. E, soprattutto, racconta il commiato più difficile da raccontare: quello dalla madre, morta suicida a 42 anni il 31 ottobre 1978, dopo la mitica estate della maturità.
      La full-immersion nella dolorosa storia personale  - narrata da Alajmo senza fronzoli, con perfetta misura espressiva – consente ai lettori di trovare la chiave per comprendere l’ispirazione di fondo della sua scrittura: anche se gli esiti narrativi di uno scrittore non sono mai sovrapponibili alle sue vicende biografiche, si capisce di più la sapienza dolente, ironica, piena di compassione che permea tanti suoi testi, la straordinaria ‘confidenza’ con la morte, che si respira nelle sue pagine, la vena grottesca e noir di tanti suoi romanzi, che inevitabilmente si fermano al venerdì santo, senza nessuna resurrezione all’orizzonte. 
     Nonostante tutto, Alajmo rimane comunque scrittore poliedrico e leggero, di quella leggerezza che Calvino ci ha insegnato a gustare…Uno di quei siciliani “capaci di tirare la corda pazza senza strapparla mai, e anzi intrecciandola con quella civile fino a farne una gomena a cui ancorare le proprie utopie”.

Maria D'Asaro, 28.1.24, il Punto Quotidiano

sabato 27 gennaio 2024

Egregio dottor Levi...

(Lettera postuma a Primo Levi, che inizia così:)


     Egregio dottor Levi,
                                         solo di fronte al mare, nella luce dorata dell’agosto siciliano, sono riuscita a ripercorrere la sua via crucis e a leggere molti suoi scritti. Tra una pagina e l’altra, mi sono spesso fermata, perché mi mancava il respiro… L’azzurro del mare mi aiutava a continuare il viaggio doloroso, come se l’acqua lenisse un pochino l’angoscia di condividere quello che le era accaduto ad Auschwitz, nella baracca n.45.

       Lei, appena fuori da Auschwitz, ci ha presentato Hurbinek: “un nulla, un figlio della morte, un figlio di Auschwitz. Dimostrava tre anni circa, non sapeva parlare (…) Era paralizzato dalle reni in giù, ed aveva le gambe atrofiche, sottili come stecchi; ma i suoi occhi, persi nel viso triangolare e smunto, saettavano terribilmente vivi, pieni di richiesta, di asserzione, della volontà di scatenarsi, di rompere la tomba del mutismo. La parola che gli mancava (…) premeva nel suo sguardo con urgenza esplosiva: era uno sguardo selvaggio e umano a un tempo, anzi maturo e giudice, che nessuno fra noi sapeva sostenere, tanto era carico di forza e di pena”. 
      Hurbinek, “non aveva mai visto un albero; (…) aveva combattuto come un uomo (…) per conquistarsi l’entrata nel mondo degli uomini da cui una potenza bestiale lo aveva bandito; Hurbinek, il senza-nome, il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col tatuaggio di Auschwitz; morì ai primi giorni del marzo 1945, libero, ma non redento”.
    Poco prima, avevamo incontrato Sòmogyi, il chimico ungherese moribondo compagno nell’infermeria del campo nel gennaio del ‘45, nei giorni senza fondo sospesi tra la fuga dei tedeschi e l’arrivo dei russi.
     Sòmogyi che “seguendo un ultimo interminabile sogno di remissione e di schiavitù, prese a mormorare ‘Jawohl’ ad ogni emissione di respiro; regolare e costante come una macchina, ‘Jawohl’ ad ogni abbassarsi della povera rastrelliera delle costole, migliaia di volte, tanto da far venire voglia di scuoterlo, di soffocarlo, o che almeno cambiasse parola”.
Abbiamo saputo di cosa fossero impastati i suoi sogni, negli interminabili incubi del sonno nel Lager. (…)
(La lettera si conclude così:)

    Come salutarla, dottor Levi? Con un immenso grazie. 
Leggere i suoi scritti dilata i nostri orizzonti e ci rende migliori, capaci di gioire delle piccole cose che la vita ci offre: le nostre tiepide case, un piatto di lasagne, i maglioni di lana, la doccia calda, le posate, lo spazzolino da denti… l’acqua fresca d’estate con uno spicchio di limone, il cappuccino al mattino. 

