mercoledì 30 ottobre 2024

Alice in Wonderland: giocare con le parole

       “Quel che si consuma in Wonderland è la rivincita del linguaggio infantile, poetico (e folle) nei confronti della parola senza vita e senza contenuto esperienziale. In Alice diventa chiaro come insegnare troppo presto ai bambini il nome delle cose e delle esperienze rappresenti una contraddizione insopportabile: se le parole, infatti, hanno il compito di dare il nome alle esperienze, come possono essere apprese prima dell’esperienza?
     Dio – racconta la Genesi – prima crea il mondo e (solo dopo!) chiede ad Adamo di dare un nome alle cose. Nella nostra educazione operiamo in senso contrario: prima insegniamo i nomi e poi speriamo che avvenga l’esperienza (che sarà comunque perimetrata dalla definizione semantica e non aperta alla creatività).
Nel Paese delle Meraviglie, senza vincoli semantici, nascono parole nuove: «Stranissimissimo», «Bruttificare», la «poesia de Topo»… parole che possono sconvolgerci ma che trasmettono con maggiore luminosità l’esperienza. A pensarci bene, ad esempio, se per esprimere la nostra sensazione di sorpresa usiamo la parola «strano», abbastanza scontata, attutiamo l’originalità della nostra esperienza. Non si può trasmettere con una parola che non sorprende un’esperienza di sorpresa!
     Da qui la necessità dei poeti, che ridanno la vita e il fuoco dell’esperienza alle parole svuotate. Da qui il messaggio cifrato dei folli, che rimane fuso con l’esperienza e toglie alla parola il compito di separare e unire. Da qui il verbo originale dei bambini che, se rispettati, sono capaci di creare parole nuove.
    Dobbiamo dircelo con onestà: di fronte al linguaggio dei bambini e dei folli il nostro impulso immediato è quello di correggere, decriptare, e ricondurre alla normalità. Senza accorgerci che queste operazioni di adultizzazione (se non esiste questo sostantivo,  Alice ci dà il permesso di inventarlo) non fanno altro che svuotare le parole. (…)
    È certamente questa una delle intuizioni più geniali di Carroll: la caduta delle parole (Battaglini). (…) Bisogna apprendere un altro percorso: quello di lasciar cadere i nomi e assaporare la nudità dell’esperienza e delle cose. Oh, se i grandi fossero disponibili a riscrivere i loro vocabolari facendosi guidare dai bambini, dai poeti e dai folli: il nostro linguaggio (ri)aprirebbe orizzonti nuovi o dimenticati!"


Giovanni Salonia  Sulla felicità e dintorni (Il pozzo di Giacobbe, Trapani, 2011) pp.124-126
(A mio avviso, un testo imperdibile: l’ho recensito qui)



