giovedì 24 novembre 2011

'A pastara

       Negli anni ’60, a Chiusa Sclafani e a Giuliana, minuscoli paesini dell’entroterra siciliano, non c’era niente che somigliasse a un grande magazzino o a un  negozio alimentare di odierna concezione.Si andava di raro in bottega a fare la spesa perché quasi tutti avevano  un pezzetto di terra che dava frutta, verdura, olio, vino, farina.
 Molti non andavano neppure a comprare il pane perché  lo facevano  in casa. E se proprio mancava qualcosa, bastava aspettare Bastiano o Nicola che “abbanniavano” i loro prodotti stipati a forza nello sbrindellato “lapone”.
Per comprare un quaderno o un pezzo di formaggio o un capo di biancheria senza troppe pretese, c’era però la “putia”: una bottega piccola piccola sospesa tra il medioevo e la modernità. Una sorta di bazar dove si poteva trovare di tutto: dalle cerniere lampo alle caramelle colorate, dalla mortadella alle matite, dai bottoni alle lampadine.
Spesso il negoziante abitava nel retrobottega, quasi che la putia fosse un’appendice esteriore e del tutto casuale della sua vita privata. Capitava infatti che Maria Antonietta, mandata dalla zia ad acquistare le cipolle dalla ‘gna Cidda, nel negozietto non trovasse nessuno perché il “putiaro”  era a casa sua, occupato in più importanti faccende.
La bimbetta era incantata dalle putie: per l’incredibile e pittoresca accozzaglia di prodotti, allegramente e disordinatamente racchiusi in pochi metri quadri;  per l’arcaico e fantasioso sistema di pesi e misure che ciascuna  di esse liberamente adottava: dalle incerte stadere, a  ogni tipo di bilance e bilancini con variegati, e non sempre precisi, pesi e contrappesi.  E poi, le centinaia di scatole e scatolette che vi si trovavano ammucchiate,  emanavano tutti gli odori del mondo: dal delicato profumo di talco e di neonati dei merletti, all’odore forte e pungente delle scatole piene di sarde salate, all’aroma gradevole dei chicchi di caffè riposti nei grandi barattoli di vetro.
- Mariantonie’, vai a comprare la pasta dalla ‘za Pidda…-
Con la  ‘za Pidda la bimba non aveva alcuna relazione di parentela. L’appellativo ‘za o ‘zu (zia e zio) era  usato in paese per appellare donne e uomini che godevano di una certa stima e di buona reputazione.
A differenza delle altre, la putia della “pastara”  (la zia Pidda era detta così perché epigona di una generazione di commercianti di pasta) era un enorme stanzone spoglio, dalle pareti nude, con un soffitto altissimo. In quella putia, solo e dappertutto pasta: pasta nei grandi sacchi poggiati per terra, pasta sfusa sul massiccio piano di legno che fungeva da bancone, pasta sul capiente soppalco che si trovava nel lato sinistro della stanza. Una festa di spaghetti, tagliatelle, ditali, margherite, bucatini, ziti, linguine. 
Seduta, dietro al bancone, una vecchina minuta, dal volto pieno di rughe, vestita di scuro e con l’immancabile fazzoletto nero in testa. Ma dallo sguardo sereno e, malgrado le numerose caverne dovute ai denti perduti, dal sorriso rassicurante e accogliente, anche verso i bambini.
- Chi vulivi, picciuttedda? Ah, tu si ‘a niputi di mastru Turiddu, ‘a figlia di Pippina…-  Poi, con gesti sicuri e solenni,  pesava i chili di pasta richiesti, e li  avvolgeva in grossi fogli di carta marrone.
La ‘za Pidda pareva quasi l’incarnazione di una antica divinità che dispensava con saggezza il cibo agli umani, una vecchia Cerere che mai avrebbe permesso che qualcuno restasse privo degli adorati spaghetti.
Maruzza la guardava  incantata e respirava con piacere l’odore umile e buono della farina che riempiva ogni parte della bottega.
E, senza sapere perché, se ne andava contenta.

5 commenti:

  1. Come sai descriverla tu, la tua terra...

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  2. Un bellissimo racconto , mi fa ricordare la mia infanzia, mia madre mi dava 3 uova , con queste andavo alla "bottega" a prende un po di farina e cose che servivano per la casa , se non bastavano la signora della "bottega" segnava su di un librettino nero .
    Soldi pochi anzi pochissimi .

    ciao

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  3. @Calzino: grazie. Buona domenica! hai poi identificato l'uccellino che fa PIEEEEEEE?!!
    @Valerio: grazie per essere passato da qui. Anch'io ricordo un librettino del bottegaio in cui si segnavano i "debitori"... Buona domenica!

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  4. Delizioso scorcio di memorie, appassionante. Le botteghe del mio quartiere le ricordo "a naso": ciascuna aveva il proprio odore, quasi fossero esseri umani. A volte mi capita di sentire profumi analoghi, e per un istante ritorno bambino. Poi mi accorgo che la vita da adulto non è poi così diversa: da una parte l'impegno di comperare il pane, dall'altra il fremito di scoprire la sorpresina nel sacchetto di patatine. Buona giornata.

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  5. @DOC: che bello questo ricordare "a naso" le nostre "putie". Dice un grande romanziere, Proust, che i nostri ricordi sono odori, sapori, musica...Buona serata!

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