Palermo - Pochi italiani conoscono Lanza del Vasto, pseudonimo di Giuseppe Giovanni Lanza, filosofo, poeta, saggista, musicista e pittore. Nato nel 1901 in Puglia, a San Vito dei Normanni, da padre siciliano e madre belga, Giuseppe Giovanni Lanza si reca nel 1937 in India dove trascorre tre mesi con il Mahatma Gandhi e si converte alla nonviolenza. Da Gandhi riceve l’appellativo di ‘Shantidas’: servitore di pace. Tornato poi a vivere in Francia, Lanza del Vasto fonda subito dopo la II guerra mondiale la Comunità dell’Arca, i cui membri si impegnano a diffondere l’ideale della nonviolenza, attraverso stili di vita sobri, rispettosi della natura, orientati alla condivisione. Lanza del Vasto fu tra i primi intellettuali a denunciare i pericoli delle armi atomiche e l’assurdità, nel XX secolo, del ricorso alla guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti, invitando la Chiesa cattolica a fare altrettanto. Pare che papa Giovanni XXIII abbia pubblicato l’enciclica Pacem in Terris anche spinto dalla sua preghiera e dal suo silenzioso digiuno durante la Quaresima del 1963. Lanza muore nel 1981.
Nel testo Le due potenze sono stati riediti due testi storici di Lanza del Vasto: Della Bomba e La Chiesa di fronte al problema della guerra (La Meridiana, Molfetta, 2022), con contributi di Antonino Drago, Giovanni Mazzillo, Maria Albanese, Enzo Sanfilippo, Frederic Vermorel.
Nella prefazione, il teologo e filosofo francese Daniel Vigne, studioso del pensiero di Lanza del Vasto, evidenzia che i due testi scritti da ‘Shantidas’ al tempo della guerra fredda tra Stati Uniti e URSS, oggi, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e lo spettro terrificante di un possibile conflitto nucleare, sono di una sconcertante attualità: “Il primo, intitolato De la Bombe, riguarda l'arma atomica, alla quale si possono associare le armi chimiche e batteriologiche. Questi nuovi mezzi di guerra sono concepiti per sterminare centinaia di migliaia – se non milioni – di civili, uomini, donne, anziani, bambini. Un tale armamento è assolutamente inumano, ad onta della nostra civiltà. In nome dell’’equilibrio del terrore’, le superpotenze del mondo hanno, da mezzo secolo, trascinato il mondo in una logica folle. Nove Paesi detengono oggi il potere di annientare più volte l’umanità intera e di distruggere ogni vita sulla terra. Che questo ci garantisca sicurezza è un ragionamento aberrante (…).”
Vigne sottolinea ancora che: “la Bomba non garantisce la pace: aumentando la paura, aumenta il pericolo. Trasmette, prima ancora di esplodere, un’onda d’urto che soffoca il buon senso e, come dice Lanza, disintegra la logica. Per la sua stessa potenza, acceca le nostre intelligenze. Con forza e chiarezza, Lanza del Vasto ci convince: l’umanità deve rinunciare a questa arma atroce”.
Nel secondo scritto, Lanza del Vasto esamina la posizione della Chiesa cattolica riguardo alla guerra. Come si evidenzia in quarta di copertina “La Chiesa, pur nata da un messaggio di nonviolenza radicale, ha talvolta mantenuto un rapporto ambiguo con la violenza e la guerra. Nel nome di una "guerra giusta" si è continuato a benedire i cannoni, e i discepoli di Cristo hanno continuato a massacrarsi. É mancata la pratica della nonviolenza attiva, proposta e vissuta da Gandhi come forma di azione politica, attuata in modo non solo personale, ma collettivo.”
Lanza del Vasto sottolinea invece che “la nonviolenza è l’assoluto contrario dell’indifferenza passiva… non è neppure ‘resistenza passiva’, né rassegnazione alla fatalità.” E ancora: “La nonviolenza è qualcosa di assai più forte. Non è nient’altro che la Forza della Verità. La prima cosa che devo sapere e mai dimenticare è che il mio nemico, contrariamente alle apparenze, non è un demone né l’incarnazione del male (…) se è ingiusto e furioso e sbaglia è mio dovere ricondurlo alla verità. (…) Il nonviolento è colui che strappa al nemico i veli del suo accecamento e si tiene davanti a lui come uno specchio e una lampada. (…) Il nonviolento assomiglia più a un eroe guerriero che a un dolce ipocrita (…).