    E poi, caro dottor Levi, raccogliamo il testimone.
Lasciato ai piedi delle scale del suo palazzo, quell’undici aprile del 1987. Manterremo vivo il ricordo, per abitare la casa della vigilanza e vestire l’abito dell’impegno etico e civile. 
Perché “chiunque, qualunque essere umano, può fare un’opera fondamentale. Non necessariamente un libro…  anzi, sono un’esigua minoranza coloro che possono scrivere un libro, ma qualcosa pure sì, per esempio educare un figlio, risanare un malato, consolare un afflitto”.

    Condividiamo le parole di Edgar Morin, che lei avrebbe apprezzato: “Siamo perduti, ma abbiamo un tetto, una casa, una patria; il piccolo pianeta in cui la vita si è creata il proprio giardino, in cui gli esseri umani hanno formato il loro focolare, in cui ormai l’umanità deve riconoscere la propria casa comune (…). Dobbiamo essere fratelli, non perché saremo salvati, ma perché siamo perduti. Dobbiamo essere fratelli per vivere autenticamente la nostra comunità di destino di vita e di morte terreni. Dobbiamo essere fratelli perché siamo solidali gli uni con gli altri nell’avventura ignota”.


Maria D’Asaro, Una sedia nell’aldilà
Diogene Multimedia, Bologna, 2023 pagg.101,102,124

venerdì 26 gennaio 2024

Il re è nudo

M. Duchamp: Nudo che scende le scale, 1912  (quadro capovolto per scelta)

La guerra

Fa orrore

È stupida 

Il re è nudo…

Diciamolo.     

giovedì 25 gennaio 2024

Gravidanza per altri: se ne parla oggi...

     La scuola di Formazione etico-politica ‘Giovanni Falcone’, dalle 18 alle 20, presso la Casa dell’Equità e della bellezza in via Garzilli 43/a, Palermo, organizza oggi un incontro su ‘Femminismo e GpA (gravidanza per altri).
     La Scuola ritiene infatti che questo tema, con tutte le sue implicazioni, sia di grande pregnanza etica, con ricadute sociali fondamentali nella comunità umana: per questo ce ne vogliamo occupare.
     Abbiamo invitato Daniela Dioguardi perché esponga il punto di vista suo e di buona parte del femminismo siciliano e italiano, punto di vista portato avanti nonostante le accuse pesanti di ‘collusione’ con forze retrive e reazionarie.
    Qualcuno potrebbe chiedersi perché non ci sia un contraddittorio. Si è pensato intanto - visti i tempi ristretti dell’incontro - di ascoltare un punto di vista, a cui i presenti possono riferirsi per richiesta di chiarimenti e porre obiezioni.
     Sullo stesso tema, la Scuola si propone di organizzare a breve ulteriori occasioni di approfondimento, finalizzate a comprendere le ragioni profonde di questioni così delicate che riguardano intanto i corpi e, con essi, la nostra visione dell’affettività e dei rapporti umani.

Maria D'Asaro

martedì 23 gennaio 2024

Sicilitudine

foto mari@dasolcare

      "Dicono gli atlanti che la Sicilia è un’isola e sarà vero, gli atlanti sono libri d’onore. Si avrebbe però voglia di dubitarne, quando si pensa che al concetto di isola corrisponde solitamente un grumo compatto di razza e costumi, mentre qui è tutto mischiato, cangiante, contraddittorio, come nel più complesso dei continenti.

    Vero è che le Sicilie sono tante, non finirò di contarle. Vi è la Sicilia verde del carrubo, quella bianca delle saline, quella gialla dello zolfo, quella bionda del miele, quella purpurea della lava. Vi è una Sicilia «babba», cioè mite fino a sembrare stupida; una Sicilia «sperta», cioè furba, dedita alle più utilitarie pratiche della violenza e della frode.

     Vi è una Sicilia pigra, una frenetica; una che si estenua nell’angoscia della roba, una che recita la vita come un copione di carnevale. Una, infine, che si sporge da un crinale di vento in un accesso di abbagliante delirio…"

Gesualdo Bufalino: La luce e il lutto 


                     a inizio de “L’arte di annacarsi” di Roberto Alajmo, che scrive nella premessa, a p.6:


      “Anche per godere della bellezza più recondita è necessario immergersi in quell’abisso che è la Sicilia. Non si può fare a meno di ravvisare la bruttezza diffusa, il sistematico disprezzo degli spazi comuni, l’incapacità delle persone anche migliori di fare rete e porre rimedio a queste distorsioni. Viaggiare attraverso la Sicilia significa sporcarsene. E si tratta di uno sporco persistente, di quelli più difficili da trattare.

