“Occorre rinunciare alle promesse infinite. L’umanesimo occidentale ci votava alla conquista della natura, all’infinito. La legge del progresso ci diceva che questo sarebbe continuato indefinitamente. Non c’erano limiti alla crescita economica, nessun limite all’intelligenza umana, nessun limite alla ragione. L’uomo era divenuto per se stesso il proprio infinito.
Oggi possiamo respingere questi falsi infiniti e prendere coscienza della nostra irrimediabile finitezza. (…)
Il vero infinito è al di là della ragione, dell’intelligibilità, dei poteri dell’uomo. Forse ci attraversa da parte a parte, totalmente invisibile, e si lascia presentire attraverso la poesia e la musica?
Nello stesso tempo in cui possiamo raggiungere la coscienza della finitezza, possiamo ormai raggiungere una coscienza della nostra incoscienza e una coscienza della nostra ignoranza: possiamo ormai sapere che siamo nell’avventura ignota. Abbiamo creduto, prestando fede a una pseudoscienza, di conoscere il senso della storia umana. Ma, fin dall’alba dell’umanità, dall’alba dei tempi storici, eravamo già in un’avventura ignota; ora lo siamo più che mai. (…) Siamo votati all’incertezza che le religioni della salvezza, compresa quella terrestre, avevano creduto di rigettare. (…)
Siamo viandanti. Non siamo in cammino su una via attrezzata di segnaletica, non siamo più teleguidati dalla legge del progresso, non abbiamo né messia né salvezza, camminiamo nella notte e nella nebbia.
Non è il vagabondaggio a caso, ancorché ci siano caso e vagabondaggio; possiamo anche avere idee-faro, valori eletti, una strategia che si arricchisce modificandosi (…). Siamo spinti dalle nostre aspirazioni, possiamo disporre di volontà e di coraggio. La condizione del viandante si nutre di speranza. Ma è una speranza priva di ricompensa finale; naviga nell’oceano della disperazione. (…)
Siamo nell’avventura ignota. L’insoddisfazione che rilancia l’itinerare non potrebbe mai essere appagata dall’itinerare stesso. Dobbiamo assumere l’incertezza e l’inquietudine, dobbiamo assumere il dasein, il fatto di essere qui senza sapere perché. Ci saranno sempre più fonti di angoscia, e ci sarà sempre più bisogno di partecipazione, di fervore, di fraternità che soli sanno non annullare, ma rimuovere l’angoscia.
L’amore è l’antidoto, la replica – non la risposta – all’angoscia. L’amore è l’esperienza fondamentalmente positiva dell’essere umano, dove la comunione, l’esaltazione di sé, dell’altro, sono portate al meglio, quando non sono alterate dalla possessività. Non si potrebbe sgelare l’enorme quantità di amore pietrificato in religioni e astrazioni, volgerlo non più all’immortale, ma al mortale?”
Edgar Morin-Anne Brigitte Kern Terra-Patria (Milano, 1994) pp.174-176
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