Palermo – Il rapporto su “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, curato dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) e presentato il 3 dicembre scorso a Roma presso la sede dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) evidenzia che in Italia il consumo di suolo è ancora troppo elevato: continua infatti a crescere al ritmo di circa 20 ettari al giorno, circa 2 mq. al secondo, e nel 2023 ha cancellato 72,5 kmq di aree verdi, vale a dire una superficie estesa come tutti gli edifici di Torino, Bologna e Firenze.
“Il dato di 72 chilometri quadrati e mezzo di nuove superfici artificiali - quindi nuovi edifici, nuove strade, nuovi cantieri su aree che solo dodici mesi prima erano naturali, agricole - sebbene segnali un rallentamento lieve rispetto al consumo di suolo dell’anno 2022, risulta sempre al di sopra della media decennale (2012-2022) che è stata di 68,7 kmq.
Consumo di suolo solo in piccola parte compensato dal ripristino di aree naturali, circa 8 kmq, dovuti in gran parte al recupero di aree di cantiere” – questa la dichiarazione di Michele Munafò, direttore del Sistema informativo nazionale ambientale dell’ISPRA.
Dove c’erano aree verdi ci sono prima di tutto cantieri, poi attività estrattive e anche alcuni parchi fotovoltaici. “Inoltre – ha detto ancora Munafò – nell’ultimo anno più di 500 ettari di suolo sono stati consumati per la crescita della logistica”.
Il report evidenzia infatti che nel 2023 la logistica ha ricoperto ben 504 ettari di suolo agricolo, una crescita attribuibile principalmente all'espansione dell’indotto produttivo e industriale (63%), mentre la grande distribuzione e le strutture legate all’e-commerce hanno contribuito rispettivamente per il 20% e il 17%. Tale espansione si è avuta prevalentemente nelle regioni del Nord Italia, con un massimo di superfici consumate in Emilia-Romagna (101 ettari), Piemonte (91 ettari) e Veneto (80 ettari).
Il rapporto ha fornito anche i dati relativi al 2023 per le regioni, le province e i comuni italiani: i comuni italiani più virtuosi, dove il consumo di suolo è assai limitato o nullo, sono Trieste, Bareggio (in provincia di Milano) e Massa Fermana (nelle Marche, in provincia di Fermo).
Le regioni più virtuose sono invece la Valle d’Aosta e la Liguria, le uniche nelle quali il consumo di suolo rimane sotto i 50 ettari: in particolare la Valle d’Aosta, con +17 ettari, è la regione che consuma in assoluto meno suolo, seguita dalla Liguria (+28). Gli incrementi maggiori per l’ultimo anno si sono verificati in Veneto (+891 ettari), Emilia-Romagna (+815), Lombardia (+780), Campania (+643), Piemonte (+553) e Sicilia (+521). Se al dato di consumo del suolo si sottraggono le aree ripristinate, segnano gli aumenti maggiori l’Emilia-Romagna (+735 ettari), la Lombardia (+728), la Campania (+616), il Veneto (+609), il Piemonte (+533) e la Sicilia (+483).
Questi numeri inducono al pessimismo riguardo al ‘consumo zero’ di suolo che l’Italia dovrebbe raggiungere entro il 2030, considerando l’allineamento tra consumo di suolo e dinamica della popolazione, fissato dalle Nazioni Unite. Tra l’altro in Italia la popolazione non cresce, ma è in diminuzione.
Per conseguire lo stop di consumo del suolo, secondo il direttore Munafò si dovrebbero riutilizzare il più possibile le strutture esistenti, riqualificare gli edifici spesso in stato di degrado, rigenerare le aree urbane delle nostre città: - “Queste dovrebbero essere infatti le soluzioni che potranno permetterci di svincolare la crescita economica e il mercato delle costruzioni dal consumo del suolo. Basti pensare che quasi un terzo delle abitazioni del nostro territorio non sono utilizzate o sono utilizzate esclusivamente come seconde case”.
Infine, viene sottolineato che la perdita degli ecosistemi legati al consumo di suolo non è solo un problema ambientale, ma anche economico: secondo stime realistiche, nel 2023 la riduzione dell’”effetto spugna”, cioè della capacità del terreno di assorbire e trattenere l’acqua e regolare il ciclo idrologico, è costata al nostro Paese oltre 400 milioni di euro all'anno. Una grave conseguenza economica che si affianca ai costi causati dalla perdita dei servizi ecosistemici dovuti alla diminuzione della qualità dell'habitat, alla perdita della produzione agricola, allo stoccaggio di carbonio o alla regolazione del clima.
“Non segare il ramo in cui sei seduto”, ammonisce un detto assai noto. Saremo così lungimiranti da capire che cementificare il territorio vuol dire far diminuire, se non azzerare del tutto, la qualità della vita?
Maria D'Asaro, 12.1.25, il Punto Quotidiano
Si continua a costruire insensatamente. Ma sappiamo che troppi soldi girano attorno alle attività edilizie. Adesso le propaganda pure Zingaretti in uno spot con l'acquedotto romano sullo sfondo, volessero buttare giù pure quello per far posto a un bel condominio a sedici piani?!
RispondiElimina@Franco: siamo miopi, non riusciamo a 'vedere' e progettare un buon futuro. Siamo davvero una specie stupida...
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