venerdì 19 novembre 2021

C’era una volta l’isteria… E c’è ancora, nello scenario della postmodernità

Rosaria Lisi
     Il saggio della psicologa e psicoterapeuta Rosaria Lisi Isteria e Gestalt Therapy, Quando tutto è pertinente (Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2019, €15), si inserisce nella collana della casa editrice trapanese che ospita testi relativi alla teoria e alla clinica della Terapia della Gestalt, capaci comunque di interessare anche i lettori e le lettrici non addetti/e ai lavori. Tali testi infatti (vedi Sulla felicità e dintorni; Danza delle sedie e danza dei pronomi; Incontri terapeutici a quattro zampe; La grazia dell’audacia; Come l'acqua... La luna è fatta di formaggio; etc.) coniugano con sapienza l’ermeneutica gestaltica a spunti di riflessione sugli orizzonti di senso e sul travaglio della condizione umana odierna.
      Nelle pagine introduttive, il professore Salonia sottolinea che l’autrice «ripensa l’isteria nella postmodernità, ovvero il suo manifestarsi (e celarsi) nel tempo delle identità liquide»; mentre la rilettura odierna dell’isteria con occhiali gestaltici permette di affermare che «non esistono pazienti isteriche, ma bensì modalità relazionali di tipo isterico.» 
    Nel passato invece, continua il professore «Definire una donna ‘isterica’ significava considerarla dominata dall’utero (hyster), insinuare che fosse insoddisfatta sessualmente e alludere alla pressione di un eccesso di emotività che annullava la razionalità. Ma se la donna, in quanto tale, era ‘isterica’ (…), allora andava confinata nella casa, fuori dal mondo della razionalità e del potere decisionale che apparteneva ai maschi, L’isteria è stata insomma, nelle società tradizionali e della prima modernità, simbolo e avamposto della condizione femminile».
    A proposito del legame tra isteria e condizione femminile, vengono riportate nel libro le considerazioni della filosofa e psicoanalista Luce Irigaray e della psicologa Juliet Mitchell: secondo la Irigaray, l’isteria era l’unica alternativa possibile che la donna della società patriarcale aveva al posto della repressione totale delle pulsioni; mentre Juliet Mitchell sottolinea l’errore di considerare l’isteria una patologia al femminile: infatti tale modalità relazionale esiste anche nei maschi, spesso in forme più gravi. 
    Sempre secondo la Mitchell, inoltre, la psicoanalisi ha trascurato l’importanza che nella comprensione dell’isteria rivestono i rapporti orizzontali, cioè con i fratelli. E conclude: “L’isteria fa parte della condizione umana, è il ventre molle della normalità: può evolversi nel senso di una grave patologia o nel senso di una creatività nella vita o nell’arte. In qualunque di questi due sensi si caratterizzi, è comunque un modo attraverso cui il soggetto riafferma la propria unicità nel mondo.” 
     Se quindi, da un lato, vi è una sorta di ‘isterizzazione della società’, di contro oggi di isteria quasi non si parla più, né in ambito sociologico né in ambito clinico. Dal 1987 l’isteria è stata cancellata dall’elenco dei disturbi mentali: infatti il DSM-III (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) la menziona ‘lateralmente’ solo nella diagnosi del disturbo istrionico di personalità. Oggi, nella versione più recente di tale documento, il DSM-V, viene collocata tra i disturbi di personalità, insieme al disturbo antisociale, al disturbo borderline e al disturbo narcisistico.
    Ma l’isteria è davvero scomparsa? Oppure si è semplicemente mimetizzata e non se ne parla per timore di evocare l’equivoco che in passato ha riferito tale modalità solo alle donne, relegandole in uno stato di inferiorità e di scarsa affidabilità? 
   E poi, si chiede Rosaria Lisi, normalizzare l’isteria, considerando isterica tutta la società attuale postmoderna, non equivale forse a ignorare una sorta di “grido esistenziale dell’uomo?
    L’isteria, oggi, ritorna infatti con maschere diverse. L’autrice, alla ricerca del filo rosso di questa sintomatologia così complessa, chiama in causa Karl Jaspers che lo identifica nella «tendenza ad apparire piuttosto che ad essere», "da qui la continua falsificazione della propria immagine, la teatralità e la ricerca di spettacolarità.
    Viene poi citato lo studioso Angelo Pasetti che sottolinea come “l’isterico è colui che colpisce a causa del suo esibizionismo. Comunque si tratta di comportamenti che tendono a destare nell’interlocutore moti di sorpresa e di stupore e a creare il sospetto di assistere a una messa in scena”. Si può quindi immaginare la persona con modalità relazionali isteriche “come un attore che ha difficoltà ad uscire dal palcoscenico per vivere il proprio corpo e la propria vita”. Quindi, evidenzia l’autrice: “la modalità isterica (…) si può ricondurre ad un bisogno centrale che dà origine alla sua sintomatologia: il bisogno di simulare, di recitare una parte, di imitare”.
    Eccoci allora al cuore del testo: “L’imitazione isterica, come stile relazionale, costituisce l’estremizzazione della natura relazionale dell’essere umano: è l’essere centrati sul Tu pur di incontrarlo, pur di raggiungerlo ad ogni costo, pur di non sentire la solitudine dell’Io.” 
Vittorio Gallese
    Per cogliere meglio la dimensione antropologica della tendenza imitativa propria della modalità relazionale isterica, l’autrice esamina varie ricerche. Tra gli studiosi, cita il neuroscienziato Vittorio Gallese, che sottolinea come «il mimetismo caratterizza in modo pervasivo la dimensione sociale dell’esistenza umana (…). Mimiamo inconsapevolmente il comportamento non verbale altrui; ci piace di più chi ci imita; (…) Il mimetismo è quindi uno strumento fondamentale nella costruzione del gradimento sociale».