domenica 27 ottobre 2024

Sofia, Daniel, Tarteel e Aisfa: uniti per la pace

         Palermo – Nella martoriata Palestina e nello stato di Israele, la speranza di far cessare la follia brutale della guerra ha il volto limpido di quattro giovani. Quello di Sofia Orr e di Daniel Mizrahi, una ragazza e un ragazzo israeliani che hanno fatto l’obiezione di coscienza, rifiutando di indossare la divisa militare e imbracciare le armi e per questo, secondo le leggi israeliane, sono stati per un certo periodo in prigione; e quello di Tarteel Yasser Al Junaidi e Aisha Amer, due donne palestinesi attiviste nonviolente, in lotta contro l’occupazione dei loro territori e in difesa dei diritti umani, calpestati nell’attuale situazione di guerra.
        Sofia e Daniel, Tarteel e Aisfa credono nella possibilità del dialogo tra palestinesi e israeliani e lavorano insieme per una risoluzione nonviolenta del lungo e sanguinoso conflitto tra le parti. Sono una sorta di "gruppo misto" israelo-palestinese, e rappresentano due importanti movimenti: Sofia e Daniel fanno parte di ‘Mesarvot’, una rete di giovani attivisti israeliani che rifiutano di prestare il servizio militare obbligatorio, mettendo in pratica l’obiezione di coscienza: mentre Tarteel e Aisfa fanno parte di Community Peacemaker Teams - Palestina (CPT), un’organizzazione che sostiene la resistenza di base nonviolenta all’occupazione israeliana.
       I quattro attivisti sono stati invitati in Italia dal Movimento nonviolento per la Campagna di Obiezione alla guerra: nel nostro paese hanno partecipato a conferenze stampa e iniziative pubbliche, dal 16 al 26 ottobre. Arrivati a Milano il 16 ottobre, nella capitale lombarda hanno tenuto il primo incontro pubblico; il 17 e il 18 sono stati a Verona, dove hanno incontrato il sindaco, il vescovo della città e i giovani di un liceo cittadino; il 19 si sono recati a Bologna, domenica 20 ottobre a Parma e Reggio Emilia; il 21 e il 22 a Firenze. 
   Penultima tappa del loro viaggio è stata Roma, dove sono stati il 23, il 24 e il 25. A Roma hanno incontrato gli studenti universitari dell’Università della Sapienza, i giovani che svolgono il Servizio Civile e sono stati ascoltati dalla Commissione permanente per i Diritti Umani alla Camera dei Deputati. 
   Infine, sabato 26 si sono recati a Bari, dove hanno partecipato alla Giornata di mobilitazione nazionale "Fermiamo le guerre. Il tempo della pace è ora”. 
Da Bari, proprio oggi domenica 27 ottobre Sofia, Daniel, Tarteel e Aisfa torneranno nei loro paesi.
In questi dieci giorni di permanenza in Italia, con la loro testimonianza hanno ribadito che è possibile il rifiuto della violenza e delle armi e della follia della guerra. Hanno chiesto a noi italiani di sostenere concretamente e politicamente i movimenti nonviolenti, gli obiettori di coscienza, i pacifisti che lavorano per la convivenza dei due popoli. 
   Come scrive il Movimento nonviolento che ha organizzato il loro viaggio in Italia: “la richiesta di pace che si alza dalle popolazioni civili, è l'unica alternativa alla violenza cieca dell'esercito e dei gruppi armati che a Gaza, in Cisgiordania, in Libano e in Israele stanno seminando odio e vendetta. La spirale che ci sta portando al terzo conflitto mondiale può essere spezzata: l'obiezione alla guerra è il primo passo. Per questo chiediamo alle istituzioni, all'Unione Europea, al nostro governo, di riconoscere lo status di rifugiati politici a tutti gli obiettori di coscienza, disertori, renitenti alla leva, che fuggono dalle guerre e chiedono asilo e protezione”.
    Grazie allora a Sofia, Daniel, Tarteel e Aisfa che, con le loro difficili scelte individuali, dimostrano che il dialogo tra israeliani e palestinesi non è un’utopia e che è possibile desiderare e progettare insieme la pace. 
Maria D'Asaro, il Punto Quotidiano, 27.10.24





venerdì 25 ottobre 2024

Fuori la guerra dalla Storia

            Nostra signora certe cose proprio non le capiva. Ad esempio, perché s’insegnasse ai bambini a non litigare e a essere buoni, perché si tenessero seminari agli insegnanti per conoscere e prevenire il bullismo, perché si considerasse terribile un omicidio… e poi non ci si scandalizzasse quando, per una questione di confine o altri disaccordi tra due o più stati, esseri umani uccidessero i propri simili o fossero orrendamente uccisi a loro volta. Perché l’etica che va bene tra due persone, piccole o grandi che siano, viene disattesa e ribaltata se si tratta di affrontare un conflitto tra i popoli di stati diversi? Nostra signora evidentemente era un po’ tarda e questo davvero non lo accettava.
             Domani allora a Palermo, alle 10 a p.zza Croci, nonostante non amasse troppo le manifestazioni, avrebbe marciato con tutte le donne e gli uomini di buona volontà che avrebbero chiesto: “Fuori la guerra dalla Storia!” 




giovedì 24 ottobre 2024

E oggi festeggiamo i 105!

         
       Oggi abbiamo l’immenso ‘prio’ di festeggiare i 105 anni della mitica zia Lillia! 
     