     Per chi in Sicilia ci è nato e ci vive, intraprendere un viaggio attraverso la propria terra è un modo di fare autoanalisi. Di scoprire tutta una serie di cose che già sapeva senza saperlo…”



domenica 21 gennaio 2024

Il coraggio di dire no alla guerra

        Palermo – Se si è soggetti al servizio di leva obbligatorio e se il proprio Paese è in guerra, per chi è chiamato alle armi è assai difficile e rischioso praticare l’obiezione di coscienza. Eppure anche in Paesi come Russia, Ucraina e Israele c’è oggi chi ha il coraggio di fare questa scelta.
       In Russia, ad esempio, il rifiuto della guerra ha il volto del 27enne Alexander Belik, coordinatore del Movimento degli obiettori di coscienza russi, dal 2022 rifugiato in Estonia per la sua posizione antimilitarista verso il regime di Putin. 
       Da giugno 2023, purtroppo il Movimento degli obiettori di coscienza è stato ufficialmente dichiarato dalle Autorità russe come “agente straniero”.  Ecco, a questo proposito, alcune righe dell’appello degli obiettori russi: “Il Ministero della Giustizia ci accusa di aver diffuso informazioni ritenute false sulle azioni e le politiche del governo, oltre a opporci alle azioni militari della Russia in Ucraina. Per l’attuale governo della Federazione Russa queste accuse sono sufficienti a giustificare la messa fuori legge della nostra organizzazione. Questo fatto, pur essendo una dimostrazione dell’efficacia del nostro lavoro, è anche un’applicazione discriminatoria della legge che calpesta i diritti umani e le libertà universalmente accettate”.
   Nel silenzio delle Istituzioni europee, la WRI (War Resister’s International) e il BEOC-EBCO (Ufficio europeo per l’obiezione di coscienza) hanno scritto a Putin e al ministro della giustizia della Federazione russa: “L’obiezione di coscienza è un contributo tangibile alla pace; pertanto, la tutela di questo diritto umano è ancora più cruciale in tempo di guerra. Questo vale anche per la guerra in corso in Ucraina, dove sia la Russia che l’Ucraina violano palesemente questo diritto. Condanniamo fermamente l’invasione russa dell’Ucraina e denunciamo tutti i casi di reclutamento forzato e persino violento negli eserciti di entrambe le parti, così come tutti i casi di persecuzione di obiettori di coscienza, disertori e manifestanti nonviolenti contro la guerra. Vi esortiamo a smettere di perseguitare le organizzazioni per i diritti umani e i difensori dei diritti umani, e a rilasciare immediatamente e incondizionatamente tutte le centinaia di soldati e civili mobilitati che si oppongono alla guerra e che sono detenuti illegalmente e persino maltrattati”.
     La situazione non è molto più rosea in Ucraina dove sono sotto processo i due obiettori di coscienza Andrii Vyshnevetsky e Vitaly Alekseenko, per i quali a maggio scorso, presso la Corte Suprema ucraina di Kyiv, l’avvocato italiano Nicola Canestrini, in qualità di esperto internazionale dei diritti umani, ha presentato una memoria  sottoscritta insieme allo svizzero Derek Brett (dell’EBCO) e al greco Foivos Iatrellis (di Amnesty International): “Chiediamo alla Corte Suprema – si legge nel documento – di tenere conto di questo nostro parere per motivi di interesse pubblico internazionale in materia di diritti umani, stato di diritto e democrazia, per garantire un processo equo, ai sensi della Costituzione dell’Ucraina, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. 
    I legali ricordano poi che l’Ucraina ha l’obbligo di garantire il diritto umano all’obiezione di coscienza al servizio militare (anche ai sensi della legge marziale in vigore); che l’obiezione di coscienza come diritto individuale deve essere tutelata indipendentemente dall’appartenenza dell’individuo a organizzazioni religiose e che agli obiettori di coscienza arruolati forzatamente deve essere consentito di lasciare le forze armate. 
     Infine, in Israele vanno subito in carcere i refusenik, coloro cioè che rifiutano di prestare il servizio militare. Il 2 gennaio scorso è stato infatti condannato a trenta giorni di detenzione Tal Mitnick, un diciottenne israeliano che ha motivato così il suo rifiuto di arruolarsi: “L’attacco criminale contro Gaza non riparerà il terribile massacro compiuto da Hamas. La violenza non risolverà la violenza. Ed è per questo che rifiuto”. 
   Ha poi già dichiarato che il 25 febbraio prossimo non si arruolerà anche Sofi Orr, come si legge nel quotidiano ‘Avvenire’ del 13 gennaio scorso. Ecco perché: “Voglio mostrare ai miei coetanei che il servizio militare non è un destino ineluttabile. Ci sono alternative. Una buona metà dei ragazzi non finisce il periodo grazie a esenzioni mediche o religiose”. Nell’articolo citato, si legge che Sofi era già convinta del suo rifiuto prima del 7 ottobre: “Il massacro brutale e ingiustificabile di Hamas mi ha confermato platealmente e tragicamente che avevo ragione. Il gruppo islamista non ha alcuna scusante e non aiuta la causa palestinese. Questo stato di guerra latente, però, è sempre più pericoloso per tutti, oltre che ingiusto.”
    Alexander, Andrii, Vitaly, Tal, Sofi e gli altri obiettori senza nome rifiutano la distinzione dell’imperativo etico ‘non uccidere’ tra ambito privato e statale. Si assumono le conseguenze giudiziarie delle loro posizioni, che non contemplano il disimpegno morale. Parafrasando Hanna Arendt, sono gli esponenti di quella “banalità del bene” di cui il mondo intero, per ritrovare il buon sentiero della convivenza umana nella Pace, ha urgente bisogno.