    Viene poi riportata la lettura fenomenologica dell’isteria fornita nel 2006 da Umberto Galimberti, nel Dizionario di Psicologia: «In quest’ambito l’isteria è descritta come la condizione di chi può vivere solo esponendosi all’attenzione degli altri in quella sorta di presenza “alienata” che solo gli altri hanno il potere di rendere presente. Ѐ una presenza che si declina nella direzione dell’esse est percipi, dove l’essere percepito, l’essere visto, l’essere ascoltato è una condizione indispensabile per poter essere in generale. Ad ogni esibizione, segue l’inibizione ad ogni autentico incontro, perché l’altro non è trattato come un ‘tu’, ma solo mezzo per potere esistere».
    Ma cosa distingue il meccanismo imitativo fisiologico da quello isterico? E come considerare oggi tale atteggiamento nella società, prima che nell’ambito della psicoterapia? Ecco alcune considerazioni generali offerte dal testo, tralasciando le specifiche conclusioni cliniche, ‘digeribili’ solo per chi ha una specifica formazione psicoterapeutica gestaltica. 
   Scrive l’autrice: “Sono l’annullamento del pensiero e della soggettività, e quindi del confine tra sé e l’Ambiente, gli elementi che permettono di distinguere l’imitazione sana e fisiologica dal meccanismo imitativo della modalità isterica”. “Il soggetto con modalità isterica, piuttosto che registrare nel proprio corpo le conseguenze positive o negative di un’azione, utilizza come criterio di scelta lo ‘sguardo dell’altro’, ogni scelta è guidata dal bisogno di imitare ciò che gli permette di avere su di sé le attenzioni dell’altro”. Neppure professionisti brillanti e colti, sono esenti da questa modalità, se “dietro il fascino delle apparenze si cela l’angoscia di essere rifiutato o abbandonato dall’altro (…). Parafrasando Cartesio, il motto del soggetto con modalità isterica è ‘Imitor, ergo sum’, imito per essere qualcuno, imito per esistere.”
   In sintesi, allora, la modalità isterica è il fallimento dell’incontro autentico con l’altro; condizione sofferta da chi non riesce a gestire una relazione autentica perché è l’altro, col suo approvare/non approvare, ad avere il potere sulla relazione.
Giovanni Salonia
     Rosaria Lisi chiama in causa ancora il professore Salonia, secondo cui l’anelito alla confluenza (cioè alla fusione-con-l’altro), che caratterizza il paziente isterico, gli fa percepire l’Ambiente come una parte di sé. Tale modalità relazionale è sostenuta proprio dal fatto che: «L’angoscia di separazione non permette all’isterico di avere i confini ben differenziati. Non sperimentando il contatto pieno per mancanza di differenziazione, l’isterico non assimila le proprie esperienze ma ‘fa finta’ di vivere esperienze, ‘tutto è pertinente’ vuol dire che niente viene assimilato». «La funzione-Io è il grande problema dell’isteria – afferma ancora Salonia – poiché “le emozioni non trovando nell’organismo il senso della propria integrità vagano e, in un certo qual senso, diventano sostitutivi della funzione-Io. Il paziente isterico è la situazione, è l’emozione; non può dire ‘ho quest’emozione’ perché manca della funzione-Io che discrimina tra ciò che è pertinente e ciò che non lo è».
Il soggetto con modalità isteriche, quindi, recita sempre, ed e incapace di raccontarsi.
Come sostenerlo e aiutarlo?
     “Il lavoro con la personalità isterica  - sostiene l'autrice - si focalizza essenzialmente sulla funzione del pensare piuttosto che sulla consapevolezza delle sensazioni o – men che meno – delle emozioni”.  Se si “rimane” sulle emozioni, infatti, si continua ad amplificare ciò che non è autentico.
   E quindi, nella postmodernità in cui imperano le emozioni individuali e collettive, per riappropriarsi della propria sana integrità, bisogna re-imparare a pensare, a differenziarsi dagli altri, a distinguere, dalle mille suggestioni dell’ambiente, il proprio pensiero. Sempre attuale, dunque, la massima ‘Conosci te stesso’, incisa nel frontone del tempio di Apollo a Delfi, eredità della cultura greca. 
    Sottolinea ancora Rosaria Lisi: “Il lavoro sulla funzione del pensare (…) ha il vantaggio di favorire il pensiero che permette la differenziazione. Infatti, è il pensare – e il pensare pensieri diversi – che dà inizio alla differenziazione, in cui «il pensiero apre il senso della propria integrità"
    Allora non saranno le migliaia di like di consenso a salvare una persona, e una società intera, affette da modalità isteriche. “A favorire la guarigione dell’isterico sarà la capacità di far emergere la sua angoscia nella differenziazione, sostenendolo e aprendolo al piacere di essere sé stesso di fronte all’altro con un pensiero e una bellezza propri.” 
Conclude significativamente l'autrice:
Il lavoro con il paziente isterico, in fondo, ripercorre la difficile strada che ogni uomo e ogni donna (…) attraversano nella travagliata lotta tra l’inevitabile adattamento alle richieste dell’ambiente e l’audace scelta di essere sé stessi di fronte al mondo, una lotta che, se si risolve senza né vincitori né vinti, conduce alla scoperta di nuove e creative possibilità di esprimere pienamente sé stessi nei diversi contesti che la vita presenta.”

Maria D’Asaro

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