       Un grazie e un abbraccio anche a zia Ninì che con i suoi ‘soli’ 96 anni e mezzo è la sua spalla e il suo supporto (e il suo orecchio, visto che l’unica lieve patologia di cui è affetta zia Lillia è una certa sordità…)





Qui racconto un po' di cose su di lei: 











                                            
                                                                Eccola oggi, la zietta! 

domenica 20 ottobre 2024

Murales e peperoncino, ecco Diamante

       Palermo – Chi si reca a Diamante, ridente cittadina calabrese sulla costa tirrenica nord occidentale, in provincia di Cosenza, si chiede l’origine di questo nome tanto suggestivo. 
      Il perché lo rivela una leggenda popolare: una volta, nel tempo che fu, sarebbe stato visto volare un corvo che aveva nel becco un diamante. La pietra preziosa sarebbe poi caduta nelle acque del torrente che, prima di sfociare nel mar Tirreno, attraversa il paese: torrente che si chiama proprio Corvino…
      Maria Stella Fabiani, nel sito istituzionale del comune di Diamante, fornisce una chiave di lettura del mitico racconto: “Il significato di questa leggenda è fortemente simbolico: al torrente Corvino, quasi trasformato in una creatura mitologica, si deve la fondazione del nucleo abitato che, già nelle carte topografiche del 1692, era indicato con il nome che ancora oggi lo identifica. Non è un caso che sia stato proprio il Corvino a far nascere, sia pure simbolicamente, il Diamante, in quanto esso è la causa prima del popolamento del territorio e della sua graduale trasformazione in centro abitato. Infatti, la risorsa acqua, fornita dal fiume, è stata fondamentale in una economia prettamente rurale”.
   Anche se qualche insediamento risale ai tempi dei Greci e dei Romani, la nascita di un nucleo abitato nei luoghi dove oggi c’è Diamante viene datata intorno al 1500. Però solo alla fine del diciassettesimo secolo la popolazione dalle campagne si spostò verso il mare, attratta dalla felice posizione del luogo: si sviluppò così il centro abitato, che divenne presto un centro nevralgico per la pesca e agricoltura.
Oggi comunque Diamante per i suoi 8 Km di spiagge ben conservate e pulite e per la bellezza del suo mare, a cui nel 2021 è stata assegnata la Bandiera blu, è una delle più gettonate mete turistiche della Calabria 
   Nel litorale nord della cittadina, di fronte alla frazione di Cirella, si può ammirare l’isoletta omonima, grande 0,12 Kmq. con un’altezza massima di 40 metri, con flora tipica della macchia mediterranea e boschetti di euforbio e limoni. Le sue rocce calcaree, sottoposte all’erosione del mare, hanno dato origine a varie grotte ed insenature. I fondali del lato orientale dell’isola di Cirella sono ricchi di vegetazione marina, soprattutto di Posidonia oceanica. 
   Nel 1981, l’amministrazione comunale approvò la proposta del pittore Nani Razetti di dipingere le mura della cittadina con colorati murales, ispirati a vari soggetti. Vennero così chiamati 85 artisti, provenienti da varie parti del mondo, perchè dipingessero i muri dei vicoli del borgo marinaro di Diamante e di Cirella.  Negli anni successivi, sono arrivati a Diamante altri artisti che hanno continuato ad arricchire con i loro affreschi la cittadina e la sua frazione.
   Nel 2021 Diamante ha celebrato il quarantennale dell’iniziativa artistica con la manifestazione Murales40, che ha visto la realizzazione di nuove opere come quella di Jorit su una delle pareti del palazzo di città, e il restauro di alcuni dei più significativi murales del 1981, come quelli di Eva Krump e Ibrahim Kodra. 
    Diamante è poi uno dei 24 comuni che fanno parte della Riviera dei Cedri, nome conferito alla fascia settentrionale del litorale tirrenico calabro a causa della diffusa coltivazione del cedro. Le caratteristiche particolari di questo agrume (di grosso taglio e profumato), lo hanno reso assai noto sul mercato mondiale, anche per il profondo legame con i rabbini provenienti da tutte le comunità ebraiche del mondo, soliti arrivare ogni anno nella Riviera dei Cedri per selezionare il cedro perfetto, ovvero il "frutto dell'albero più bello" (detto ‘etrog’ in lingua ebraica), da utilizzare durante la festa di ‘Sukkot’ (Festa delle Capanne). Grazie alla sua massiccia esportazione verso Israele e gli Stati Uniti, dov'è ancora utilizzato dai rabbini, il cedro è una risorsa economica consistente per l'intero territorio.
    Oltre che per i suoi murales e per la coltivazione del cedro nelle zone vicine, Diamante è considerata la capitale del peperoncino, molto utilizzato nella cucina calabrese. 
Dal 1992, infatti, vi si svolge il "Peperoncino Festival". Il festival, che è insieme una rassegna culturale e gastronomica, è stato ideato dal giornalista Enzo Monaco per il cinquecentenario della scoperta delle Americhe, che ha dato inizio all'importazione in Europa del peperoncino.
    La manifestazione si svolge solitamente nei primi giorni di settembre e dura circa una settimana, durante la quale si svolgono le degustazioni della mostra "Mangiare Mediterraneo", i "Laboratori piccanti", altre mostre, il cabaret, la "Rassegna del cinema piccante", la presentazione di libri, la premiazione della migliore tesi di laurea sul peperoncino e persino convegni medici. Nella cittadina c’è anche l’Accademia italiana del peperoncino, che conta migliaia di associati in tutto il mondo.
   Diamante è inoltre sede di altri eventi culturali: vi si tengono seminari e incontri di studio organizzati dall’Istituto italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, grazie anche alla pregressa collaborazione con il professore Nuccio Ordine, recentemente scomparso, già docente di Letteratura italiana presso l’Università della Calabria.
    Inoltre, a inizio settembre, si svolge il Mediterraneo Festival Corto: nato nel 2011, è un concorso cinematografico dedicato ai cortometraggi, che premia opere provenienti da tutto il mondo. La manifestazione cinematografica è considerata selezionata tra i dieci più importanti festival d’interesse culturale in tale ambito. Dal 2011 a oggi, ha ospitato alcuni importanti nomi del cinema e della cultura.
Infine, nella frazione di Cirella, in genere nella terza settimana di luglio e di agosto, ha luogo la manifestazione ‘Calici sotto le stelle’ che promuove e valorizza i vini calabresi.

