Cosa fa pensare che oggi esista un significativo bisogno di spiritualità?
Se per spiritualità intendiamo, come si fa solitamente, un’attitudine religiosa – addirittura in senso confessionale - penso che il bisogno di spiritualità sia in sensibile decremento. Qualora, invece, restituiamo alla parola “spiritualità” il suo significato originario, a mio avviso più autentico, di vita interiore intensa che si manifesta in gesti limpidi ed efficaci, allora possiamo riconoscere che c’è una grande sete di spiritualità. Mi spingerei ad asserire che proprio la crisi delle confessioni religiose apre spazi nuovi alla coltivazione delle spiritualità naturali, laiche.
Come si collegano spiritualità e filosofia?
In Occidente il cristianesimo ha gradatamente, ma inesorabilmente, monopolizzato nell’opinione pubblica la nozione di “spiritualità”. Ma di questo processo sono stati responsabili, primi fra tutti, i filosofi i quali – dimenticando, come hanno insegnato Hadot e Foucault, che la filosofia greca è stata per secoli una pratica spirituale – hanno ridotto troppo spesso la filosofia a mero esercizio intellettuale, a tecnica logica. Anche pensatori viventi, come Martha Nussbaum, ribadiscono e testimoniano che la filosofia è integrale quando è un modo di essere nel mondo, non solo un modo di pensare il mondo.
E’ per questo, suppongo, che il sottotitolo di uno dei tuoi ultimi libri (“Mosaici di saggezze” Ed. Diogene Multimedia, 2015) recita: “Filosofia come nuova antichissima spiritualità”. Ma filosofia e spiritualità non sono articoli di lusso, per poche persone?
Davanti ai tanti problemi, urgenti e drammatici, che costellano la geografia del nostro pianeta globalizzato è spontaneo ritenere che occorra dare la precedenza ad altri settori di analisi e di operatività come la produzione economica e la prassi politica. Soprattutto a venti o trenta anni è facile convincersi che nuove scoperte scientifiche, ardite applicazioni tecnologiche e soprattutto serie riforme politiche possono farci uscire dalla stagnazione in cui versiamo come individui e molto spesso come Stati. Ma la storia ci insegna che un’umanità spiritualmente povera riesce a sprecare anche le occasioni più favorevoli. Non si tratta di sottovalutare ciò che possiamo e dobbiamo innovare sul piano delle strutture economiche, sociali e politiche: si tratta di convincersi che ogni sperimentazione su questo piano va accompagnata, innervata, sostenuta da quella che Antonio Gramsci chiamava “riforma intellettuale e morale”. Se questo è vero, non ci sarà imprenditore o politico in grado di cambiare davvero il corso della storia se il livello medio dei lavoratori e degli elettori - dei cittadini, insomma – non sarà cresciuto quanto a saggezza, onestà intellettuale, gusto della contemplazione, familiarità col bello, pace interiore, sensibilità per la sofferenza dei viventi umani e oltre. Le urgenze sono numerosissime, ma democratizzare la spiritualità non è tra le meno impellenti. Su questo registro non mi stupirei se cardinali blasonati con attici di lusso o cattedratici dalle bibliografie chilometriche dovessero rivelarsi meno “spirituali” di maestre di provincia o di artigiani quotidianamente fedeli agli impegni della propria bottega.
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