Di cosa si occupano le assai dense 85 pagine – 91 se si includono bibliografia e profili delle autrici – di Vietato a sinistra, saggio curato da Daniela Dioguardi (Castelvecchi, Roma, 2024)? A firma di autrici diverse, il sottotitolo esplicita che il libretto presenta dieci interventi femministi su temi scomodi.
Come evidenzia Francesca Izzo nell’introduzione, tali articoli «illustrano gli effetti paradossali, a volte grotteschi, prodotti dalla ossessiva ricerca, imperante nella cultura ‘mainstream’, dell’inclusione, della parità, del diritto eguale a scapito della differenza sessuale». «In nome di questi principi, a prima vista così ‘corretti e democratici’ – scrive ancora Francesca Izzo – accade che venga cancellato il riferimento alle donne nel contrasto della violenza maschile (…), venga fatto cadere il riconoscimento di una peculiare storia politica delle donne, accade che si tormenti la lingua (…). In nome della libertà si sdoganano prostituzione, maternità surrogata, pornografia e si tenta di archiviare tra i reperti del patriarcato il dato reale e simbolico che i sessi sono due. Ma quel che rende le cose particolarmente inaccettabili è che queste posizioni (…) fanno affidamento sul consenso esplicito o sul silenzio complice o timoroso di gran parte dell’opinione e della politica progressista».
Infatti «la narrazione che si è imposta nei media e nel mondo ‘progressista’ ha ruotato intorno a un paio di assunti semplici e indiscutibili. Innanzitutto è stato sostenuto che il confronto è tra la posizione ‘laica’ (di chi è favorevole alla pratica dell’utero in affitto) e la posizione ‘ideologica’ (di chi è contrario). La gherminella retorica ha puntato a evocare nell’opinione pubblica l’idea che, essendo la laicità cosa buona e giusta e l’ideologia una roba piuttosto perversa, i contrari alla surrogata sono una banda di oscurantisti, moralisti e spregiatori della libertà, ivi comprese le femministe. Ma così – aggiunge ancora Francesca Izzo – ci si può risparmiare di argomentare nel merito, di dire, dal proprio punto di vista, cosa è la surrogata, cosa comporta per la procreazione umana e per il bambino oggetto di tale pratica».
Propongo qui di seguito allora una panoramica sintetica degli articoli, i cui contenuti hanno una grande valenza antropologica, prima che politica; con l’auspicio di stimolare in chi legge un’autonoma riflessione riguardo a tematiche così importanti.
Nello scritto La misura della parità, dopo aver puntualmente elencato le leggi che, a partire dall’introduzione del divorzio nel 1970, hanno rimosso gli ostacoli giuridici all’autonomia economica, giuridica e sociale delle donne (L.1204/1971, tutela della maternità; riforma del diritto di famiglia del 1975; L.903/1977, parità di retribuzioni tra donne e uomini; L.194/1978, possibilità legale dell’interruzione di gravidanza; L.66/1996, riconoscimento della violenza sessuale come reato contro la persona), l’autrice Silvia Baratella sottolinea che la loro applicazione è assai parziale, in quanto purtroppo «le nuove norme si inquadrano in un sistema perfettamente compatibile con l’esclusione femminile» senza metterla veramente in discussione. Infatti: «a lavoro uguale il reddito delle donne resta inferiore a quello degli uomini (…), l’uguaglianza giuridica di marito e moglie non ci ha sgravate dalle responsabilità domestiche, le strade di notte non sono ancora sicure per le donne e le nostre case non lo sono neanche di giorno…»
L’autrice quindi, prendendo spunto da una fulminante battuta dell’umorista femminista Pat Carra («Donne e uomini devono essere uguali». «Uguali agli uomini o alle donne?»), afferma che «la parità è una risposta restrittiva alla libertà femminile», in quanto, a suo avviso, «anche se è stata cancellata la precedente legislazione inferiorizzante e censoria, sono stati posti alle donne nuovi vincoli». Di conseguenza, le donne non dovrebbero impelagarsi «nella rivendicazione di nuove e complicate norme che ci si ritorcono contro, bensì fare vuoto legislativo, continuando l’opera di eliminazione di quelle leggi che ci disconoscono, ci subordinano agli uomini». Certamente, conclude l’autrice «non si tratta di disprezzare né di buttar via i guadagni degli ultimi sessant’anni (…) ma di iscriverli in un nuovo paradigma, in cui le donne in relazione tra loro siano fonte e legittimazione della propria libertà e negozino con gli uomini un nuovo e più civile spazio pubblico. Perché la libertà femminile è libertà per tutti».
Marcella De Carli Ferrari ... (continua su Dialoghi mediterranei)
Maria D'Asaro, Dialoghi mediterranei, 10 gennaio 2025
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