Maria D'Asaro, 20.10.24, il Punto Quotidiano










martedì 15 ottobre 2024

Etty: balsamo per le ferite...

    Grazie di cuore a Lucia Contessa, che in FB dona costantemente perle preziose come questa. 

"Si vorrebbe essere un balsamo  per molte ferite": così scriveva il 13 ottobre 1942 Etty Hillesum  in una  pagina del suo Diario.
E Lucia Contessa continua (in un commento): “E mi risuonano altre parole di Etty, giuste giuste per questi giorni di dolore e lutti lontani e vicini: «Il nostro primo dovere morale è quello di dissodare vaste aree di tranquillità dentro noi stessi, sempre maggior tranquillità, fintanto che si sia in grado d’irraggiarla anche sugli altri. E più c’è pace nelle persone, più pace ci sarà in questo mondo»
    E Lucia aggiunge: “Non possiamo cambiare il mondo, ma il nostro mondo interiore sì, e chi ci riesce irraggia anche gli altri”.  

(qui la biografia di Etty Hillesum:https://it.wikipedia.org/wiki/Etty_Hillesum

Alla fine si legge che: “Il documentario "Bringing Etty Hillesum to Life" riporta alla ribalta la figura della scrittrice olandese per accostarla a una tragedia storicamente più vicina, quella vissuta dal popolo palestinese. Il documentario raccolta di una donna ebrea israeliana (Emma Sham-Ba Ayalon) e di una donna palestinese (Dina Awwad-Srour) che sono state toccate dal diario di Etty Hillesum e hanno avviato un progetto di pace in Israele e nei territori occupati.
Utilizzando brevi estratti dal diario di Etty, le due donne hanno sviluppato delle schede che utilizzano per il proprio lavoro di pace interiore, condiviso in gruppi di pratica che uniscono ebrei e palestinesi. La ricerca personale di Etty Hillesum per un futuro umano risuona con i partecipanti a questi incontri e li aiuta a rinnovare la loro visione della pace.
Una buona parte del documentario si svolge durante un ritiro degli Zen Peacemakers a Westerbork, nel corso del quale vengono letti i nomi di tutti gli ebrei deportati.”)


