"E' classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno”. Nelle parole di Italo Calvino c’è la vera spiegazione della fortuna dei classici. Opere immortali che ci offrono delle lenti per guardare noi stessi con altri occhi, per leggere il nostro tempo ma in lontananza, identificandoci con quelle vicende e quei personaggi in cui da secoli continuano a rifletterci come allo specchio. I classici sono capolavori senza data di scadenza (...), proprio perché restano dei long/seller dell’anima.
È questa la ragione per cui Ulisse e Don Chisciotte, Clitemnestra e Lady Machbeth, Renzo e Lucia, Anna Karenina e la duchessa di Guermantes non hanno mai finito di dirci quello che hanno da dirci. E visto che non ci stanno a restare chiusi nei libri dove sono nati, saltano continuamente fuori come popup installandosi nel nostro immaginario. La loro forza è tale che continuano a funzionare con ogni tipo di supporto. Dal cinema alla televisione, dai cartoon alla musica, dalle arti visive al teatro. Proprio perché riescono a tenere insieme la Storia con la esse maiuscola e le nostre piccole storie, le grandi finzioni e la realtà quotidiana di ciascuno di noi.
Ci aiutano a orientarci nei labirinti misteriosi del cuore e nei meandri oscuri della mente, di cui diventano le figure simbolo. Quelle che parlano a noi e di noi, al di là delle parole, spesso a nostra insaputa. Dando voce a quel lato oscuro e inspiegabile della vita che altrimenti non arriverebbe a mostrarsi. Figure come Edipo, Medea, Fedra, Cassandra sono un poetico effetto notte della coscienza. Luci che illuminano quel dialogo al buio che ciascuno ha con se stesso e con gli altri.
È proprio quel che faceva il teatro nell’antica Grecia attraverso le vicende esemplari degli eroi tragici. Soffrendo, commuovendosi, interrogandosi, immedesimandosi in quelle storie grandi e terribili, di madri che uccidono figli e di figli che uccidono madri, i cittadini della polis cercavano un filo che li aiutasse a orientarsi nelle tenebre dell’umano, a trovare ragioni per ciò che non ha ragione. Per liberarsi da quella quota di buio che è in tutti i mortali proiettandola sui protagonisti di quelle vicende immortali. Che facendo deflagrare la tensione fra ethos e pathos aprivano di fatto la scatola nera dell’essere. Davano un corpo e un volto a un enigma destinato altrimenti a diventare un incubo senza nome. Insomma i classici sono istruzioni per l’uso della vita.
Marino Niola - La Repubblica , 1/8/2015(Marino Niola è un professore napoletano di antropologia e un giornalista: vedi qui.)
Credo di sì. Dal punto di vista della letteratura la definizione di "classico" data da Calvino è eccezionalmente esplicativa. E quando parla del "rumore di fondo" in cui viene relegata l'attualità si rivela per me suggestiva. Dal punto di vista del nostro vivere penso che in questo modo si centri la pari importanza del "qui ed ora" e il senso dei "valori" che dovrebbe guidare la nostra quotidianità. Splende il sole stamattina e leggo il tuo blog.
RispondiEliminaCiao Aldo! Ti leggo sempre con piacere e stima affettuosa. Anche oggi c'è il sole ...
EliminaCondivido appieno, è questa la sensazione che provo. A volte quasi di conforto. Grazie Maria.
RispondiEliminaCiao Santa: leggere i libri, specie quelli 'importanti', ti fa sentire meno sola e "consolata". Un abbraccio.
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