Maria D’Asaro, 21.1.24, il Punto Quotidiano

Alexander Belik

L'avvocato Nicola Canestrini
Tal Mitnick

Sofi Orr




venerdì 19 gennaio 2024

Il fine non giustifica i mezzi...

Lettore: Perché non dovremmo raggiungere il nostro fine, che è buono, con qualsiasi mezzo, anche ricorrendo alla violenza? Dovrei forse star a pensare ai mezzi quando mi trovo un ladro in casa? Il mio dovere è di cacciarlo in qualsiasi modo. Perché dunque non dovremmo tentare di ottenere qualcosa usando la forza? E anche per conservare quello che avremo ottenuto dovremo liberarci dalla paura di usare la forza, nella misura in cui si renderà necessaria. Troverebbe ingiusto usare la forza per impedire a un bambino di buttarsi nel fuoco? In un modo o nell’altro, dobbiamo raggiungere il nostro fine.

Gandhi: Il suo ragionamento ha una sua plausibilità. Esso ha ingannato parecchie persone. Tempo fa ho sostenuto le stesse posizioni. Ma oggi penso di essere arrivato a posizioni migliori, e mi sforzerò di non deluderla.
   Esaminiamo innanzitutto l’affermazione secondo la quale noi avremmo il diritto di raggiungere il nostro fine usando la forza bruta perché gli inglesi raggiungono i propri fini usando tale mezzo. E’ perfettamente vero che gli inglesi usano la forza bruta e che per noi è possibile fare altrettanto, ma usando i loro stessi mezzi otterremo soltanto ciò che hanno ottenuto gli inglesi. E lei ammetterà che noi non vogliamo questo.
    La sua convinzione che non vi sia un rapporto tra mezzi e fini è un grave errore. A causa di tale errore anche uomini considerati religiosi hanno commesso gravi crimini.
Affermare ciò che lei afferma è come sostenere che si può ottenere una rosa piantando della gramigna. Se voglio attraversare l’oceano, posso farlo soltanto con una nave; e se pretendo di farlo con un carro sia io che il carro affonderemo immediatamente (…).
    I mezzi possono essere paragonati al seme, e il fine all’albero; tra i mezzi e il fine vi è lo stesso inviolabile rapporto che esiste tra il seme e l’albero.  Non è possibile che io raggiunga il fine ispiratomi dalla venerazione di Dio prostrandomi davanti a Satana. Se qualcuno dicesse: «Voglio venerare Dio; cosa importa che lo faccia usando i mezzi di Satana?» sarebbe giudicato un pazzo. Raccogliamo quello che seminiamo. (…)
    Se io voglio privarla del suo orologio, devo chiaramente battermi con lei; se voglio comprare il suo orologio, devo pagarlo; e se voglio farmelo regalare devo pregarla di farmene dono; e, a seconda del mezzo che ho impiegato, l’orologio è un oggetto rubato, è di mia proprietà o è un regalo,
Vediamo dunque che con tre mezzi differenti si ottengono tre risultati differenti. Insiste dunque ad affermare che i mezzi non hanno importanza?”
(continua...)