domenica 13 ottobre 2024

La logica della guerra. Nella Grecia antica e anche oggi

       Palermo – Come nasce e si sviluppa una guerra? Ci sono analogie e dinamiche ricorrenti tra le guerre combattute nell’antica Grecia e quelle odierne? Andrea Cozzo, docente di Lingua e Letteratura greca all’Università di Palermo, nel libro La logica della guerra nella Grecia antica (University Press, Palermo, 2024), risponde con chiarezza a queste domande, attraverso un’analisi rigorosa e accurata di vari scritti della Grecia antica e la disamina di alcune guerre di oggi. 
      Per chi scrive, la lettura del testo è stata tanto dolorosa quanto necessaria: dolorosa perché, attraverso le testimonianze storiche riportate dall’autore, è discesa nell’inferno delle guerre antiche facendo memoria di eventi terribili, lutti, stupri, torture e infinite devastazioni; necessaria perché ha preso ulteriore consapevolezza dell’irrazionale assurdità della guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti. Quindi, ad avviso della scrivente, La logica della guerra nella Grecia antica (scaricabile gratuitamente qui: https://unipapress.com/book/la-logica-della-guerra-nella-grecia-antica/), andrebbe letto da ogni persona che vuole accrescere la sua coscienza umana e civile.  
       Cosa si impara, quindi, da questo saggio prezioso? 
  Intanto che “Il gioco drammatico della guerra costituisce una vera e propria trappola, perché ha una dinamica propria, in parte oscura e aleatoria”: “è la guerra, il suo meccanismo a farsi soggetto e a prendere il potere sugli uomini”. Come scriveva lo storico Tucidide, riguardo alle guerre civili «la guerra… è un maestro violento, e rende conforme alle circostanze lo spirito della gente». 
   Leggendo le cronache degli innumerevoli conflitti armati nella Grecia antica, si ha la sensazione che davvero i combattenti, da una parte e dell’altra, siano soggiogati da un «offuscamento mentale» (che Omero chiama áte), e così trasformati in una sorta di burattini tragici, in mano a divinità capricciose che li portano alla rovina.
   L’autore sottolinea poi che la prima vittima della guerra è la verità, che spazza via l’oggettività. A tal proposito, evidenzia le analogie tra le dinamiche narrative nel racconto erodoteo delle guerre persiane e in quello della prima guerra del golfo: “Nel primo caso, ai Greci sono attribuiti tutti i valori ritenuti positivi (…). Nel secondo, si applica uno schema pienamente parallelo contrapponendo la libertà, la giustizia, la democrazia occidentale che conduce una guerra ‘chirurgica’, con bombe intelligenti che prendono di mira solo i militari della parte avversa”.
    Allora, quando oggi si ascoltano le notizie dei media dai campi di battaglia, bisognerebbe sempre ricordare che la verità non appartiene mai alla guerra perché fa parte dei piani militari non dare informazioni sulle proprie reali condizioni. Citando scritti di Plutarco ed Erodoto e di trattatisti militari, Cozzo sottolinea che “in guerra nessuna evidenza è mai davvero prova di qualcosa” e che “in guerra ciò che conta è l’apparenza, ciò che si vuol fare apparire”. La guerra è poi assimilabile a una pratica teatrale (non a caso spesso si pronuncia la frase ‘teatro delle operazioni belliche’), che si fa non solo con le armi, ma anche con le parole e con la psicologia e che spesso, nel passato come nel presente, prevede la ‘damnatio memoriae’ e la cancellazione dei segni della cultura del nemico.
      Inoltre, sottolinea l’autore, ieri come oggi, non fanno un buon servizio alla pace gli attori mediatici che pongono come domande ricorrenti (e forse uniche) “Chi ha ragione? Chi è il buono? (l’aggredito) e chi è il ‘cattivo’ (l’aggressore)? Qual è la causa (rigorosamente al singolare) del conflitto armato? Chi ha commesso crimini di guerra? Quale delle due parti in conflitto fa la propaganda e quale dice la verità? (…). Sono tutte domande all’interno di un’impostazione del problema bellico che pensa la soluzione, sebbene dentro tempi per nulla definiti, in termini militari: ‘ovviamente’, basta capire chi è nel torto e porsi accanto, con le armi, a chi è dalla parte della ragione. (…). Ma la questione è: si tratta di un’impostazione che possiamo ritenere corretta, utile o anche solo necessaria?
   Infatti, riguardo al primo basilare interrogativo (chi ha cominciato?) Cozzo, alla luce di una disamina storica rigorosa, evidenzia che “dalla guerra di Troia in poi, la responsabilità, gli inizi e le cause di una guerra non sono mai lineari” e “Quasi nessuno ammette di attaccare illegittimamente per primo”.
  E poi: “La causa di una guerra può essere individuata diversamente da ciascuna delle parti in conflitto: lo si è visto nel disaccordo tra Fenici e Persiani a proposito della responsabilità dell’inimicizia tra Greci e barbari (…) o nel problematico rapporto tra Sparta e Atene nel V sec. a.C.” “Basta periodizzare diversamente da come fa il ‘nemico’ e selezionare un fatto piuttosto che un altro e la giustizia starà interamente dalla propria parte”.
