Un etto di genuina indignazione e uno di
ardito sarcasmo, un’abbondante dose di creatività, una base di buona cultura e generose
quantità di toni surreali e noir; una bustina di lievito etico, con l’aggiunta di
pizzichi di ironia grottesca; il tutto impastato con un periodare frizzante e guarnito
con spruzzate di puro divertimento: ecco gli ingredienti dell’appetitosa pietanza
narrativa che ci offre Claudia Palazzo con Morte del piccolo principe e altre vendette (Il Palindromo,
Palermo, 2016, €10). Il filo
conduttore dei sei brevi racconti, come suggerisce il titolo, è una sorta di
vendetta creativa su luoghi comuni e situazioni “topiche” della
contemporaneità. Bisogna però avvertire una categoria di lettori, quelli non più
giovanissimi e poco disposti a mettere in discussione le loro certezze esistenziali
e/o letterarie: costoro potrebbero inorridire leggendo il primo racconto, Morte del piccolo principe, che avanza un’ipotesi
dissacrante sulla famiglia del piccolo principe e sulla vera causa delle sue
celeberrime conversazioni con rose, volpi e stelle … Tali lettori potrebbero forse rimanere spiazzati
anche dal secondo racconto: resoconto dettagliato della vendetta cruenta di un’ex
universitaria, cameriera per disperazione, che dopo “aver sperimentato il passaggio tra due mondi tramite una porta
basculante”, impazzisce per la solitudine e le umiliazioni, nauseata dalla
vista di tanti “rozzi parvenus con
l’illusoria etichetta di persona di classe” solo perchè ordinano “un gambero crudo solitario in mezzo al
deserto di un piatto bianco dalla foggia irregolare guarnito da inutili
ghirigori di crema di aceto balsamico, e lo pagano 30 euro”.
Dietro Hell’s kitchen (questo il titolo del secondo racconto) occhieggia
comunque lo sguardo attento della giovane autrice, studiosa di Sociologia;
sguardo acuto e disincantato che si dispiega appieno negli altri quattro
racconti: in Sentenza di morte – collocato,
come il primo racconto, in un lontano
passato nel quale le differenze di classe decretavano distanze abissali nei
destini degli individui – il protagonista, Aroldo Fasano, è un bambino ricco,
grasso e frustrato che da adulto, divenuto magistrato, riversa sugli imputati
la sua rabbia e la sua sofferenza pregressa: “era il suo feticismo segreto, rovinare la vita alla gente con un
graffietto di quella sua orrida stilografica”, finché un poveraccio non
gliela fa pagare. In questo racconto è
impossibile non avvertire alcune contaminazioni scientifico/letterarie: l’eco
delle teorie lombrosiane, i vinti dei romanzi di Verga e persino il carattere del giudice vendicativo reso
celebre da Edgar Lee Master nell’Antologia
di Spoon River, giudice poi cantato da Fabrizio De Andrè.
Se in Morte del piccolo principe, in Hell’s
kitchen e in Sentenza di morte l’ispirazione
gotico/noir la fa da padrona, gli altri tre racconti ci offrono suggestioni
diverse: in Scampoli – dedicato al
compianto prof. Umberto Eco – viene fustigato l’uso approssimativo e talvolta
scorretto che della lingua italiana fanno alcuni docenti universitari, di
fronte ai quali una studentessa modello, per “essere capita” deve magari “abbassare tatticamente il livello del
registro linguistico, evitare latinismi e congiuntivi (…) essere futilmente
parolaia, prediligendo al ragionamento ampio una verbosità ingiustificata, ma
modernissima”. Finchè, stanca dei quotidiani soprusi linguistici, la
studentessa ordisce un’originale vendetta, sotto lo sguardo umanizzato delle
due fedeli gattine, Berengaria e Bonagratia. In Sogni sciroccati viene invece stigmatizzato lo sfruttamento dei
collaboratori da parte di molte testate giornalistiche; in un caldo pomeriggio
estivo, complice la flemma del suo computer “con una ram sicula, fatalista e moritura”, Daria Andreoli, giovane giornalista
sfruttata, si prenderà la meritata rivincita, propiziata da una pennichella
liberatoria che sguinzaglia nel sonno celeberrimi assassini. Uno scanzonato
ritmo narrativo, quasi un “allegro con brio”, accomuna felicemente Scampoli e Sogni sciroccati.
Nell’ultimo racconto l’autrice rivela
appieno la sua competenza di studiosa di Storia e Sociologia e, soprattutto, la
sua passione etica e civile: il libro, che forse avevamo iniziato a leggere in
sordina, rivela infine un notevole spessore storico e umano, sorprendente in
una scrittrice così giovane e così birbante con le sorti del piccolo principe …
La vicenda del professor Jelloun, magistralmente narrata ne L’errore di Fukuyama, ci colpisce e ci
commuove, raggiungendo vertici di inaspettato lirismo. E, con il professor
Jelloun, Claudia Palazzo ci consegna un messaggio che sottoscriviamo: il sapere
autentico è in ogni caso l’opzione più umana e più giusta, la migliore
“vendetta” verso un destino ingiusto e
una società cieca.
Maria D’Asaro: “100nove”,
n.45 dell’1.12.2016, pag.31
Mi hai intrigato: lo leggerò, in questa o nell'altra vita! Recensione impeccabile... Un abbraccio.
RispondiEliminaDOC: grazie dell'apprezzamento. Ricambio l'abbraccio.
EliminaMi accodo a DOC, intrappolata, lietamente, dal fine ordito. Ho voglia di leggerlo!
RispondiEliminaSanta S: potrebbe intrigarti. L'autrice scrive in modo impeccabile. Un abbraccio.
EliminaQuesto commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiElimina