"Vi abbiamo visto arrivare. Quasi 10.000 anni fa, lo ricordiamo bene. Anche se allora avevamo già centinaia di migliaia di anni, ma lo ricordiamo bene perché le nostre fronde erano piene di vita e di speranza.
Anche noi eravamo arrivate lì da poco, a mano a mano che i ghiacci si ritiravano e si spostavano più in alto, trascinandovi i nostri cugini che non sopportavano il caldo e che ora ritrovate mescolati ai rododendri e al ginepro nano lassù nelle vostre terre alte.
Lo ricordiamo bene. Allora insieme ad altre specie avevamo costruito le brughiere, dove il brugo e la felce aquilina la facevano da padrona, ma anche tutte noi altre eravamo rigogliose, perchè da sempre sappiamo che se una sparisce, tutte poi si diventa più povere.
Vi abbiamo visto arrivare da sud, inseguendo piccole e grandi prede. Allora non vi fermavate molto, giusto il tempo della buona stagione e poi, come tanti uccelli, tornavate nelle terre calde. Il vostro ritorno da noi era un momento di gioia, perché ben prima del Sole e degli uccelli annunciavate la primavera. Altre erano allora per noi le preoccupazioni. Una in particolare, l’avanzare delle foreste che togliendoci il sole ci avrebbero tolto anche la vita. In nostro soccorso giungeva spesso il fuoco. Nessuna di noi ha mai saputo come e perché, ma, misteriosamente, repentinamente, divampava tra noi per poi spegnersi pian piano. Un momento di sofferenza anche brutale, ma passeggera, che lasciava il campo a una vita che ricresceva rigogliosa. Dopo ogni passaggio la brughiera sembrava più forte, perché ad uscirne malconce erano le piante più alte che cercavano di entrare nei nostri territori.
Vi abbiamo visto arrivare e una cosa di voi ci aveva subito incuriosito. Quel vostro essere alti nel cielo, drizzati su due zampe. Non eravate come gli altri animali, che hanno testa, sensi e cuore vicino alla terra da cui dipende la loro vita. La vostra testa, i vostri sensi, il vostro cuore sembravano puntare verso l’alto, quasi disdegnaste l’umile suolo della brughiera. E infatti non vi siete fermati nelle nostre terre. Né altrove. Dovunque, siete andati altrove. E anche là dove vi siete fermati, voi eravate altrove.
Che cosa cercavate? noi ci si chiedeva. Eravate così in tutti gli ambienti. Era come se foste insoddisfatti di quello che la terra vi offriva e foste alla ricerca di qualcos’altro, che fiutavate tenendo alta la testa, nel cielo. Forse quello è il vostro destino, come il nostro è lottare tra i rami del brugo.
Vi abbiamo visto arrivare e notato con sorpresa che alle vostre spalle sempre più spesso divampava il fuoco. Già lo conoscevamo. Ma voi ne sembravate i padroni.
All’inizio abbiamo visto quasi con gioia che lo usavate per farvi spazio nell’enorme foresta della pianura, offrendo anche a noi qualche possibilità in più, che qua e là abbiamo sfruttato. Con il passare del tempo avete cambiato il modo di vivere, vostro e di tutti gli esseri che vi circondano.
Prima vi muovevate continuamente per la caccia e la raccolta dei frutti stagionali nei nostri territori, lasciandoli immobili nel loro equilibrio raggiunto. Ora avevate preso a far muovere le specie per poter stare fermi voi. Avete disboscato per piantare cose che prima non c’erano, portandole da altri luoghi. Avete piantato specie che nascono, vivono, producono per poi venir raccolte e usate come cibo per voi in un ciclo perenne calibrato sui vostri bisogni. Avete portato con voi specie che neppure mangiate né usate per altro. Solo perché vi sembravano belle. Avete portato animali di cui vi nutrite e per poterli tenere avete trasformato un’enorme foresta in una pianura coltivata. Tutto è cambiato nel nostro mondo perché tutto è cambiato in voi. Per fare tutto questo avete costruito specie meccaniche, creature di un mondo che nessuna di noi ha mai visto né pensato.