    Da sempre le parti in guerra nutrono l’illusione di una rapida risoluzione del conflitto armato: “Tale illusione prevede innanzitutto l’idea che si entri in guerra con decisione perché si tratterà di una guerra-lampo”. La pretesa del controllo e della rapidità della guerra fa un tutt’uno con l’illusione della vittoria. Inoltre, ogni guerra non pone solo la questione delle sue cause reali e di chi abbia iniziato, ma anche di dove risieda la giustizia e a chi appartenga veramente, non essendo torti e ragioni autoevidenti e visibili a tutti allo stesso modo.
    Andrea Cozzo si ritrova d’accordo con la tesi dello studioso Johan Galtung (da poco scomparso) secondo cui sia le guerre dell’antichità che quelle contemporanee sono fondate sul sistema di pensiero DMA, acronimo di Dicotomizzazione, Manicheismo, Armageddon.  Per Galtung la DMA è una vera e propria sindrome patologica, in quanto i rapporti tra i contendenti sono impostati sulla Dicotomizzazione, cioè sulla polarizzazione irrisolvibile Io-l’Altro, senza possibilità di dialogo e di confronto tra le parti; sul Manicheismo, che induce a credere che da una parte, naturalmente la propria, ci sia tutto il Bene e dall’altra, quella altrui, tutto il Male; sull’Armageddon, l’idea per cui il conflitto deve risolversi inevitabilmente con il ricorso alle armi.
    Ancora, il testo induce chi legge ad abbandonare l’illusione che nella guerra possano esistere limitazioni etiche: citando molti esempi, l’autore mostra che c’è una ferocia strutturale in tutti i conflitti armati e che “la ferocia e non ‘proporzionalità dei danni da infliggere al nemico, ben diversamente da come oggi spesso si pretende, sono un elemento organico alla guerra e non una sua anomalia. (…) “Quelli che chiamiamo ‘crimini di guerra’ fanno parte intrinsecamente della pratica bellica, e la distinzione tra combattenti e non combattenti si rivela solo vuota retorica (…).  La tecnica della guerra non conosce distinzioni né limiti: essa è, per definizione, uno stato d’eccezione rispetto a ogni regola”.
    Il testo mostra come nell’antichità (e spesso anche oggi) la situazione dei civili non fosse affatto migliore di quella dei soldati. La vendetta atroce si esercitava nel passato soprattutto sulle donne degli sconfitti: da sempre donne e bambini patiscono le peggiori conseguenze delle guerre.
   L’autore sottolinea ancora che ogni guerra si trasforma in un vicolo cieco e cita il professore Alberto Camerotto che scrive «quando si comincia una guerra non si può più tornare indietro. Una volta intrapresa la strada delle armi, appare necessario arrivare alla vittoria, perché il sangue delle vittime apparirebbe essere stato versato inutilmente (…) Nessuno pensa invece al sangue che, con la cessazione della violenza, verrebbe risparmiato».
    Si riporta poi lo stretto rapporto nell’antichità tra religione e guerra, evidenziando i vari modi in cui tale relazione si esplicava. Cozzo però aggiunge: “Che le cose vadano in questa maniera in una società in cui politica, giustizia e religione non sono ambiti autonomi…non dovrebbe stupirci. A stupirci, piuttosto, forse dovrebbe essere il fatto che anche oggi (…) ogni esercito abbia i suoi cappellani militari che benedicono uomini che vanno a uccidere e a essere uccisi”.
   L’autore evidenzia infine come nell’antichità il ruolo degli storici vada inteso in senso molto lato: “A quei tempi generi e strutture narrative non hanno uno statuto distinto o, almeno, esso non coincideva con le categorie odierne”. I resoconti di Erodoto, Tucidide, Polibio, Diodoro Siculo restano all’interno di un pensiero segnato dall’orizzonte bellico: “il mestiere dello storico è la continuazione, sul piano della scrittura, di quello del soldato e del comandante”. Qualche spiraglio di un diverso orizzonte si ha con Plutarco di Cheronea e in Dionigi di Alicarnasso, secondo cui “Il racconto storico deve educare non solo a vincere la guerra, ma anche a costruire la pace”.
    È consolante leggere, comunque, che già nel 373 a.C. due ateniesi illuminati, Callia e Callistrato, affermassero rispettivamente che bisogna iniziare le guerre con la maggiore lentezza possibile e, quando già ci siano, finirle il più rapidamente possibile e che «certamente, tutti sappiamo che sempre sono scoppiate guerre e sempre sono finite, e che noi, se non ora, poi desidereremo la pace. Perché dunque bisogna aspettare il momento in cui rinunceremo (alla guerra) per la moltitudine dei mali, piuttosto che fare la pace al più presto, prima che avvenga l’irrimediabile?»
    Bellum alienum a ratione, denunciava già nel 1963 la Chiesa cattolica con l’enciclica Pacem in Terris: modalità irrazionale e diabolica di affrontare i conflitti internazionali, la guerra è davvero il male assoluto. Saremo così saggi da capirlo in tempo e di cancellarla dalla Storia?