Infatti: “La nonviolenza è la lotta per la giustizia con ‘le armi della giustizia’. (…) Perché le armi di colui che lotta per la giustizia devono essere del tutto diverse da quelle degli ingiusti. Se giudico ingiusto quel che mi ha fatto il mio aggressore, con quale giustizia e quale logica posso giudicare buono comportarmi allo stesso modo? E come posso chiamare bene il male che si rende per il male subito?”
Il testo è stato presentato a Palermo il 23 febbraio scorso presso la Sala Alberione della Libreria Paoline di corso Vittorio Emanuele, con la presenza dell’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice. L’attrice Preziosa Salatino ha letto alcune pagine del testo.
Moderati da suor Fernanda Di Monte, sono intervenuti vari ospiti: don Giovanni Mazzillo, teologo ed esponente di Pax Christi, ha sottolineato che sta facendosi strada nella coscienza umane la consapevolezza che la guerra è una “consuetudine malefica, un crimine conto l’umanità, una struttura di peccato… un retaggio arcaico della legge del taglione”. Abbiamo bisogno quindi di un salto di qualità innanzitutto culturale, che ci porti a pensare alla guerra come crimine assoluto e ingiustificabile verso le creature e il pianeta.
La professoressa Stefania Macaluso, dell’Associazione Le Rose Bianche di Palermo, ha sottolineato la necessità di superare lo stato etico di hegeliana memoria, riconoscendo alle istanze dei popoli e alle coscienze individuali il diritto di cittadinanza nella Storia. Si è poi interrogata su come l’Occidente si sia quasi piegato alla logica della guerra, ignorando prassi politiche altre, come la nonviolenza e la ricerca di negoziati. Da docente in un liceo, registra il grande dolore dei giovani, ormai cittadini del mondo, che sentono sulla loro pelle il dramma incipiente della guerra.
Daniela Dioguardi, dell’UDI di Palermo, animatrice del Presidio di Pace delle Donne, ha ribadito ancora una volta che è necessario cambiare il sistema patriarcale, storicamente caratterizzato dal paradigma della forza e del dominio, paradigma ormai fatto proprio purtroppo anche dalle donne nei posti di potere. È indispensabile invece sostituire la forza con la prassi della cura e dell’amore, nella consapevolezza del limite e della sostanziale fragilità degli esseri umani, donne e uomini insieme.
Maria Albanese ed Enzo Sanfilippo, responsabili della Comunità dell’Arca italiana, hanno evidenziato come la nonviolenza non sia affatto un concetto astratto, ma una via praticabile, un amore strutturato che apre a orizzonti di futuro e di speranza possibili. Forse manca ancora un contributo cristiano che ponga la formazione alla pace e alla nonviolenza come alternative credibili alla guerra, anche se ci sono diversi contributi storici e sociologici che raccontano la possibilità e l’efficacia pratica delle strategie nonviolente.
L’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, dopo avere ricordato con tristezza che quella attuale in Ucraina è anche una guerra di religione in quanto i cristiani ortodossi si stanno ammazzando tra di loro, ha sottolineato la necessità di tornare alle Beatitudini, al Beati i miti perché erediteranno la terra, Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio. È necessario, rimanendo fuori dalle logiche stringenti dei sistemi politici e militari, avere il coraggio di assumere il paradosso delle Beatitudini e continuare a osare la Pace, audacia profetica e cuore pulsante della Buona Novella cristiana.
Maria D'Asaro, 26.2.23, il Punto Quotidiano
Preziosa Salatino |
Presentazione di suor Fernanda Di Monte |
Intervento di don Giovanni Mazzillo |
Intervento di Stefania Macaluso |
Intervento di Daniela Dioguardi |
Interventi di mons. Lorefice, di Maria Albanese, di Enzo Sanfilippo |