Ecco! finalmente l’avevamo capito quel vostro star ritti verso il cielo! Gli altri animali hanno testa, sensi e cuore a terra, perché quello è il loro mondo e non vogliono cambiarlo. Voi invece volevate allontanarvene, in qualche modo. Anche rimanendoci. Abbiamo capito che voi, pur fermi tra noi, pensavate ad altri mondi in cui vivere. Li avevate dentro e li avete realizzati fuori, a vostro piacere e spesso a nostro danno. A noi non restava che ritirarci là dove era più difficile per voi governare la terra. Avevamo scelto i primi colli che si affacciano sulla vostra pianura. In verità abbiamo potuto occupare solo zone che voi tenevate sgombre dall’invadenza del castagno, che tempo addietro avete portato qui per il suo seme prelibato, cambiando in modo definitivo l’aspetto dei boschi di prima. Le radure sui colli vi servivano per far pascolare gli armenti e per cacciare al passo gli uccelli. Il pascolamento degli animali non ci ha danneggiato, anzi, brucando i teneri germogli di altre specie e disdegnando i nostri, ci hanno aperto a una nuova speranza. Nonostante tutto abbiamo convissuto bene per molti secoli.
Poi avete abbandonato la terra, perché avete perso qualcosa in voi, l’equilibrio, il senso della misura, il gusto per la bellezza. Ancora non molti decenni fa vivevamo al Ponte Secco, sul Canto Alto, sulla Cima Tagliate, sul Colle d’Argon, sul M. Croce e sul M. Sega. La chiusura degli spazi ci aveva ridotto dieci anni fa a sopravvivere nelle ultime due località, dove nel 1999 ancora ci avete visto.
Ma già cinque anni dopo non ci avete più ritrovato. Ci avete annientato e il modo ci rattrista, perché potevamo continuare a convivere, se solo aveste avuto il senso della misura e del bello! Con una ruspa sui fianchi del Monte Sega avete tracciato una strada che ha tagliato la nostra popolazione, senza preoccupavi di stabilizzare il versante su cui ancora resisteva una piccola frazione, che pian piano ha dovuto cedere alla legge della gravità, finendo sulla strada tra le ruote delle auto. La stessa cosa avete fatto più in alto, a fianco di una radura con capanno. Lì il danno sembrava ben assorbito, il ciglio dello sterrato non aveva ceduto. Ma la scorsa stagione avete decorticato completamente tutta la radura. Nulla si è salvato della piccola brughiera che la impreziosiva. Infine quella sul M. Croce l’avete devastata con mille profondi solchi di motocross. Il castagno è stato più pietoso di voi. Ci ha ricoperto consegnandoci all’oblio.
Noi siamo certe che la nostra fine non è stata il frutto di una vostra malevola intenzione, ma il risultato per noi doloroso della sbadataggine con cui spesso intessete la relazione con la natura che vi circonda. Il nostro augurio per voi è che questo non succeda anche tra voi. Quello per noi è di poter rivedere i vostri volti radiosi quando, credendoci perse per sempre in polverosi fogli d’erbario, ci avete invece ritrovate sui vostri bellissimi colli.
Firmato: Diphasium tristachyum (Pursh) Rothm.
(articolo apparso nel notiziario n.42 dell'11/2012del FAB (https://www.floralpinabergamasca.net/
Ne è autore il professore Germano Federici, con cui ho avuto il piacere di condividere delle ‘cenette filosofiche’ on line e che ringrazio di cuore per questo suo contributo.
Il professore si presenta così: "Sono un biologo appassionato di natura in ogni suo aspetto. Ho insegnato fino al 2008 in un liceo scientifico di Bergamo. Assieme ad amici floristi di Bergamo e Brescia ho lavorato per diversi decenni in campo, ma anche tra erbari e bibliografia botanica, per raccogliere dati sulle specie vascolari presenti nei territori e pubblicare nel 2012 una sintesi corposa (Flora vascolare della Lombardia centro-orientale) e altre dedicate a realtà minori (es. Flora spontanea della città di Bergamo, nel 2015). Sono impegnato da anni con altri amici nella difesa del territorio dalla vorace predazione di suolo e di ambienti di pregio."
Germano Federici oltre che persona di notevolissimo spessore è un ferrato naturalista come ci ricordi, una rara Alchemilla individuata grazie alle sue ricerche porta il suo nome: Alchemilla federiciana, Ventaglina di Federici, Alchemilla di Federici; (Alchemilla federiciana S.E. Fröhner).
RispondiElimina@Bruno: non sapevo di questa Alchemilla individuata da Germano... per il resto ho avuto modo di conoscere Germano attraverso le cenette filosofiche on line e ne ho grandissima stima.
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