Maria D'Asaro, 13.10.24, il Punto Quotidiano

giovedì 10 ottobre 2024

Grazie, papà

       Caro papà,
saresti stato fiero del mio tesserino rosso di giornalista, del primo libro pubblicato, di quello che vado scrivendo…Saresti stato il mio lettore più assiduo, critico e attento.
    Avresti amato immensamente Irene e Riccardo, che hai abbracciato piccolini… Luciano, che non hai fatto in tempo a conoscere. Oggi saresti stato un ottimo nonno, ricco di cura e sorrisi.
     Ci sei sempre, all’inizio e alla fine dei miei gesti e delle mie fibre più autentiche: eri contento del mio essere insegnante, saresti stato ultra-felice, oltre che della mia passione per la scrittura, per il mio lavoro di volontaria in carcere, per il mio impegno ecologista e nonviolento.
   A volte, mi sovviene la dolcezza passata della tua presenza, del tuo conforto, del tuo perenne sorriso. Che mi mancano tanto. 
  Sono comunque stata fortunata a essere tua figlia e cerco di abitare la tua 'presenza' e il tuo infinito sorriso. Grazie, papà.

(chissà forse sei stato uno dei 36 giusti che salvano il mondo…)

mercoledì 9 ottobre 2024

Il no alla guerra ha il volto di Sofia...

Sofia Orr
      Sofia Orr e Daniel Mizrahi vengono da Israele, hanno rifiutato armi e divisa, sono obiettori di coscienza e per questo reduci dal carcere.
Tarteel Yasser Al Junaidi e Aisha Amer vengono dalla Palestina, sono attiviste nonviolente e difendono i diritti umani, contro l’occupazione.
      Quattro testimoni di pace, che credono nel dialogo, e lavorano insieme, come “gruppo misto” israelo-palestinese. Rappresentano due importanti movimenti: Mesarvot, che è una rete di giovani attivisti israeliani che rifiutano di prestare il servizio militare obbligatorio, e Community Peacemaker Teams – Palestina (CPT) che sostiene la resistenza di base nonviolenta guidata dai palestinesi contro l’occupazione israeliana.
    Invitati dalla Campagna per l’Obiezione alla guerra, saranno ospiti, con conferenze stampa e iniziative pubbliche in alcune città italiane nel mese di ottobre.
     Un tour di 10 giorni, da Milano a Bari, per far conoscere all’opinione pubblica italiana i volti e la voce di chi, dentro alla follia della guerra, già realizza progetti di pace, a partire dal rifiuto della violenza e delle armi. La richiesta è di sostenere concretamente e politicamente i movimenti nonviolenti, gli obiettori di coscienza, i pacifisti che lavorano per la convivenza dei due popoli. La richiesta di pace che si alza dalle popolazioni civili, è l’unica alternativa alla violenza cieca dell’esercito e dei gruppi armati che a Gaza, in Cisgiordania, in Libano e in Israele stanno seminando odio e vendetta. La spirale che ci sta portando al terzo conflitto mondiale può essere spezzata: l’obiezione alla guerra è il primo passo. Per questo chiediamo alle istituzioni, all’Unione Eurpea, al nostro governo, di riconoscere lo status di rifugiati politici a tutti gli obiettori di coscienza, disertori, renitenti alla leva, che fuggono dalle guerre e chiedono asilo e protezione.
Durante tutto il tour, i 4 testimoni saranno accompagnati e tradotti da Daniele Taurino, presidente di EBCO-BEOC (Ufficio Europeo Obiezione di Coscienza). (qui articolo completo)

lunedì 7 ottobre 2024

Sette ottobre

Paul Klee: Notte blu (1937)


