Palermo – C’è uno stereotipo sulla mafia ancora duro a morire: credere che ci sia stata in passato una mafia meno crudele di quella attuale, che regolava i conti solo al suo interno, una sorta di mafia ‘buona’ che risparmiava donne e bambini.
Non è affatto così: lo ripete da decenni lo studioso Umberto Santino, con la moglie Anna Puglisi, presidenti del Centro Impastato, tra i massimi conoscitori del fenomeno criminale mafioso. A Palermo, proprio Umberto Santino e Anna Puglisi, assieme al No Mafia Memorial, all’UDIPalermo e al Museo Sociale Danisinni, si sono impegnati per far conoscere alla comunità cittadina un esempio di ribellione alla violenza della mafia, assai lontano nel tempo, che ha tardato ad avere il riconoscimento e la valorizzazione che merita.
Si tratta di un episodio accaduto addirittura il 27 dicembre 1896 in una via abbastanza centrale di Palermo, la via Sampolo, non lontana dall’affaccio al mare della città.
Quel giorno, una domenica sera, al numero civico 20 di via Sampolo, nel locale che fungeva da magazzino e vendita di merceria, di pasta e da osteria (il retrobottega costituiva l’abitazione dei signori Sansone, che gestivano il locale), si trovavano tutti i membri della famiglia Sansone, come testimonia una pagina del Giornale di Sicilia del tempo. La famiglia era composta dal padre Salvatore, che, giocava a carte con un cliente, dalla moglie Giuseppa Di Sano e dai tre figli: Emanuela, quasi diciottenne, e dai fratelli più piccoli Salvatore e Giuseppe. Dice il resoconto del giornale che, all’improvviso, vennero esplose delle fucilate dall’esterno, fucilate che uccidevano Emanuela e ferivano gravemente sua madre, che però veniva soccorsa e riusciva poi a salvarsi.
Quello che avvenne in seguito, come testimoniato dagli atti giudiziari, è davvero importante e significativo, specie per l’epoca e il contesto sociale in cui è successo: la signora Di Sano infatti, nonostante le pesanti minacce ricevute, collaborando con la Magistratura, denunciò gli assassini e ottenne giustizia per l’assassinio della figlia.
L’episodio dimostra che, anche in tempi lontani e assai difficili, cento anni prima delle testimonianze di Rita Atria e Piera Aiello, ci sono state in Sicilia donne che, pur se di umili condizioni sociali e allora quasi prive di diritti, non si sono piegate alla violenza criminale mafiosa, e hanno lottato perché emergesse la verità.
Proprio venerdì 8 marzo, nella giornata dedicata alle donne, alla presenza del sindaco di Palermo Roberto Lagalla e di rappresentanti delle associazioni già menzionate, nel luogo dell’assassinio è stata posta una targa alla memoria per ricordare Emanuela Sansone e sua madre Giuseppa. A dimostrazione, come sottolineato da Daniela Dioguardi dell’UDIPalermo, che l’amore disperato di una ‘madre coraggio’ può assumere valore politico di denuncia e favorire un cambiamento in senso positivo dei comportamenti sociali.
Maria D'Asaro, 15.3.24, il Punto Quotidiano
"Mafia buona" un ossimoro disturbante..
RispondiElimina@Franco: purtroppo è un ossimoro disturbante duro a morire... Buon tutto e buona domenica!
EliminaGiusto ricordare.
RispondiElimina@Cavaliere: grazie... Buona notte.
EliminaL'isolamento subito dalla Sicilia ha causato il nascere di un potere nuovo e malavitoso che si è sostituito allo Stato assente.
RispondiElimina@Gus: e aggiungerei il modo in cui è stata fatta l'unità d'Italia, con ricadute pesanti in Sicilia... grazie della tua costante e generosa attenzione. Buona notte.
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