Oggi 27 gennaio, giornata della memoria dello sterminio degli ebrei, propongo le riflessioni dell’amico
Augusto Cavadi, pubblicate giorni fa su “Centonove”, il settimanale
siciliano col quale collaboro.
Un
modo per celebrare la giornata mondiale della memoria (27 gennaio)
cercando di andare un po’ oltre le parole di circostanza, che ormai non trovano
lo spiraglio per entrare nei nostri animi, è forse cercare di capire perché
- in pieno XX secolo – si sono potuti verificare stermini sistematici di
massa come la persecuzione nazista degli Ebrei. Che è anche un modo per cercare
di prevenirne la replica in futuro.
Già,
perché la primissima notazione è che il genocidio degli Ebrei non è stato un
fungo velenoso in un’area verdeggiante e salubre. Prima, durante e dopo (con
motivazioni simili quando non identiche) la storia ha registrato orrori
analoghi: dagli Armeni ad opera dei Turchi sino ai Bosniaci ad opera dei
Serbi. Senza contare che cosa è successo, per decenni, nei gulag sovietici dove sono state macerate
vittime di persecuzioni non solo etniche, ma anche politiche, sociali e
religiose. Con il sottolineare che i campi di concentramento e di sterminio
nazisti non costituiscono un’eccezione, bensì una delle tante punte emergenti
di altrettanti iceberg, non s’intende sminuire la
gravità del fenomeno: si vuole piuttosto notare che, proprio perché è stato un
fenomeno di pesantezza insopportabile, non ci si può accontentare di
avere abbattuto l’albero senza strapparne le radici.
Una
seconda notazione riguarda l’aspetto linguistico: perché non ho usato il
vocabolo Shoah che solitamente viene reso in italiano
con Olocausto? Perché
sono d’accordo con quegli intellettuali ebrei che trovano di pessimo gusto
l’uso di un termine teologico-religioso a proposito di un evento in sé
insensato, inumano. Chi vi ricorre, finisce - sia pure del tutto
inconsapevolmente – con il conferire un qualche significato a ciò che è
successo: quasi che lo sterminio degli Ebrei, assurdo dal punto di vista degli
uomini, potesse avere un valore purificatorio e redentore agli occhi di Dio.
Nessun “olocausto”, nessun “sacrificio”, dunque: ciò che è accaduto non è stato
né voluto né accettato da nessun dio.
Ma –
e siamo ad una terza notazione – come è potuto accadere? Sarebbe da sciocchi
pretendere di analizzare tutte le cause di un evento storico, specie quando si
tratta, come in questo caso, di un evento di proporzioni impressionanti. Si
possono solo richiamare alcuni segmenti.
Un
primo ordine di cause lo rintraccerei nella storia culturale della Germania.
Qui abbiamo assistito ad un secolare fenomeno (non del tutto estraneo ad altre
aree geo-culturali europee) di criminalizzazione del popolo ebreo. Personalità
geniali, che nel loro campo hanno compiuto vere e proprie rivoluzioni, come
Martin Lutero nel Cinquecento e Karl Marx nell’Ottocento, hanno lasciato pagine
ingiuste e calunniose contro gli Ebrei.
L’anti-ebraismo, che è già abbastanza
orribile, ha conosciuto proprio nell’Ottocento un’ulteriore degenerazione
diventando anti-semitismo: da ostilità contro un popolo per ragioni culturali
si è passati all’ostilità per ragioni razziali. A parte l’infondatezza
scientifica della nozione di razza, poco o niente è valso obiettare che, dopo
duemila anni di diaspora nel pianeta, gli ebrei avevano mischiato con i popoli
più diversi i propri caratteri ereditari: ebrei in Africa o in Asia avevano
anche esteriormente aspetto diverso dei correligionari in Europa o in America.
Dall’anti-ebraismo
all’anti-semitismo, dunque: e, come se ciò non bastasse, nel XX secolo è andato
maturando l’anti-sionismo, cioè l’avversione al progetto politico di
associazioni ebraiche intenzionate a ritrovare un luogo fisico, una patria
geografica, per tutti i correligionari che avessero voluto ritornare a Sion (o
la Sion originaria, l’attuale Stato d’Israele, o un altro fazzoletto di terra
sul pianeta). Una miscela confusa, ma esplosiva, di motivi di ostilità verso un
popolo né migliore né peggiore della media dell’umanità: ecco il terreno da cui
si è sviluppata la strategia di annientamento degli Ebrei ad opera dei nazisti!