Gandhi: Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino, 1981, pagg.44,45

mercoledì 17 gennaio 2024

Caro Francuzzo,

        ci hai lasciato in un bel giorno di primavera, quando la zagara profumava la tua casa ai piedi dell’Etna. 
      La tua morte ci ha addolorato come quella di un amico prezioso. Senza la tua voce ci sentiamo sperduti, più soli... 
     Ci mancano la tua musica, la tua poesia, la tua arte, la tua spiritualità, il tuo acuto pensiero critico, la tua sapienza, la tua grazia, la tua gentilezza...
      Potremmo dedicare ora a te il tuo omaggio a Maria Callas - “Non sapevi di essere divina/o... ci hai spezzato per sempre il cuore … divinità dalla suprema voce/la tua temporalità mi è entrata nelle ossa” … 
Chi ci parlerà “di mondi lontanissimi/ di civiltà sepolte, di continenti alla deriva/dell'amore che si fa in mezzo agli uomini/di viaggiatori anomali in territori mistici”
Chi ci inviterà a seguire “per istinto le scie delle comete/come avanguardie di un altro sistema solare”?  
Chi evocherà “Segnali di vita nei cortili e nelle case all'imbrunire/luci che fanno ricordare le meccaniche celesti”? Chi ci consolerà con le parole magiche della tua ‘Cura’? “Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d'umore/Dalle ossessioni delle tue manie/Supererò le correnti gravitazionali/Lo spazio e la luce per non farti invecchiare…”
 
(continua in ‘Una sedia nell’aldilà, Diogene Multimedia, Bologna, 2023)