Scie

Smarrite, stranianti

Sentieri straziati, spezzati

Spazi siderali senza speranza

Silenzio    

domenica 6 ottobre 2024

Il Tappeto volante per unire i popoli

     Palermo – L’opera artistica denominata Tappeto volante è uno dei simboli del Museo delle Trame Mediterranee, nel comune siciliano di Gibellina, in provincia di Trapani. L’opera, durante le recenti Olimpiadi della scorsa estate, è stata esposta negli spazi di Casa Italia al Pré Catelan di Parigi, l’edificio storico all’interno del parco del Bois de Boulogne, dove nel 1894 Pierre de Coubertin brindò alla ripresa dei Giochi Olimpici dell'era moderna. A Parigi il manufatto è stato ammirato anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
     Il Tappeto volante è stato ideato e realizzato nel 2000 da un collettivo di artisti, geografi, urbanisti ed architetti italiani del gruppo Stalker, Osservatorio/Laboratorio Nomade di arte urbana, insieme a venti esuli curdi e ad alcuni artigiani senegalesi e rom. Costruito con 41.000 corde di canapa e terminali in rame, è di proprietà del nostro Ministero degli Esteri, che lo commissionò in occasione della mostra 'L'Islam in Sicilia, un giardino tra due civiltà'.  
     Per realizzarlo, gli artisti si sono ispirati ai ai volumi a muqarnaṣ del soffitto della cappella Palatina e della Zisa a Palermo, opera nel dodicesimo secolo di maestranze islamiche, su commissione dei re normanni dell’epoca. 
   È chiamata muqarnas una soluzione decorativa tipica dell'architettura islamica, originata dalla suddivisione in tante nicchie più piccole della superficie delle nicchie angolari che raccordano il piano circolare di una cupola con il quadrato della base, formando quindi una sorta di stalattiti a nido d'ape. L’elemento decorativo a muqarnaṣ - in pietra, mattoni, stucco, legno o ceramica - fu usato nelle cupole, in volte di ogni tipo, in nicchie di portali e anche come elemento di raccordo tra parete e cornice.  
   Il Tappeto volante dal 2000 ad oggi ha rappresentato i rapporti della Sicilia con l’Islam in tante città del Mediterraneo e del Medio Oriente. Da Parigi, è tornato a settembre a Gibellina, nel museo  fondato nel 1992 da Ludovico Corrao (1927-2011), collezionista e amante dell’arte, ma anche uomo politico e avvocato: nel 1965 fu il legale di parte civile di Franca Viola, la prima donna in Italia a ribellarsi al matrimonio riparatore, che contribuì in modo determinante a fare cancellare il cosiddetto delitto d’onore dal codice penale. 
    A fianco di Danilo Dolci in tante battaglie civili, l’avvocato e uomo politico, dopo il tragico terremoto del Belice del 1968, ha speso il suo impegno per la gente di Gibellina, comune distrutto dal terremoto, con tanta gente in lutto e senza più niente. Più volte sindaco del paese, ha guidato la rinascita del centro belicino coinvolgendo architetti, artisti e intellettuali di grande prestigio e dando vita al Festival delle Orestiadi. Nel ’92 ha poi creato la Fondazione Orestiadi e il Museo delle Trame Mediterranee per favorire il dialogo, da lui tanto desiderato, tra le culture mediterranee e il mondo. 
   Enzo Fiammetta, direttore oggi a Gibellina del museo, ha sottolineato che l’opera caratterizza infatti lo spirito del museo: la possibilità che l’arte sia utilizzata per favorire la convivenza pacifica delle diverse culture. 
   Dopo un quarto di secolo di vita, ora però il Tappeto volante necessita di un restauro, affinché il manufatto artistico possa continuare a simbolizzare il valore di pace e di amicizia che dovrebbe unire i popoli. Del Mediterraneo e non solo.

Maria D'Asaro, 6.10.24, il Punto Quotidiano