E’
lecito chiedersi se tale strategia di vertice avrebbe trovato così ampia e
capillare attuazione qualora il sistema educativo dei Tedeschi della
prima metà del XX secolo fosse stato differente. Migliaia di cittadini
esemplari dal punto di vista della morale individuale e familiare, oltre che
dell’etica pubblica, hanno partecipato senza battere ciglio (tranne rarissime
eccezioni) a una macelleria sistematica le cui vittime innocenti non avevano
offerto il minimo motivo di rancore né di rivalsa.
Qui
forse possono soccorrere le considerazioni di un’Alice Miller sugli effetti
disastrosi della “pedagogia nera”: dell’educazione al conformismo,
all’obbedienza cieca, all’imitazione acritica. Si attribuisce alla compianta
Mariangela Melato l’avvertenza di evitare gli individui che non hanno
personalità o che ne hanno più di una: probabilmente sono proprio quanti non ne
hanno una che ne assumono tante.
Già
questa sin troppo scarna analisi suggerisce, per contrasto, alcune linee
operative per il presente. Innanzitutto l’asse della conoscenza vera: le
falsità teoriche partoriscono, prima o poi, mostri pratici. La Chiesa
cattolica, per secoli, precisamente sino alla riforma liturgica voluta da papa
Giovanni XXIII a metà del XX secolo, ha insegnato a generazioni di fedeli –
anche in Germania – a pregare il Venerdì santo per la conversione degli
Ebrei, “popolo deicida”! Quale punizione sarebbe abbastanza proporzionata per
una popolazione che, in solido !, ha ucciso Dio fattosi uomo?
Ma la
verità cognitiva, necessaria, non basta. Ci sono tanti orrori contemporanei che
non condividiamo e rispetto ai quali, tuttavia, non troviamo di meglio
che fare spallucce. Se non rischiassi di aprire una parentesi troppo lunga,
accennerei – per esemplificare – ai metodi attuali di allevamento e di
uccisione degli animali domestici di cui ci cibiamo: è privo di significato,
sinistramente illuminante, che i campi di sterminio nazisti fuorono realizzati
sul modello dei macelli di carne animale degli Stati Uniti d’America? Può darsi
che, anche grazie a libri come Se niente importa di Jonathan Safran Foer, tra qualche
decennio, o tra qualche secolo, si capirà che trattare gli animali come li
trattiamo adesso nei nostri mattatoi non è “normale”, proprio come non era
“normale” trattare i nostri fratelli Ebrei come sono stati trattati ad
Auschwitz o a Dachau?
Ma
lasciamo da parte la questione degli altri animali. Limitandoci agli animali
dell’unica razza umana a cui apparteniamo, quanti di loro in questi stessi anni
stanno subendo violenze inaudite e sistematiche nel silenzio complice delle
istituzioni nazionali e internazionali? Proprio i Palestinesi, che per venti
secoli hanno continuato ad abitare la terra su cui dopo la Seconda guerra
mondiale sono tornati gli Ebrei per fondare lo Stato d’Israele, stanno patendo
sofferenze di ogni genere: anche le loro ragioni vanno valutate, senza
identificare la causa sacrosanta della difesa dell’ebraismo con la causa,
opinabile, della difesa della politica israeliana.
Oltre
che i Palestinesi, decine di popoli e di categorie sociali sono oggi
oggetto di discriminazione e di persecuzione. Ogni volta che siamo tentati di
ignorare le loro tragedie, faremmo bene a rileggere le parole che vengono
attribuite a più d’un autore tedesco coevo del nazismo: “Prima di tutto vennero
a prendere gli zingari e fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a
prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi stavano antipatici. Poi vennero a
prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi. Poi
vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a protestare”.
(Augusto Cavadi, “Centonove” 18.1.2013)
E' vero, non è stato un fungo velenoso in mezzo ad una pianura verdeggiante e salubre. Il razzismo e l'odio ci sono sempre strati, da quando esiste l'umanità. Il problema è che più andiamo avanti col progresso, e più diventano potenti i mezzi per sterminarci tra di noi. Riusciremo a fermare tutto questo? Voglio sperare di sì, perché se no non troverei più senso in niente...
RispondiEliminaDiffondere la conoscenza dell'uomo e delle sue molteplici culture per non permettere che odio e paura senza una vera base possano portarci con indifferenza a giustificare altri orribili crimini.
RispondiEliminaciao Mari.
@Vele e curly: grazie per l'attenzione e la condivisione solidale. Buona settimana. Un abbraccio a entrambe.
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