lunedì 15 gennaio 2024

Pippo Fava: il giornalismo come passione etica e civile

      Palermo – “Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell'ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo”: a fare queste affermazioni, nel 1981, è stato Giuseppe Fava, Pippo per amici e colleghi, il giornalista siciliano ucciso a Catania da Cosa nostra quarant’anni fa, il 5 gennaio 1984.
       Forse pochi ormai lo ricordano ancora. Chi era dunque Pippo Fava?
Fava nasce a Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa, il 15 settembre 1925. Dopo la laurea in Giurisprudenza all’Università di Catania, nel 1952 diventa giornalista professionista e inizia a collaborare con varie testate nazionali, tra cui La Domenica del Corriere e Tuttosport. Nel 1956 viene assunto dall’Espresso Sera dove, caporedattore sino al 1980, scrive di vari argomenti, dal cinema al calcio. Ma a fare scuola sono le sue interviste a mafiosi come Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo, vecchi boss di Cosa nostra. 
   Intanto il giornalista si cimenta con successo nella scrittura di romanzi e di pezzi per il teatro, nella saggistica e nella sceneggiatura cinematografica: si ricordano, tra le opere teatrali Cronaca di un uomo e La violenza, quest’ultima rappresentata in vari teatri italiani. Nel 1972 inizia la collaborazione col cinema: dal suo dramma La violenza: Quinto potere viene realizzato l’omonimo film da Florestano Vancini; nel 1975, dal suo primo romanzo, Gente di rispetto, viene tratto il film omonimo, diretto da Luigi Zampa. 
   Dopo aver lasciato l'Espresso sera, Fava si trasferisce a Roma, dove conduce Voi e io, trasmissione radiofonica su Radiorai. Cura poi la sceneggiatura di Palermo or Wolfsburg, film di Werner Schroeter, tratto dal suo romanzo Passione di Michele, che nel 1980 vince l'Orso d'Oro a Berlino. 
Nel 1980 torna a Catania dove, con una redazione di giovani giornalisti, fonda e dirige il Giornale del Sud, con il progetto di “realizzare giustizia e difendere la libertà”. Il giornale ospita denunce dettagliate sulle attività di Cosa nostra a Catania, attiva soprattutto nel traffico di droga. 
   Sulla direzione del Giornale del Sud, ecco le parole di Pippo Fava, in un’intervista del 1980 riproposta dal TG regionale della Sicilia il 5 gennaio scorso: “Questo giornale nasce per affermare una sua precisa presenza sia dal punto di vista politico che culturale. E vorrei precisare il senso di culturale: per noi cultura sarà dire la verità in qualsiasi settore delle attività sociali e civili della Sicilia. Cioè dire la verità nel settore della politica, dell’attualità, ma anche dello Sport, dello spettacolo, dell’arte, della cronaca… Noi vorremmo raccontare quello che accade e spiegare anche, nello stesso tempo, perché le cose accadono e come accadono.” 
   All’intervistatore che gli chiedeva quale fosse la linea politica del giornale, Fava rispondeva così: “Noi siamo dei ‘laici’. Siamo in quella grande area democratica in cui confluiscono tutte le vere, le autentiche, le più sincere forze della nazione. Non siamo per nessuno e non siamo contro nessuno, semmai siamo contro il Potere inteso nel senso più bieco della parola”.
    Ma la direzione di Fava al Giornale del Sud dura meno di due anni: la sua presa di posizione a favore dell’arresto del boss Alfio Ferlito, l’avversione all’installazione di una base missilistica a Comiso e l’arrivo al giornale di una nuova cordata di imprenditori (in parte legata ad alcuni mafiosi catanesi) ne causano il licenziamento, malgrado le proteste della redazione. E non manca neppure il tentativo fallito di un attentato con una bomba al tritolo, 
   Spinto dalla passione e dalla speranza - nell’intervista citata, Fava dice di essere, nonostante tutto, un sognatore, un uomo di speranza - con i suoi collaboratori (Elena Brancati, Michele Gambino, Riccardo Orioles, Antonio Roccuzzo, il figlio Claudio …) nel novembre 1982 fonda il mensile I Siciliani, che diventa ben presto la testata di riferimento del movimento antimafia siciliano. Fa scalpore l’articolo I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa, importante inchiesta-denuncia sulle attività illecite di quattro imprenditori catanesi (Carmelo Costanzo, Gaetano Graci, Mario Rendo e Francesco Finocchiaro) legati al boss Nitto Santapaola: la scomoda verità su chi muoveva le fila dell’economia catanese di quegli anni.
   Sarà purtroppo questo coraggio di scrivere la verità sui legami tra economia e mafia a costargli la vita: infatti il 5 gennaio 1984, mentre era al volante della sua Renault 5 davanti al Teatro Stabile di Catania per andare a prendere la nipote Francesca che recitava lì, cinque colpi di pistola misero fine alla sua vita.
   Dopo vari depistaggi e decenni di indagini giudiziarie, nel 2003, con sentenza definitiva della Cassazione, sono stati riconosciuti mandanti ed esecutori del suo assassinio il boss catanese Nitto Santapaola e il nipote Aldo Ercolano.
Dopo la sua uccisione, l'attività antimafia di Pippo Fava e de I Siciliani è stata portata avanti dalla Fondazione Fava, con varie iniziative di lotta alla delinquenza e promozione della cultura e della formazione.
   Inoltre, dal gennaio 2007 è stato istituito il Premio Nazionale "Nient'altro che la verità: scritture e immagini contro le mafie" riservato ai giornalisti, premio che si svolge ogni 5 gennaio a Catania e che quest’anno è stato attribuito all’editorialista de La Stampa Francesco La Licata. C’è anche un Premio Giovani, organizzato ogni 4 gennaio a Palazzolo Acreide.  Inoltre, dal gennaio 2010, su iniziativa del Coordinamento Giuseppe Fava di Palazzolo Acreide e in collaborazione con Fondazione Fava, Libera (Siracusa) - Associazioni, Nomi e Numeri contro le Mafie e Associazione Palazzolese Antiracket, è stato istituito un premio riservato alle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado, che premia gli studenti impegnati contro le mafie.
   Infine, il 5 gennaio, a ricordare e onorare la memoria di Pippo Fava, anche un messaggio del Presidente Sergio Mattarella: “La mafia lo ha ucciso per le sue denunce, per la sua capacità di scuotere le coscienze. Fava ha fatto del giornalismo uno strumento di irrinunciabile liberta. L’indipendenza dell’informazione, la salvaguardia del suo pluralismo sono condizione e strumento della libertà di tutti. Un impegno e un sacrificio a cui la Repubblica rende omaggio.”

Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 14.1.24

sabato 13 gennaio 2024

Aria di rivoluzione



Azzera
Inutili files
Spariglia le carte
Disegna diversi orizzonti danzanti
Azzurri                                





giovedì 11 gennaio 2024

La veglia

Bice Triolo: Rose gialle

La veglia non svanisce
come svaniscono i sogni.
Nessun brusio, nessun campanello
la scaccia,
nessun grido ne' fracasso
può strapparci da essa.

Torbide e ambigue
sono le immagini nei sogni,
il che può spiegarsi
in molti modi.
Veglia significa veglia
ed è un enigma maggiore.




Per i sogni ci sono chiavi.
La veglia si apre da sola
e non si lascia sbarrare.
Da essa si spargono
diplomi e stelle,
cadono giù farfalle
e anime di vecchi ferri da stiro,
berretti senza teste
e cocci di nuvole.
Ne viene fuori un rebus
irrisolvibile.

