venerdì 10 agosto 2012

Il piccolo Rafael di piazza Spina



Sarà perché di mestiere faccio l’insegnante e so che vuol dire parlare di legalità ai ragazzi difficili. Sarà perché il romanzo è ambientato a Palermo e io a Palermo ci vivo. Sarà perché la storia e il contesto che la scrittrice racconta, pur se di fantasia, sono più veri di quelli reali. Fatto sta che a me Cose da pazzi di Evelina Santangelo (Einaudi, Torino 2012, € 21)  è piaciuto da matti.
L’autrice, con una tecnica narrativa che a mio avviso ricorda le riprese con telecamera a spalla dei  fratelli Dardenne, ci introduce in un immaginario quartiere del centro storico palermitano dove il dodicenne Rafael vive con il padre Marcello, più disoccupato che operaio, e con Estella, madre colombiana arrivata in Italia in cerca di “buena suerte” perchè “siccome il mondo è tondo è fatto per muoversi”. La scrittrice ci offre una narrazione in terza persona dal punto di vista di Rafael, offrendoci un’immersione straniante e struggente nei pensieri arruffati di un ragazzino di seconda media, una sorta di meninos de rua, un ragazzino di strada tutto nostro, che ha come idoli assoluti Miccoli e gli Zero Assoluto, e come amico del cuore Richi, “il figlio malato della signora Franca”.
 Con un ritmo narrativo a zig-zag, sospeso tra i fili intrecciati del racconto e le linee liquide e a volte smarrite delle sensazioni di Rafael, ci viene offerto un microcosmo quasi claustrofobico che ruota attorno a piazza Spina, dove c’è la chiesa con gli angeli e i santi, e da cui si partono vicolo Grande e vicolo Storto. Rafael ci presenta Cetti e Salvo, gestori di una trattoria rimediata rubando pezzi di marciapiede, amici di quelli che comandano nel quartiere; Rocco, posteggiatore abusivo; Lilla che arrotonda chiedendo l’elemosina ma che sa anche curare i canarini malati; Vito il barbiere, Fiorella/Fiamma/Mauro/Stella, puttana di casa. E ci introduce nel mondo dell’amico Richi, col peso ingombrante della sua malattia, e dei compagni Lillo ed Eros. Con una visione che include anche i cani Bumma, Ciccia e Fifa e i gabbiani che mangiano i corpi dilaniati, ma ancora vivi dei piccioni.
E’ una sorta di Monopoli strana, la Palermo di vicolo Grande e Vicolo Storto inventata dalla Santangelo. Una Palermo attraversata dalla globalizzazione dal basso, perché, come dice Vito il barbiere: “La fame nel mondo c’è sempre stata (…) la differenza è solo quella che ora lo sappiamo di più. Da parte loro, quelli che vengono dai barconi: “Già ringraziano che sono qua (…) Prendono tutto il lavoro che viene, senza certe pretese. E dicono grazie.” Una Monopoli cittadina dove, alla fine, non vince nessuno: nemmeno il fratello ladro di Richi che mette l’Attak nel catenaccio del negozio di Giovanni il salumiere. Una Palermo/Monopoli che rimane desolata e irredenta, nella quale si sommano le disperazioni doppie degli orizzonti individuali e collettivi a cui né il don Cosimo della chiesa degli angeli e i santi né la professoressa Rita riescono a dare un senso.
E’ un mondo a tinte scure, quello visto con gli occhi di Rafael. La Santangelo è davvero brava a tratteggiare, col linguaggio coerente di un ragazzino palermitano di oggi, le pennellate amare di un universo a tratti disperato.
 Ma alla fine il romanzo non lascia un retrogusto negativo, perché – come ha sottolineato l’autrice in un incontro di presentazione del libro – in un mondo smarrito e compromesso a tutti i livelli, in cui i buoni e i cattivi non si distinguono facilmente, la differenza la fa chi resiste; chi, come il padre di Rafael, tiene la barra di un difficile rigore etico. Soprattutto, la differenza la fa la voce fuori dal coro della professoressa dagli occhi verdi: che ce la mette tutta per seminare nella mente e nel cuore dei ragazzi pensieri nuovi e per convincerli che un altro mondo è possibile. Che, ad esempio, è possibile vivere senza spremere l’Attak nelle serratura e senza chiedere il pizzo. E che: “Se uno non conosce niente e non ha visto niente, non sa nemmeno dove può andare, cosa gli può capitare nella vita, cosa può desiderare. Desidera solo quello che ha. Mentre: “Se uno ha l’età vostra (…) deve capire cosa vuole e cosa non vuole. E lo deve sapere che ha un sacco di possibilità, che può scegliere”.
E allora, pensando a Rafael e a Richi, che stanno sotto un “cielo appeso, striato di viola e di un blu fluorescente”, “il cielo di quando non è ancora buio ma non è più giorno (…) che anche ai gabbiani deve far venire quella specie di euforia tutta lacrime”, alla fine si ha voglia di spendersi un poco di più per tutti i ragazzi dei vicoli sporchi di questa Palermo. E augurargli un futuro migliore.                          
 Maria D’Asaro (“Centonove”: 10 agosto 2012)

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