Quando Maruzza era bambina, non esistevano
i condizionatori. O almeno, non ne esistevano nel paesino piccino picciò dove
trascorreva le vacanze col nonno, le zie e la sorellina. Allora le estati si
intrecciavano con una brezza leggera che accarezzava la pelle; e a volte, di sera,
si indossava la giacchetta di lana. Non sappiamo se quegli Agosti lontani erano
giganti possenti, capaci di opporsi a Caronte e Lucifero, o se era solo la sua
pelle fresca da picciridda che rendeva il solleone più lieve.
Dopo il pranzo a base di spaghetti col sugo
di pomodoro, melanzane, basilico e una spolverata di ricotta salata, anche lei,
come il nonno e le ziette, andava a fare la siesta. Nella stanza più alta della
casa, che custodiva il ritratto dei nonni ancora con i capelli neri e dallo sguardo
fiero, i quadri di Gesù deposto dalla croce e di san Giovanni Battista bambino,
che abbracciava un agnello. La stanza col tetto dalle grandi travi di legno,
intervallate da piccole canne.
Spesso, prima di prendere sonno, la
bambina veniva accarezzata da una goccia di luce che filtrava da quel soffitto maestoso.
Una lama dorata, che era riuscita ad aprirsi un varco tra tegole e
incannucciato. E in quell’accenno di bagliore lucente, in quei pomeriggi
sospesi, Maruzza ritrovava tutta la protezione di cui aveva bisogno: le due
generazioni che facevano quadrato verso la Nera Signora, il profumo tiepido
della sua infanzia, la benedizione celeste che la teneva per mano.
E la promessa di un futuro: brillante come
quella sua personale cometa.
Hai catturato un intimo raggio di sole, l'hai gelosamente custodito per lungo tempo, ed ora ne condividi tutta la fede che vi avevi riposto... Molto generoso, da parte tua: quella goccia di luce è più preziosa di tutto l'oro del mondo. Bisognerà solo esserne degni... Ciao, grazie e buonanotte Maruzza.
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