Senza di noi non ci sarebbero sogni.
Quello senza cui non ci sarebbe veglia
è ancora sconosciuto,
ma il prodotto della sua insonnia
si comunica a chiunque
si risvegli.

Non i sogni sono folli,
folle è la veglia,
non fosse che per l'ostinazione
con cui si aggrappa
al corso degli eventi.

Nei sogni vive ancora
chi ci è morto da poco,
vi gode perfino di buona salute
e ritrovata giovinezza.
La veglia depone davanti a noi
il suo corpo senza vita.
La veglia non arretra d'un passo.

La fugacità  dei sogni fa sì
che la memoria se li scrolli di dosso facilmente.
La veglia non deve temere l'oblio.
E' un osso duro.
Ci sta sul groppone,
ci pesa sul cuore,
sbarra il passo.

Non le si può sfuggire,
perché ci accompagna in ogni fuga.
E non c'è stazione
lungo il nostro viaggio
dove non ci aspetti.

Wislawa Szymborska: La gioia di scrivere, tutte le poesie (1945-2009), 
traduzione di Pietro Marchesani, pag. 515, Adelphi, Milano

martedì 9 gennaio 2024

A Gaza muore anche la nostra umanità...

Lucia Goracci
    Dal profilo FB della giornalista Lucia Goracci:

   "C’è una lettera di un collega, bellissima, chiama in causa un quotidiano che sarebbe ingiusto citare, anche se per lui inevitabile: ci lavorava e l’ha lasciato. Sarebbe ingiusto perché parla di noi tutti, parla dell’informazione italiana su Gaza. Da quando è pubblicata, ogni tanto devo tornare a rileggerla. Perché dà corpo, con lucida umiltà, ai pensieri che da tanto inseguono tanti di noi. Non tantissimi: non quanti avrei immaginato e desiderato che fossimo. Ma un certo numero di noi. 
    Questa lettera parla dell’informazione italiana su Gaza. Forse dovrei chiamarla l’assuefazione italiana su Gaza. Perché anche quelli che tra noi provano a fare la differenza, non la fanno. Il resto prevale. Prevale il racconto sanificato, di giornali e notiziari che sembrano stanze dello scirocco. Di qua l’autodifesa, di là l’ineluttabile contabilità della morte. Purché il conflitto non si estenda. Ma ogni giorno è Gaza stessa, un conflitto che si estende. 
    E allora, il racconto di quella guerra - se neanche riusciamo più ascoltare il suono delle nostre parole, ma ci culliamo nel loro rimestìo - non è solo, come dignitosamente Oriani scrive, “l’ultima misura della nostra tenuta etica”. Gaza - cosa che va ben oltre noi - sta misurando la tenuta stessa della nostra professione.
   La lettera di Oriani è un piccolo seme da irrorare."

Raffaele Oriani
Ed ecco la lettera del giornalista Raffaele Oriani:

     “Care colleghe e colleghi – ha scritto nella sua lettera alla redazione il collega Oriani- ci tengo a farvi sapere che a malincuore interrompo la mia collaborazione con il Venerdì. Collaboro con il newsmagazine di Repubblica ormai da dodici anni ed è sempre un grande onore vedere i propri articoli pubblicati su questo splendido settimanale.       Eppure chiudo qua, perché la strage in corso a Gaza è accompagnata dall’incredibile reticenza di gran parte della stampa europea, compresa Repubblica (oggi due famiglie massacrate in ultima riga a pagina 15). Sono 90 giorni che non capisco. Muoiono e vengono mutilate migliaia di persone, travolte da una piena di violenza che ci vuole pigrizia a chiamare guerra.
     Penso che raramente si sia vista una cosa del genere, così, sotto gli occhi di tutti. E penso che tutto questo non abbia nulla a che fare con Israele, né con la Palestina, né con la geopolitica, ma solo con i limiti della nostra tenuta etica. Magari fra decenni, ma in tanti si domanderanno dove eravamo, cosa facevamo, cosa pensavamo mentre decine di migliaia di persone finivano sotto le macerie. Quanto accaduto il 7 ottobre è la vergogna di Hamas, quanto avviene dall’8 ottobre è la vergogna di noi tutti.  
      Questo massacro ha una scorta mediatica che lo rende possibile. Questa scorta siamo noi. Non avendo alcuna possibilità di cambiare le cose, con colpevole ritardo mi chiamo fuori”.

Raffaele Oriani, da qui
Grazie Lucia, grazie Raffaele.

(A Lucia ho dedicato un pezzo qui)

domenica 7 gennaio 2024

A Favignana il "Giardino dell'Impossibile"

       Palermo – A Favignana, la maggiore delle isole Egadi, che si trova a circa sette km. dalla costa occidentale siciliana nello spazio di mare fra Trapani e Marsala, c’è un giardino di circa quattro ettari davvero speciale: si sviluppa infatti all’interno di una cava di tufo e si estende per quasi la metà sottoterra.
   A volerlo, idearlo e crearlo, sessant’anni fa circa, è stata Maria Gabriella Campo, una palermitana figlia di un minatore che si era trasferita nell’isola appunto negli anni ’60, dopo le nozze con un costruttore edile favignanese.
      Ecco cosa ha raccontato qualche giorno fa suo figlio Nino, adesso curatore del giardino fa, alla giornalista Carla Falsone, del TG regionale della Sicilia: “Poiché mio padre era un costruttore e lavorava parecchie ore al giorno, mia madre, che non lavorava, stava tanto tempo sola in casa e aveva parecchio tempo libero. Decise così di realizzare qualche aiuola fiorita nella cava di tufo ormai abbandonata, vicina alla casa dove abitava, partendo da una piantina di margherite… Gli amici le dicevano di smetterla con quest’operazione inutile, perché, secondo loro, le piante non avrebbero potuto crescere in mezzo alla sabbia, alla calcarenite. La cava era infatti costituita da calcarenite, una pietra bioclastica formata da sabbia, da molluschi e conchiglie sfaldate nella sabbia, che via via nel tempo hanno costituito depositi stratificati. Per i suoi conoscenti, far crescere qualcosa di verde nella cava di tufo, oramai utilizzata anche come discarica, era un’impresa impossibile.”
    Ma la tenacia, la passione, la cura e l’amore per il verde della signora Maria Gabriella, che desiderava anche onorare la memoria del padre che da giovane aveva lavorato come “cavatore” di tufo (in dialetto ‘pirriatore’), col tempo hanno avuto la meglio sulla sotterranea stratificazione sabbiosa: è nato infatti quello che oggi viene chiamato ‘Giardino dell’Impossibile’, un insieme profumato e variopinto in cui, accanto alla macchia mediterranea, crescono più di quattrocento specie di piante provenienti da Sud America, Africa e Oceania. 
   Ci sono felci verdi, agrumi e alberi che hanno ormai quarant’anni, le cui radici hanno trovato spazio tra le pareti di tufo, la metà delle quali si trova sotto il livello stradale.
    Oggi la vegetazione prospera e cresce al riparo dal vento e dalle intemperie atmosferiche, in una sorta di ecosistema unico ed originale: “È un microclima particolare perché evidentemente l’umidità che arriva da sotto, dal basso riesce a riparare le piante dal vento, dalla salsedine – afferma Stefania Procida, guida del Giardino dell’Impossibile – quasi come se la cava avesse permesso di formare una sorta di piccola serra naturale...”
     Dal 2003 ‘Giardino dell’Impossibile’ è stato aperto alle visite guidate, in quanto bene culturale di valore storico-antropologico, oltre che botanico e naturalistico; il 30 novembre 2021 ha avuto la concessione del patrocinio gratuito da parte dell’Assessorato dei Beni Culturali della Regione Siciliana. 
    Infine, questo particolare spazio verde è ormai iscritto alla rete dei ‘Grandi Giardini Italiani’ ed è perciò inserito negli itinerari internazionali del settore.

Maria D’Asaro, 7.1.24, il Punto Quotidiano

mercoledì 3 gennaio 2024

Flash di bellezza: grazie, Sandro

Luna piena nascente - Porto di Palermo



     Tra le fortune di nostra signora, c’è quella di avere amici speciali: uno di questi è Sandro Riotta, valente fotografo per passione e… tanto altro.
      Con le sue magnifiche foto, buon 2024.



(Qui un altro post con sue splendide foto)





Palermo: luci del porto


Luna immortalata il 25 ottobre 2023

Corteo trionfale di cassate siciliane

Chiesa di s. Giuseppe Cafasso (Pa): Gesù bambino tra arance e stelle di Natale 

Chiesa di s. Giuseppe Cafasso (Pa): nel Presepe, anche santa Rosalia

Anche i corvi stanno a guardare

Storno... in attesa


Tre Fontane (Campobello di Mazara, Trapani) : scorci di azzurro